E quando torneremo ad abitare i nostri servizi…

Ad oggi ci hanno detto che le scuole resteranno chiuse fino al 3 di aprile e, per la verità, non abbiamo la certezza che quel giorno potremo tornare nel nostro nido, nella nostra scuola dell’infanzia…Anche se noi quella certezza vogliamo averla, vogliamo credere fortemente che i nostri servizi possano riaprire presto.

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Noi umani viviamo un tempo ordinario in cui sono scandite le nostre azioni abituali della giornata, della settimana, del mese e persino dell’anno. E ora siamo disorientati. Anche i bambini vivono il loro tempo ordinario, fatto di azioni che si susseguono cronologicamente: svegliarsi, fare colazione, andare a scuola, andare in piscina,…In questo momento loro avvertono un sentimento particolare: la perdita del tempo ordinario! Oltretutto il tempo straordinario di questi giorni è diverso da quello delle vacanze, pieno di giochi, di divertimenti, di aggregazioni gioiose anche fra adulti. Quello di oggi è un tempo nuovo e non sempre comprensibile.
Dobbiamo imparare ed insegnare ai bambini a gestire bene questo tempo che rischia di diventare troppo pieno o troppo vuoto, troppo leggero o troppo pesante.
E’ molto importante, in primo luogo, che passiamo ai nostri bambini la convinzione che arriveranno di tempi migliori, li stiamo attendendo, e la fiducia nella nostra capacità di saper affrontare le sventure della vita, la speranza che possiamo tornare alla vita di prima molto presto.

Im questi giorni lenti e lunghi, noi che lavoriamo nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, prepariamo tanti video da mandare ai bambini; li salutiamo, mandiamo baci che schioccano. Diciamo loro che ci mancano, tanto, anche se non possiamo abbracciarli, toccarli, vederli. Qualcuna di noi legge i libri che i bambini amano di più…l’ho fatto anche io…qualcun’altra canta le canzoni che si cantano con i bambini, qualcun’altra suggerisce giochi da fare tutti insieme, nello spazio ristretto della casa. E’ un lavoro prezioso…restituiamo volti e voci familiari ai bambini che dalle aule colorate delle scuole si ritrovano chiusi in casa in questi giorni di emergenza. In questo modo si tenta di non perdere il filo rosso della relazione. E è un modo per accorciare le distanze e rendere questa situazione più gestibile per i bambini e aiutarli ad affrontare questo cambiamento così forte. Dobbiamo impegnarci per dare continuità alla relazione educativa con le famiglie e con i bambini; per farlo, oggi, abbiamo le tecnologie, grazie a cui possiamo mantenere uno spazio minimo, ma fondamentale, di socializzazione. E continuare a sostenere, a distanza, le “nostre” famiglie.
Senza, però, dimenticare che, a distanza, mancano gli sguardi, ed è una mancanza pazzesca, le risate risate, i pianti e anche…le sacrosante incavolature.
Usiamo pure la tecnologia, ma al meglio…Gli inventori delle relazioni siamo sempre noi, la reciprocità è tale che quando manca, non si può fare proprio nulla se non insistere affinché ci sia, senza cedere.

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E che succederà quando potremo tornare a ripopolare i “nostri” servizi? Come potremo accogliere i bambini e le famiglie dopo una chiusura tanto lunga? E che accadrà dopochè tutti avremo vissuto un periodo certamente non facile?
La prima cosa che dobbiamo tenere bene a mente è che il giorno in cui il nido, la scuola dell’infanzia, riapriranno le porte non ci saranno consegnati solo i bambini, ma anche un mondo di emozioni…Riaccoglieremo i bambini che hanno vissuto un tempo di destabilizzazione a causa della mancanza delle solite routines, bambini che hanno visto genitori impauriti e forse qualche parente ammalarsi, bambini che, troppo spesso, hanno sentito parlare di morte. E, insieme a loro, riaccoglieremo madri, padri, nonni, zii che hanno dovuto far fronte, in solitudine per lo più, all’ansia e al panico, che hanno avuto forte bisogno di sostegno che, forse, non è mai arrivato, che hanno passato tanti giorni in casa in una condizione se non di clausura, di relativo isolamento.

E come li accoglieremo? Come sarà il nostro primo abbraccio?
La sospensione delle attività nei servizi educativi e la loro chiusura al pubblico si è rivelata negativa per lo sconvolgimento della vita familiare dei genitori lavoratori e, anche se in alcune realtà si sono avviate modalità per mantenere le relazioni, come dicevo prima, manca la corporeità, il contatto e la dimensione socializzante del gruppo di bambini. La tecnologia ci è utile, ma è pur sempre una soluzione di emergenza, e, per quanto ci sforziamo, restare connessi in questo modo, non è come se potessimo toccarci, parlarci a venti centimetri di distanza. Il contatto diretto è insostituibile. Mai come oggi ci rendiamo conto di quanto i servizi educativi, i nidi, le scuole dell’infanzia, non siano luoghi di custodia, bensì luoghi di educazione.

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E…allora…che accadrà il giorno della riapertura? Forse qualche famiglia ce la saremo persa, questo è da mettere in conto. La relazione con le famiglie è qualcosa di molto complesso, si costruisce nel tempo, un giorno dopo l’altro. E’ possibile che con qualcuno, per tanti motivi, non siamo riuscite a costruire un legame forte e, allora, li avremo persi. Tante altre famiglie, però, torneranno, torneremo a dialogare e a occuparci, insieme, della co-educazione dei bambini.

Qualcuno dei miei conoscenti o amici che ha bambini che frequentano il nido mi ha chiesto se sarà necessario ripetere l’ambientamento. Molti, in verità, sono un po’ spaventati da questa eventualità perché è probabile che quando le aziende riapriranno ci sarà molto da fare e non sarà semplice avere un periodo di ferie per riambientare i bambini al nido o alla scuola dell’infanzia.
Io credo di no. Non dovremo prevedere un ri-ambientamento. Tutto questo è accaduto in un momento dell’anno in cui gli educatori conoscevano già piuttosto bene i bambini, in cui i genitori avevano già acquisito fiducia nel servizio e in cui i bambini erano già padroni di spazi, tempi e routine…Ci sarà, probabilmente, bisogno di qualche giorno per riassestarsi, un po’ come dopo il rientro dalle vacanze estive, ma direi che nessun servizio proporrà lunghi tempi di rientro. Le relazioni già consolidate difficilmente sfumano.

Dovremo, certamente, essere molto flessibili. Molto più di quanto già lo siamo. Se i genitori, i nonni, gli zii,…avranno bisogno di tempi più lunghi nei momenti dell’accoglienza o del ricongiungimento dovremo concederli. Dovremo attrezzarci per farlo. E’ molto probabile che i genitori avranno bisogno di una parola in più…la situazione di oggi lascerà dei segni, anche profondi, e noi educatori dovremo essere pronti ad accogliere tutta la fatica vissuta, anche modificando qualcuna delle nostre modalità.

Prima della riapertura le équipe educative dovranno certamente riunirsi. Intanto per avere la possibilità di godere anch’esse di uno spazio e di un tempo per mettere sul piatto le fatiche attraversate…perchè anche noi che cerchiamo di essere sempre sorridenti, di trasmettere gioia e serenità, viviamo dei momenti di difficoltà. E poi per decidere tutti insieme come riaprire le porte del nostro servizio.
E dovremo pensare anche al personale ausiliario che, in molti casi, è rimasto a presidiare il servizio, a prendersi cura degli spazi disabitati. Dovremo coinvolgere anche le nostre ausiliarie nel momento della riapertura.

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E dovremo preparare le famiglie al rientro. Potremo mandare qualche messaggio, chiamarle una per una…per salutarle dal vivo e dire loro che le aspettiamo con gioia. Dobbiamo far sentire loro che le stiamo aspettando. Stiamo aspettando i bambini, le mamme, i papà, i nonni, tutti. E’ giusto che le famiglie sappiano quello che accadrà, come abbiamo pensato di riaccoglierle. E che sappiano che cosa abbiamo fatto in questo lungo periodo di lontananza.

E quando i bambini varcheranno di nuovo la soglia delle sezioni, dovremo salutarli uno per uno…ad ognuno dovremo dedicare una parola speciale. Dovremo mandare a ciascuno di loro questo messaggio: “Ti aspettavo! Sono felice che tu sia tornato. Ti ho pensato tanto in questi giorni in cui non ci siamo visti.” E’ nostro dovere parlare ai bambini e cercare di spiegare come ci siamo sentite durante la chiusura dei servizi. Perché, come ho spesso sostenuto, i bambini sono competenti. E comprendono bene parole e stati d’animo.

Condizione imprescindibile perché ci sia cura, ci sia educazione è la partecipazione consapevole di chi educa alla relazione. Non sarà una passeggiata il nostro rientro, questo no…Ma abbiamo bisogno di sapere che torneremo e i bambini e le loro famiglie hanno bisogno di sapere che speriamo che #andratuttobene.

Giocare con la sabbia al nido

L’idea di scrivere questo articolo mi è venuta in seguito ad avere seguito un webinar (una formazione on line che tanto ci aiuta in tempi di coronavirus, quando non è possibile incontrare altre persone) tenuto da Antonio di Pietro, noto pedagogista ludico.
L’idea nasce, inoltre, da una formazione che ho fatto un anno fa, con Paola, un’amica che si è occupata per tanto tempo di materiale destrutturato, molto prima che diventasse tanto di moda.

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Il gioco con la sabbia, oltre ad essere decisamente piacevole e rilassante, soprattutto se la si lascia intiepidire al sole, è fondamentale per lo sviluppo sensoriale dei più piccoli; i benefici che arreca sono davvero tantissimi. La consistenza particolare della sabbia e la manualità che il bambino sviluppa quando ci gioca, ne stimola l’immaginazione, grazie al processo decisionale che li spingerà a decidere cosa creare e come farlo. Questa attività promuove, inoltre, la calma e la concentrazione.
Il toccare, sviluppare il senso del tatto, ha implicazioni positive nella crescita e nello sviluppo delle capacità motorie dei bambini; giocando con la sabbia, i bambini sviluppano la motricità, ad esempio, con il tocco e i tentativi di raccogliere i piccoli granelli. Questa capacità migliora anche attraverso il movimento libero e attività come correre o saltare.
Un altro apprendimento molto interessante che si sviluppa grazie al gioco con la sabbia è l’acquisizione di concetti opposti come “pieno” e “vuoto”, “leggero” e “pesante”, “asciutto” e “bagnato”, “caldo” e “freddo”, specialmente quando proponiamo attività con forme, contenitori e palette.
Giocare con questo elemento naturale, inoltre, è benefico per i bambini molto attivi, in quanto ha un effetto calmante su di loro e li aiuta a concentrarsi, a tranquillizzarsi e a condividere.
Oltre a stimolare la memoria e la creatività dei bambini, poi, questo gioco sviluppa anche la nozione di pianificazione e progettazione di strategie appropriate, perché sono loro che decidono cosa verrà creato e come creeranno.

La sabbia, inoltre, ha anche proprietà terapeutiche, come ci ricorda la SandPlay Therapy, una tecnica della psicologia analitica che si basa sulla libera espressione della fantasia e creatività individuale e che può essere utilizzata con bambini, ma anche adolescenti e adulti. Il paziente, scegliendo tra una moltitudine di piccoli oggetti che ha a disposizione, può creare all’interno di una cassetta contenente della sabbia, una sorta di quadro.

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Noi che lavoriamo nei servizi dell’infanzia, possiamo proporre i giochi con la sabbia rifacendoci alla proposta ludico-educativa di Ute Strub, fisoterapista tedesca, che in seguito alla sua collaborazione con la pedagogista Emmi PIkler ha aperto a Berlino negli anni ’60 del secolo scorso lo Strandgut, spazio gioco dotato di due stanze: quella della sabbia e quella della paglia. Strandgut fu pensato per consentire alle persone di giocare in libertà ed è stato ed è tuttora frequentato prevalentemente da bambini e bambine, ma nacque con l’idea di offrire un buon ambiente per giocare a persone adulte e anziane. E’ un ambiente che promuove significative esperienza di crescita e riequilibiro dei vissuti, attraverso condizioni ambientali e opportunità che agiscono valorizzando i saperi, quelli in atto e quelli potenziali.
Lo spazio e i materiali selezionati pongono in essere le condizioni affinchè lo sviluppo motorio, emozionale, cognitivo procedano insieme secondo natura, facendo fare a bambini e adulti esperienze che procurano loro piacere e soddisfazione.

Come possiamo ricreare Strandgut in uno dei nostri servizi? Se abbiamo, nel nido, uno spazio poco utilizzato (anche una piccola stanza), uno spazio che non ci convince, non ci soddisfa perché ci sembra che non risponda alle esigenze dei bambini, possiamo pensare di ri-costruirlo come “stanza della sabbia”

Occorre, in primo luogo, che lo svuotiamo del tutto. E, una volta che lo spazio è libero, va lasciato respirare.
Nel frattempo, possiamo cercare quello che ci servirà per allestirlo.
Un regola può essere quella di non portare in questo spazio nessun elemento di plastica e nessun ornamento alle pareti, se non qualche piccolo rimando alla sabbia.
Come materiale per i giochi, si possono utilizzare grandi ceste, vecchi cassetti, vassoi di legno, vecchie pentole, scolapasta in acciaio, mestoli e schiumarole, scatole di latta e cucchiai di legno ma anche ciotole di ceramica, conchiglie, grossi sassi. Occorrono, inoltre delle coperte di un solo colore, meglio se tenue (azzurro, giallo chiaro, avorio…).
Completano l’arredamento della sala un piccolo scaffale appoggiato alla parete, che contenga pochi e selezionati oggetti e una poltroncina di vimini per l’adulto. Si può anche aggiungere un tavolo basso e posizionarvi sopra una cesta con la sabbia.

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Quando decideremo di giocare con i bambini, dovremo pulire accuratamente il pavimento e poi entrarvi senza le scarpe; una volta entrati, stenderemo a terra delle coperte per creare delle postazioni di gioco. Sistemeremo i teli nelle ceste e le riempiremo di sabbia, poi posizioneremo gli oggetti selezionati nelle diverse postazioni, cercando di metterli insieme in modo che siano armoniosi alla vista.
Se dopo aver sistemato gli oggetti sulle coperte non ci piace come abbiamo sistemato, se non ci soddisfa, proviamo altre soluzioni. Dobbiamo creare un ambiente bello e soddisfacente. Una volta creato l’ambiente che ci piace, possiamo fotografarlo, perché in questo modo potremo riproporlo facilmente.

E se non abbiamo una stanza inutilizzata? Posiamo organizzare uno spazio protetto all’aperto…

Ci accorgeremo di quanto questo spazio è piacevole e rilassante; ci accorgeremo, inoltre, che questi giochi hanno un “finale aperto”, non c’è un modo giusto o sbagliato di giocare, non importa l’abilità o il livello cognitivo del bambino, non c’è un traguardo specifico da raggiungere o un prodotto da creare. E’ il bambino che determina la direzione ed il percorso del proprio gioco, in base al suo interesse.
E ci servirà per promuove lo sviluppo motorio, percettivo e cognitivo: i bimbi sollevano, scavano, seppelliscono, versano, camminano sulla sabbia, ne percepiscono le varie caratteristiche sensoriali e, grazie agli strumenti che sono a loro disposizione, possono scoprire nessi di causa-effetto e il comportamento dei materiali sotto l’azione trasformativa delle proprie mani. Se poi la sabbia viene bagnata, essi hanno la possibilità di sperimentare il proprio corpo in modi ancora diversi e di ampliare ulteriormente il loro orizzonte conoscitivo.

Termino ricordando un’esperienza che ho avuto la fortuna di vivere io stessa, nel corso di una formazione.
Lo spazio era stato allestito per poter giocare con la sabbia e lo abbiamo fatto per un tempo abbastanza lungo, proprio per godercela tra le nostre mani.
In seguito abbiamo fatto un cerchio ed abbiamo raccontato l’esperienza appena conclusa. Io ricordo di aver usato le parole “rilassamento” e “ricordo d’infanzia”. e di aver provato molto piacere nel toccare la sabbia e ripetere i gesti.

Lo scopo dell’incontro di formazione era proporre esercizi di sguardo per raccogliere informazioni su postura, gesti, tempi, interazioni e utilizzo dei materiali, durante l’immersione in una piacevole esperienza di gioco. Ho raccontato alle colleghe di aver affondato le mani, sollevato in alto, travasato, lasciato tracce, respirato, ruotato tra le mani.

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E come avevo utilizzato gli oggetti? Per setacciare, far scorrere, raccogliere, svuotare\riempire, lasciare tracce.

E’ stato un momento di grande rilassatezza, in cui mi sono lasciata andare a pensieri piacevoli e condivisioni. Un momento che ho voluto tenere ben impresso nella memoria per potere, un giorno, in qualche modo riproporre ai bambini dei servizi in cui lavoro.

 

Essere comunità educante

L’idea di scrivere questo articolo nasce all’inizio di questo caldo mese di luglio, quando ho avuto la fortuna di prendere parte ad un percorso di formazione di tre giorni, messo a punto dalla notissima nel nostro ambiente Silvia Iaccarino.

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E’ stata una formazione densa, carica di tanti significati, emozioni. Ho ritrovato amiche, donne che fanno il mio mestiere perché desiderano diffondere una nuova cultura pedagogica, fatta di sguardi in profondità, pensieri che circolano, apertura alla novità. Una formazione potente, che mi ha regalato tanta energia per affrontare le fatiche dell’educare e le nuove sfide che ho intenzione di affrontare. E che mi ha donato una bellezza tanto grande che non si può esprimere fino in fondo con le parole.

Prima della fine del percorso formativo ho scritto un biglietto che ho messo in una scatola…diceva…”è stato un momento di condivisione profonda, di circolo di idee e soprattutto emozioni…un momento in cui ho sentito la potenza di un gruppo coeso che ti sostiene e ti accompagna”…

Mi sono sentita parte di un gruppo…non una pedina su una scacchiera…una persona senza cui il gruppo non sarebbe potuto essere e senza cui non avrebbe potuto creare tutto ciò che è stato creato…Una nuova cultura pedagogica…una cultura in cui il bambino è al centro e l’adulto, in punta di piedi, appresta occasioni e osserva che accade.

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Nel corso di quel residenziale si è formata una vera comunità educante…persone, professioniste dell’educazione, pedagogiste, educatrici, che hanno dato il via a un cerchio in cui si è fatto esercizio di virtù’, di relazioni, di condivisioni che hanno assunto e assumono ogni giorno grande rilevanza educativa…E’ nata in quei tre giorni una reale comunità educante…una comunità che è stata ed è spazio di partecipazione, che continua ad abilitare all’esercizio di certi valori (soprattutto la centralità del bambino nelle nostre pratiche) e che si assume ogni santissimo giorno responsabilità ed iniziative educative. Una comunità che si nutre ora di interrelazioni, di scambi, di reciprocità. E che sta crescendo…si sta diffondendo nei nostri servizi per l’infanzia. Con mia grande, grandissima gioia.

E’ un grande onore, per me, essere parte di questa meravigliosa comunità educante, perché, io credo, nella problematica pedagogica contemporanea è di fondamentale importanza preoccuparsi della dimensione sociale del processo educativo. Tale preoccupazione nasce dal fatto che il soggetto dell’educazione (così come noi pedagogiste, noi educatrici) va visto nel contesto sociale in cui esiste, e, proprio per questo motivo, ha senso parlare di “comunità educante”. Ognuno di noi è inserito in una pluralità di comunità (i familiari, gli amici, il sistema di relazioni economiche, produttive, giuridiche…) entro cui sviluppa le proprie azioni e si disegna la propria identità; e la comunità, attraverso le interazioni dei suoi membri, assume una propria fisionomia e, a poco a poco, si pone in relazione con altre comunità e con la cornice che le rende possibili, vale e dire la società.

La società di oggi, ricca di sfaccettature, liquida, magmatica, richiede che nei processi educativi sia impegnata tutta la comunità…Per questo è fondamentale che noi professioniste dell’educazione assumiamo la postura di chi vuole operare nel mondo e con esso continuamente rinnovarsi, cercando di appropriarci della realtà “mettendo le mani in essa”, tutti insieme. La sfida di oggi è lavorare affinché educhiamo alla responsabilità, alla partecipazione, al dialogo, alla tolleranza.

Nei giorni del residenziale si percepiva chiaramente che tutte eravamo lì per costruire, tramite percorsi riflessivi, una progettazione partecipata dell’azione educativa. Ognuna di noi ha portato un pezzetto di sé, tasselli, mattoni, perché si possa trasformare i contesti educativi in cui lavoriamo in comunità educanti attraverso il coinvolgimento e la partecipazione di tutti coloro che li attraversano. E questo a partire dalla comunità a cui abbiamo dato origine in quei giorni.
Tutti insieme è importante. Perché tutti insieme possiamo contribuire alla realizzazione degli obiettivi condivisi che ci diamo. E’ solo collaborando in senso partecipato che possiamo rivolgerci ai bambini e alle loro famiglie non solo come destinatari dei servizi, ma come protagonisti e attori attivi delle iniziative programmate e attivate.
E questo è di una potenza incredibile. E’ un ribaltamento di prospettive. Servizi portati aventi e costantemente migliorati da operatori che si confrontano con altri operatori e soprattutto da tutti coloro che li attraversano quotidianamente. Tutti.

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Educare è un verbo che ha radici latine: deriva da ex ducere = tirare fuori, rendere realizzabile (visibile) ciò che è possibile, ciò che è implicito in ogni persona, fin da bambino, la sua potenza, le sue potenzialità, il suo valore di persona, la sua dignità umana. Ma non basta. Educare è soprattutto un atto di reciprocità. Chi educa è anche educato e il suo sapere si gioca nell’atto dell’educazione. Educare non è solo formare. Educare è costruire insieme identità e futuro. Per questo il gruppo che abbiamo costituito in quei giorni, la nostra comunità educante, si è caricata di un ruolo molto importante verso chi frequenta i nostri servizi per l’infanzia: dobbiamo ora espandere i concetti e i valori che sono circolati tra di noi nel corso di quei tre giorni attraverso le nostre buone pratiche e il nostro lavoro. Abbiamo ora il dovere di mettere le conoscenze che sono circolate al servizio di fini costruttivi.

Abbiamo costituito una comunità educante che sta vivendo ed è in fermento; e come tale dobbiamo avere ben chiaro che una società plurale come quella in cui viviamo ha bisogno, come non mai prima di ora, di persone che sappiano assumersi responsabilità delle proprie opinioni e che sappiano accettare che le proprie opinioni possano cambiare nel confronto con quelle degli altri.

E, soprattutto, si è costituito un bel gruppo di colleghe che sono anche amiche. Un gruppo di amiche che hanno voglia di condividere pensieri ed esperienze, che hanno voglia di formarsi consapevoli che, per chi fa lavoro educativo e pedagogico, aggiornarsi è un dovere, oltreché un grande piacere. C’è un filo rosso che serpeggia, ormai, tra i nostri servizi, da Milano alla Toscana, passando per l’Emilia Romagna e le Marche…un fil rouge che ci unisce e ci rammenta la potenza del nostro incontro.

Concludo con una parte di una poesia scritta dalla cara collega Ilenia Schioppetti…ricordando a chi mi legge di guardare…anzi di “sguardare” con attenzione le persone a cui affidate i vostri bambini…

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“perdere il discorso.
tenere il filo.
che lega.
unisce.
protegge.
aiuta.
allunga.
di mano in mano.
storie.
scritte.
da un filo.
perdere il discorso.
tenere il filo.
che scrive.
storie.
di mano in mano.
e allunga.
aiuta.
protegge.
unisce.
lega.
rete.
di filo.
tenuto.
da un discorso perso.”

Il delicato passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia

La fine di maggio…l’inizio di giugno…

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L’anno educativo ancora non è terminato ma, inevitabilmente, i genitori dei bambini di tre anni pensano, in questo periodo dell’anno, e non senza un poco di ansia, al momento in cui si farà il passaggio alla scuola dell’infanzia.

Ci sono tante aspettative…C’è la paura di ciò che comporterà questo cambiamento importante…C’è il desiderio di crescere…

Nel passaggio nido-scuola dell’infanzia il bambino, da un lato, scioglie relazioni che ormai sono solide e ne stringe di nuove; d’altra parte, si trova dinanzi a nuovi ritmi, a spazi sconosciuti e organizzati in maniera diversa da quelli del nido e a un sistema di regole piuttosto differente. Deve, inoltre, “dividere” la maestra con altri 27 compagni, mentre al nido il rapporto educatrici/bambino è decisamente inferiore (generalmente 1/8).
Il bambino “grande” del nido diventa il “piccolo” della scuola dell’infanzia, deve lasciare affetti ormai consolidati per costruirne di nuovi e abbandonare esperienze ben note per affrontarne altre sconosciute.

Pertanto, è molto importante pianificare il passaggio…benché non sia possibile non considerare che qualche imprevisto ci sarà.

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Si deve, innanzi tutto, sviluppare preliminarmente una conoscenza reciproca, la più approfondita possibile, in modo che siano eliminati equivoci e incomprensioni determinati, principalmente, da comportamenti ed atteggiamenti ormai costume educativo quotidiano degli educatori del nido e della scuola dell’infanzia.
Il nido, infatti, punta sulla valorizzazione del rapporto individualizzato con il bambino, sottolineando l’importanza di momenti unici e particolari (considerati occasioni privilegiate di relazione), come l’ambientamento e le “routines”. La scuola dell’infanzia, invece, dà meno importanza al momento della relazione individualizzata, sulla sorta della convinzione della diversa e più “matura” età dei bambini; c’è qui, inoltre, una maggiore “intellettualizzazione” della attività che vengono proposte rispetto a quanto accade al nido, dove trovano maggiore spazio esperienze legate alla comunicazione verbale e non verbale ed alle prime esplorazioni sensoriali. Ecco perché è molto importante che le educatrici del nido e quelle della scuola dell’infanzia trovino spazi e tempi per interagire sistematicamente, al fine di individuare gli aspetti più positivi delle esperienze maturate.

Il passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia non va sottovalutato; esso, infatti, può costituire un’occasione di disorientamento, in quanto è un momento particolare per i bambini, che si trovano di fronte, come dicevo prima, ad un rovesciamento di prospettive: nell’ultimo periodo del nido sono abituati ad essere considerati i più grandi, mentre all’inizio ella scuola dell’infanzia sono i più piccoli e i più bisognosi di protezione. Questo può causare in loro dei comportamenti meno organizzati di quelli che erano stati loro propri negli ultimi mesi di nido.

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Questo, però, non deve far pensare al fatto che l’esperienza del nido può rendere più faticoso l’ingresso alla scuola dell’infanzia. Una ricerca condotta qualche anno fa dall’equipe della professoressa Susanna Mantovani dell’università di Milano-Bicocca ha, infatti, mostrato che i bambini del nido passati alla scuola dell’infanzia parlano molto più fra loro che non con gli adulti, a differenza di quanto avviene per i bambini che non hanno frequentato il nido; inoltre, il linguaggio socializzato è molto più presente nei bambini che provengono dal nido; lo stesso discorso vale per le attività e il gioco socializzato.

Anche il ruolo dell’educatore è soggetto a mutamenti. Nel nido l’adulto è un imprescindibile punto di riferimento per il bambino e per la costruzione della sua identità, con una particolare attenzione per l’acquisizione di competenze di tipo affettivo-emotivo e meta cognitivo; egli rassicura il bambino con la sua presenza, soprattutto nei momenti di transizione (addormentamento/risveglio, accoglienza/dimissioni); nello stesso tempo aiuta il bambino a riconoscere e a regolare le proprie emozioni, dando un contributo importante al loro contenimento e ha un ruolo importante e fondamentale per l’acquisizione delle prime conoscenze da parte del bambino, a cui vengono proposte esperienze di vario tipo. Nella scuola dell’infanzia, invece, il ruolo dell’adulto è più distaccato e mira in particolare a promuovere l’autonomia del bambino; questo non significa che un bambino, dai tre ai sei anni, non abbia bisogno di figure di riferimento, ma nel percorso alla scuola dell’infanzia può arricchire il processo di strutturazione della propria identità anche con l’interazione con altri adulti (diversi dalle educatrici di sezione). L’adulto, inoltre, anche alla scuola dell’infanzia deve favorire il riconoscimento delle emozioni, favorendo il consolidarsi di rapporti di amicizia e di solidarietà tra bambini. Al contempo è suo compito stimolare i bambini a costruire i propri codici simbolici verbali e non verbali.

Per tutte queste ragioni la conoscenza reciproca tra educatrici del nido e della scuola dell’infanzia appare irrinunciabile. Questo perché il mantenere una continuità tra le due realtà, negli stili educativi e nelle occasioni di apprendimento, negli incontri e nelle relazioni, può rendere più sereno l’ambientamento dei bambini nella scuola dell’infanzia. Bisogna, quindi, riservare la massima cura ai momenti di incontro tra i bambini del nido e quelli della scuola dell’infanzia, consapevoli che la continuità è un modo di intendere la scuola come spazio e luogo coerente, in cui ciascuno possa trovare l’ambiente e le condizioni più favorevoli per realizzare un percorso formativo completo.

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Tali situazioni di continuità vanno condivise anche con le famiglie che, in questo modo, potranno anticipare l’immagine del come sarà il passaggio tra il noto e il non-noto ed essere aiutate a comprendere il grosso cambiamento che avverrà.

Molti genitori possono vivere il momento del passaggio con dispiacere perché si sono molto affezionati agli spazi, ai luoghi, del nido e, soprattutto, alle educatrici e alla coordinatrice del servizio. Le educatrici, però, possono essere di grande aiuto in questo momento, garantendo supporto e serenità in una fase tanto delicata; devono, pertanto, prestare molta cura ai colloqui individuali e poi comunicare in modo trasparente con le colleghe della scuola dell’infanzia, tendendo tra i due servizi un filo sottile che guiderà i bambini che faranno il passaggio e le loro famiglie.

Può essere utile, oltreché emozionante, progettare attività specifiche che proiettano i bambini del nido in modo graduale in quello che sarà il progetto educativo che ritroveranno da settembre nella futura scuola.
Alcuni servizi portano i bambini del nido (e a volte anche i genitori) nelle aule delle scuole dell’infanzia che frequenteranno, in modo che possano conoscere i nuovi spazi, avere un primo assaggio delle future attività attraverso giochi e altre proposte. Accompagnare i piccoli alla conoscenza del nuovo che li aspetta tranquillizza anche le famiglie e facilita la conoscenza reciproca. Del resto le esperienze che i bambini vivono in questi momenti, sono pensate e progettate per aiutarli a prepararsi a un percorso che sarà ricco di stimoli e creano tra i servizi per l’infanzia una rete di condivisione nella progettazione e nella realizzazione di interventi educativi finalizzati al benessere dei bambini.

Bambini e rabbia. Che fare?

La rabbia è un’emozione che spaventa. E’ spesso difficile da gestire, soprattutto quando si manifesta in maniera violenta e soprattutto quando a provarla sono i bambini molto piccoli.

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La rabbia, però, esiste. E la dobbiamo nominare per poterla gestire in maniera “creativa”.

Quando un adulto, un genitore ma anche un educatore, si scontra con la rabbia di un bambino, prova fatica e senso di frustrazione. Succede anche a me,  che, per il tipo di lavoro che svolgo, sono abituata ad affrontare bambini arrabbiati. Proprio questi bambini, però, mi hanno insegnato che solo attraverso l’incontro e la capacità di stare con la rabbia in modo curioso e giocoso il più possibile possiamo restituire a questa emozione il significato di cui è portatrice. La rabbia, infatti, è sempre portavoce di un bisogno che vibra prepotentemente nella storia del bambino che la prova e che cerca spazio, parole, immagini; e, inevitabilmente, quando accompagnamo un bambino per un pezzetto della sua vita, camminando al suo fianco esploriamo il suo mondo, i suoi sogni, i suoi incubi e le sue risorse. Possiamo diventare testimoni di sofferenze e liberazioni, di ferite dolorose e incredibili rinascite e con i bambini riviviamo le storie di quando noi stessi eravamo piccoli e torniamo a sentire la voce del bambino che è in noi.

Ma che cos’è la rabbia?
E’ un’emozione primitiva che possiamo osservare presente già nei bambini molto piccoli e in molte specie animali diverse dall’uomo. Numerose ricerche hanno dimostrato che l’ira e i comportamenti che ne derivano sono determinati da ragioni legate alla sopravvivenza dell’individuo o della specie: gli animali attaccano perché qualcosa li spaventa oppure perchè vengono aggrediti, per cacciare un intruso dal proprio territorio o per difendere la prole.
Allo stesso modo, all’origine dell’umanità, l’espressione della collera era la modalità che garantiva all’uomo la conservazione della specie e, quindi, si tratta di una “reazione conservativa” contro una reale minaccia (la parola aggressività deriva dal latino aggredior, andare verso, affrontare la vita…
Nell’uomo moderno, nei momenti in cui la rabbia sopraggiunge, avvengono veri e propri cambiamenti fisici; quando sentiamo nascere in noi la rabbia tutto il sistema nervoso viene attivato e l’intero organismo vive uno stato di massima stimolazione, preparandosi all’attacco.
Quando ci arrabbiamo percepiamo la tensione interna crescere fino a sentire un bisogno quasi fisico di “scaricarci” al più presto per ritrovare uno stato di benessere. La rabbia è una potente energia psicologica che si attiva in ognuno di noi quando ci troviamo nell’impossibilità di soddisfare i nostri bisogni fisici ed emotivi, di indirizzare la nostra vita verso un senso di pieno benessere: in queste situazioni sentiamo crescere un senso di dolorosa impotenza che si accompagna ad un’intensa collera verso chi riteniamo essere la causa della nostra sofferenza o verso noi stessi perché non ci opponiamo a chi ci ostacola. Rappresenta quindi la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica sia psicologica, unita alla consapevolezza di evitare l’evento o la situazione frustrante e che un’altra persona, verso cui siamo arrabbiati, ha la volontà di nuocerci. In sintesi, ci arrabbiamo quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno/desiderio.

E la rabbia dei bambini? Si tratta di “capricci”? O è un’emozione importante che va accolta e compresa? E se un bambino è arrabbiato vuol dire che c’è qualcosa che non va?

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Posso raccontare un’esperienza che mi è stata portata da una coppia di genitori che ho incontrato in un percorso di consulenza pedagogica. Quest’uomo e questa donna hanno un figlio che, a un certo punto, ha iniziato ad arrabbiarsi in maniera molto potente; i genitori, pertanto, hanno provato a parlare con lui dicendo che la rabbia si può e si deve tirare fuori ma non urlando e tirando calci…Ci hanno provato, sì…Ma è finita che tutti e tre urlavano. Sono, quindi, passati alle punizioni, ma le scenate del bambino aumentavano…Così hanno iniziato a dire frasi del tipo: “Se non fai i capricci quando ti veniamo a prendere all’asilo, andiamo a prendere un bel gelato!”. Si sono presto resi conto che questa strategia, però, non sempre ha successo. Che fare allora?
Nel mio lavoro mi capita spesso di incontrare, nei racconti di molti genitori, una cesura tra la celebrazione verbale della rabbia (dei bambini) come emozione “giusta” e la risposta, nei fatti, alle manifestazioni di rabbia dei figli. Come se, a parole, tutti sapessero che la rabbia c’è, fa parte della crescita, non va negata, ma poi, di fronte all’ondata di disordine che porta con sé, gli stessi genitori si trovano disorientati.
Noi adulti, genitori ed educatori, siamo stati educati a pensare che essere arrabbiati significasse essere “cattivi” e spesso siamo stati colpevolizzati per aver espresso questa emozione.
Sarebbe più facile aver a che fare con la rabbia dei nostri bambini se ci sbarazzassimo di queste convinzioni. E’ importante che impariamo ad accettare i sentimenti di rabbia, a canalizzarli e indirizzarli verso un fine costruttivo.
Quindi quei genitori di cui parlavo prima, di fronte alla rabbia del loro figlio dovrebbero semplicemente accoglierla…”Capisco che sei arrabbiato…io sono qui per te, se hai bisogno…”.

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Genitori ed educatori dovrebbero permettere ai bambini di provare le loro emozioni e mostrare a loro modi accettabili di esprimere sentimenti come la rabbia. Le emozioni, soprattutto quando sono forti, non possono e non devono essere negate e gli scoppi di rabbia non dovrebbero essere visti come segni di problemi gravi. Dovrebbero essere riconosciuti e trattati con rispetto.

Per rispondere con efficacia ai comportamenti eccessivamente aggressivi dei bambini dobbiamo farci un’idea precisa di cosa li abbia scatenati. La rabbia può essere un modo per evitare sentimenti negativi e dolorosi come il fallimento, il rifiuto, la sensazione di solitudine o l’ansia in situazioni sulle quali il bambino non ha controllo.
La rabbia può essere anche associata a sentimenti di dipendenza, tristezza e depressione. Nell’infanzia la rabbia e la tristezza sono emozioni facilmente confuse, che provocano sensazioni fisiche simili ed è importante ricordare che molta parte di ciò che gli adulti esprimono con il pianto, i bambini lo manifestano come scoppi di rabbia.
Di fronte alla rabbia del bambini, inoltre, spesso noi adulti dobbiamo gestire e contenere non solo le loro reazioni ma anche le nostre: le loro intemperanze in noi risvegliano insofferenza, nervosismo, impotenza; in poche parole, risvegliano altra rabbia e un senso di smarrimento. L’importante è non lasciarli mai soli in balia di ciò che sentono, perché i bambini, a differenza degli adulti, hanno meno strumenti per controllare o esprimere in forma adeguata le loro emozioni.

Nella gestione della rabbia infantile, le nostre azioni dovrebbero avere come obiettivo “contenere e comprendere”. Dovremmo mostrare ai bambini che comprendiamo i loro sentimenti e desideriamo trasferire loro modalità espressive più sane e funzionali. Un adulto per esempio potrebbe dire ad un bambino arrabbiato: “Ti faccio vedere come farebbero altri bambini in questa situazione”, ma non è sufficiente comunicare ad un bambino che ha un comportamento inadeguato o dirgli cosa dovrebbe fare in alternativa. Dobbiamo fare da modello, fare esercizi e allenamenti tramite role playing e giochi interattivi. Inoltre dovrebbe essere chiaro ai bambini cosa ci si aspetta da loro e avere costanza e coerenza nelle reazioni e nelle richieste: non si può gridare ad un bambino di calmarsi e non urlare, così come non si possono usare la sculacciate per insegnare a non picchiare gli altri.

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Di fronte ad un bambino arrabbiato, innanzi tutto dobbiamo cercare di mantenere la calma. La cosa da fare è contenere il bambino in un luogo sicuro mentre sfoga la rabbia, senza rimproverarlo o urlargli contro, attendendo con pazienza che si calmi da solo. Vedere che non ci irritiamo aiuta a sdrammatizzare la situazione e lo tranquillizza immediatamente.

Dobbiamo poi avvicinarci a lui perché questo lo rassicura. Inutile, però chiedergli il perché della sua rabbia specie se è molto piccolo: non saprà dircelo. Meglio usare una frase del tipo “so che sei arrabbiato, andiamo in cameretta a calmarci un po’?”.

E poi possiamo mostrare ai bambini che ci sono altri modi per esprimersi; può essere utile dire ad un bambino arrabbiato una frase del tipo: “Quando urli così, la mamma fa più fatica a capire cosa dici, la prossima volta proviamo a non gridare?”. E poi rassicurarlo dicendo: “Vieni qui che la mamma ti dà un bacio…”.
A volte questo è un ottimo modo per calmarli.

Una volta sbollita la rabbia, si può chiedere al bambino cos’è che lo ha turbato a quel punto: “Ora dici perché ti sei arrabbiato in quel modo?”.
Questo lo aiuta a riflettere e a conoscersi meglio, anche se è molto piccolo.

Ci sono degli errori da evitare.
Dobbiamo fare in modo di non arrabbiarci più di lui. Questo è umano ma rischia di ritorcersi contro di noi; mettere in atto una reazione di rabbia dinanzi ad un bambino arrabbiato, vuol dire gettare benzina sul fuoco. Ci si mette sul suo stesso piano perdendo di autorevolezza e si rinfocola la sua aggressività senza aiutarlo.
Non dobbiamo nemmeno soffocare l’emozione di rabbia. Più la reprimiamo, infatti, più l’amplifichiamo e le diamo importanza. Meglio lasciare che la rabbia esca fuori: come tutte le cose umane, anche la rabbia dei bambini ha sempre un inizio, uno sviluppo e una fine.
Non dobbiamo neppure cercare di farlo ragionare. Troppe parole rischiano di non far arrivare al bambino l’unico messaggio importante: “ci sono cose che non si fanno, picchiare i compagni è una di queste. Punto e basta”.
E nemmeno è cosa buona punirlo severamente. così facendo, infatti, l’adulto perde di credibilità e non fa altro che rinforzare i comportamenti che si vogliono sradicare.

Linea dura solo se…Ci sono situazioni nelle quali la rabbia del bambino sfocia in vere e proprie crisi nelle quali rischia di perdere il controllo e di farsi del male. In questi casi la cosa più importante è fare sentire al bambino che, se lui non è capace di tenere a bada ciò che lo fa infuriare, noi sappiamo farlo per lui. Occorrerà intervenire in modo deciso, lasciando i discorsi a quando la tempesta sarà passata. Lo stesso tipo di intervento risulterà efficace anche se abbiamo a che fare con un bambino dalla personalità molto forte, tendenzialmente impulsivo e focoso. In questo caso mantenere una linea coerente e tenergli testa è molto importante.
Quando un bambino è travolto da un impeto d’ira, sente di non riuscire a controllarsi. Il fatto di essere bloccato con fermezza viene da lui interpretato come un segno che ci si preoccupa di lui.E ciò gli offre confini protettivi soprattutto quando diventa fisicamente aggressivo (dà pugni, calci, non riesce a stare fermo).
Se urla o è aggressivo, l’unica cosa che funziona è dargli uno stop fermo con il tono della voce pacato ma inflessibile. Il messaggio è: “Non ci sono spazi di trattativa. Questo non si fa, punto”. Questo lo rassicura, lo aiuta a confrontarsi con la frustrazione e ad accettare l’autorità.

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C’è un albo illustrato che spesso educatori e genitori utilizzano per parlare di rabbia ai bambini piccoli; si tratta dell’amato e odiato “Che rabbia!”, uno dei testi più venduti nelle librerie italiane grazie al tam tam infinito di educatrici, insegnanti e genitori che lo consigliano come strumento di rielaborazione delle emozioni negative dei più piccoli.
In questo albo, alla fine, Roberto, il piccolo protagonista, rinchiude la rabbia in una scatola. Questa azione, a volte riprodotta metaforicamente a scuola dagli stessi insegnanti o a casa dalle famiglie, viene, però, grandemente criticata dai pedagogisti, che non credono nella repressione degli stati d’animo. A questo libro, però si riconoscono altri pregi, primo fra tutti la fiducia riconosciuta ai bambini nel gestire autonomamente, senza l’intervento di un adulto, la paura della propria rabbia.
E’molto importante, anche in queste circostanze, dimostrare fiducia ai bambini…Questo aiuta loro nella crescita e nella gestione delle emozioni, anche quelle più scomode e negative.

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C’è poi un libro molto delicato di Alba Marcoli, la cui lettura consiglio ai genitori che sono spesso alle prese con la rabbia dei loro figli. Attraverso delle favole, la Marcoli ci aiuta a capire che la rabbia infantile cela il più delle volte una situazione di conflitto e di sofferenza psicologica. Quando un genitore si trova di fronte a tali manifestazioni spesso si sente in un tunnel: vede che il piccolo sta male ma non riesce a individuare i reali motivi che si nascondono dietro al disagio e all’angoscia del proprio figlio. La rabbia del bambino e spesso uno strumento per esprimere e comunicare altro, dolore, impotenza, paura dell’abbandono. Emozioni e sensazioni che, se fossero trasmesse con altri canali, potrebbero gettare un ponte tra bambini e adulti. Le favole raccontate nel volume, scaturite da storie reali, offrono importanti spunti per aiutare a comprendere meglio “il bambino arrabbiato”, favorendo lo scioglimento di quei nodi che gli impediscono di crescere in armonia con se stesso e con il mondo che lo circonda.

Concludo con uno spunto di riflessione importante.
Ci sono dei casi in cui la rabbia e l’aggressività sono segno di un disagio ben più profondo, che fatica a emergere in altri modi. Casi in cui le strategie prima elencate non funzionano. Può essere utile allora rivolgersi a professionisti esperti, come lo psicoterapeuta o, nel caso di bambini piccoli, lo psicomotricista.