Arriverà un momento per ogni cosa. “Spannolinamento” in quarantena?

Arriverà un momento per ogni cosa…fermiamoci ad attendere, è il momento di sostare, senza rincorrere conquiste che oggi ci metterebbero a dura prova e che, invece, domani potremmo raggiungere in un battito d’ali.

Tanti genitori, in questi giorni, però, stanno chiedendo ai noi che lavoriamo nei nidi suggerimenti per fare il passaggio dal pannolino al vasino. E’ arrivato il caldo e la bella stagione. Parrebbe proprio il momento.

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Credo che sia una richiesta legittima. Comprendo i genitori i cui figli fino a poco tempo fa frequentavano il nido e che a settembre andranno alla scuola dell’infanzia. Con alcuni di loro, probabilmente, le educatrici avevano iniziato a parlare di questo argomento e ci si aspettava di fare il passaggio in una prospettiva di alleanza e collaborazione. Adesso che, però, tutto è fermo, alcuni genitori sono un po’ in ansia e pensano che i bambini se la dovranno cavare facendo affidamento soltanto su mamma e papà.

La richiesta, però, mi ha spiazzata. Sono una persona molto fisica, ho bisogno di comunicare con gli abbracci, le mani sulle spalle, le carezze, i sorrisi, i respiri. E ora che tutto ciò è negato, fatico a mettermi in ascolto di una madre che sente il bisogno di togliere il pannolino al suo bambino. È più facile parlare di emozioni, di sentimenti…come stanno i bambini? Cosa dicono? Come vivono questo tempo? Non sono sicura che sia il momento degli “spannolinamenti”.
Anzi…credo proprio che la “quarantena” non sia una buona occasione per togliere il pannolino.
La buona occasione è quando è pronto il bambino, non quando siamo “comodi” noi adulti o quando siamo a casa (molto probabilmente impegnati nello smart working o con i figli più grandi alle prese con video lezioni e compiti).

E, a distanza, attraverso uno schermo se va bene, non mi sento di confrontarmi in merito a un passo tanto delicato. Il momento è particolare. Ai bambini stiamo già chiedendo di non vedere i nonni, gli amichetti, di non uscire fuori a giocare, di sopportare le nostre ansie e i nostri nervosismi. Dobbiamo chieder loro un ulteriore sforzo? Tanto più che adesso molti di loro hanno bisogno di fermarsi e consolidare le competenze che avevano acquisito nei mesi in cui hanno frequentato i nidi e, probabilmente, data la situazione ci sono state delle regressioni, piccole o grandi.

Proviamo a fare qualche riflessione. Può venirci in aiuto la lettura di un delicato albo illustrato che mi ha consigliato la dottoressa Jessica Omizzolo dei servizi educativi di Fano, mia preziosissima amica. Il fatto è di Gek Tessaro, che racconta con la più assoluta semplicità la complessissima mente dei bambini, che segue logiche estranee agli adulti.

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L’albo racconta di un paperotto e il fatto è che quando un paperotto non pensa sia il momento di fare il bagno non c’è anatra o catena animale o lupo che tenga: resta incollato al prato!!! Non lo smuove nulla, proprio com succede con i bambini.
La paura non ferma il papero; semplicemente non ha voglia di fare il bagno e ancor meno di essere spinto a farlo, anzi, più è spinto meno è collaborativo!
Non è difficile da capire ma pare che per i grandi sia pressoché impossibile: tutti pensano che il paperotto stia facendo i “capricci” o che abbia paura. Invece sta solo chiedendo di essere rispettato. Non è il momento. Non se la sente di fare il bagno. Ma lo farà! Sul finire della mattinata, quando il sole avrà scaldato l’acqua, senza nessuno intorno che spinga o controlli, il paperino, infatti, si tuffa perché ne ha voglia. Per il suo piacere. Perchè sente che quello è il momento.

Ogni bambino, proprio come i paperotti, ha il proprio tempo per fare conquiste. Non è bene mettere fretta. E’ frustrante.
Il tempo giusto per togliere il pannolino si capisce dopochè abbiamo osservato attentamente i nostri bambini. E’ vero! La primavera è generalmente la stagione in cui i bimbi dell’ultimo anno di nido, quelli delle sezioni “grandi” lo abbandonano…Io credo, però, che quest’anno si possa rimandare e che si debba tralasciare di fare paragoni o di ascoltare quello che suggeriscono gli altri.

Forzare i tempi è irrispettoso. Ce la faranno comunque. Ma quando sentiranno che è il momento. E vi stupiranno tanto saranno veloci e precisi.

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E quando il momento arriverà, i bambini lo faranno capire. Ricordate, però, che come il camminare, anche l’autonomia dal pannolino è un percorso fatto di incidenti. Che sono fisiologici e non devono buttarci a terra. Non è come accendere o spegnere un interruttore. Quindi…calma e tanto, tanto sangue freddo.

Cercate di sintonizzarvi con il vostro bambino. Concentratevi sulla relazione. Non fate paragoni con nessun altro e non guardate che succede intorno a voi. Guardate il vostro bambino. E vedrete che andrà bene. Andrà da se’.

La quarantena può essere un momento in cui beneficiare del tempo che normalmente non si ha a disposizione. Questo tempo va sfruttato in maniera creativa e generativa, facendo in modo che sia il tempo dell’ascolto. Il benessere di un bambino oggi, e in questo tempo più che mai, dipende dalle relazioni che i genitori instaurano dentro casa e con lui, pertanto è fondamentale rendere lo sfondo di queste giornate autenticamente educativo, oltreché amorevole. I bambini piccoli in questa fase hanno, infatti, ancor più bisogno di comprendere che i genitori sono una risorsa.

Siete ancora convinti di volere togliere il pannolino al vostro piccolo?

Pensateci con cura…e, quando sarà il momento, provate ad affrontare questo passo con un po’ di arguzia e ironia. Sarà di grande aiuto. Ridiamoci su. Delicatamente, ma ridiamoci su. Degli incidenti. Delle chiazze sul divano. Delle pozze sul pavimento. Viviamo, adesso ma anche dopo, la quotidianità con leggerezza…ridere aumenta la produzione di dopamina nel cervello, un neurotrasmettitore che attiva anche meccanismi naturali che agevolano l’apprendimento.

Genitori in “quarantena”…come sopravvivere?

Tanti sono i genitori che conosco e che stanno faticosamente “annaspando” in questa lunga…lunghissima quarantena. E tanti di loro chiedono come superare senza soccombere questo periodo di emergenza.

Molti di coloro che hanno figli in età da nido o da scuola dell’infanzia, in questi giorni stanno lavorando in modalità smartworking. Alcuni lo hanno già fatto in precedenza e, pertanto hanno idea di come gestire il lavoro da casa con dei bambini piccoli di cui, in un modo o nell’altro, ci si deve prendere cura. Per altri, invece, è cosa nuova. E, per questo, forse spiazzante. Ma si può fare. Anzi si deve, visto che, in questi giorni di emergenza, tante alternative non ci sono.

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Come gestire allora il lavoro da casa senza poter uscire ed avere contatti con altre persone? E come far sì che questa situazione sia vissuta in maniera serena dai bambini?

Innanzi tutto è importantissimo separare il tempo che si dedica alla famiglia da quello che si dedica al lavoro, un po’ come se si andasse in ufficio; è frustrante fare le due cose insieme e non si riesce a farne bene nessuna

Se possibile, poi, bisogna separare i luoghi; se si ha una casa grande, è bene individuare una stanza dentro cui si lavora e basta; se questo non è è possibile, allora di deve trovare una postazione su cui mettere il computer, un block notes, dei post-it (un tavolo, un banchetto, una scrivania…) e dichiarare che quello è il posto in cui voi lavorate ed è bene che nessuno tocchi.

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Se entrambi i genitori sono a casa in modalità smartworking,si dovrebbe pensare a fare dei  turni (almeno di 2 ore, 4 meglio); un genitore lavora mentre l’altro si occupa dei figli, e a fine turno si cambia. Entrambi i genitori hanno gli stessi diritti e la qualità del lavoro deve essere quella di sempre.

E’ fondamentale non aspettarsi che i colleghi siano comprensivi mentre si gestiscono i figli. Pertanto, se si deve staccare a causa dei bambini, è bene dirlo chiaramente fin dall’inizio, perché così nessuno fraintenderà eventuali momenti di assenza.

Se si vuole lavorare, bastano poche ore, purchè siano di qualità, e, soprattutto, completamente a nostra disposizione. Pertanto è fondamentale stabilire che cosa fare, prendere coscienza del tempo a disposizione e usarlo bene.

E’ molto importante che la giornata abbia un’organizzazione ben precisa. Non siamo in vacanza, quando i tempi sono dilatati ed è possibile e direi anche terapeutico non guardare mai l’orologio. Ci si deve, quindi, svegliare come se si dovesse andare in ufficio, con la sveglia, puntata alla solita ora o un po’ dopo. Ma non a mezzogiorno.
La cosa migliore sarebbe quella di tenere gli orari di lavoro che si hanno normalmente, pur concedendosi  di essere meno “fiscali” sul tempo in modalità smartworking. Non si deve dimenticare che la quantità di lavoro è sempre la stessa. E bisogna essere puntuali se ci sono appuntamenti telefonici o video-chiamate.

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Se si deve dividere il tempo da dedicare al lavoro con il vostro compagno o la vostra compagna, i turni di cui parlavo prima, si possono ottimizzare i tempi. Uno dei due può iniziare la mattina presto e l’altro finire la sera poco prima di cena, per esempio. Si può diminuite il tempo dedicato alla pausa pranzo: trenta minuti possono essere sufficienti. Se arriva tanta posta, si possono leggere i messaggi più brevi la mattina appena svegli, dal cellulare; per quelli più lunghi si possono usare i ritagli di tempo (ahimè, è il momento mettere da parte YouTube, Netflix, Sky e tutto resto in questo periodo) e per i messaggi importanti si può usare il tempo immediatamente dopo la pausa pranzo.
Non c’è un tempo infinito a disposizione, quindi il “lo faccio dopo, quando ho un po’ di tempo” non deve diventare una regola. Se serve, si può usare qualche mezz’ora dopo aver messo a letto i figli, ma è bene ricordare che c’è bisogno di un po’ di decompressione. Soprattutto in questo periodo.

Ricordate, però, che non siete soltanto dei lavoratori, ma anche una coppia, oltrechè dei genitori.

In questo momento in cui tutti, o quasi, siamo a casa, è difficile condividere spazi, tempi e gestione delle faccende di casa. Non siamo abituati a una situazione come questa, pertanto dobbiamo attrezzarci e adottare modalità nuove di gestione della nostra giornata.

E’ molto faticoso, se siamo abituati a passare buona parte del giorno fuori di casa, a incontrare sempre molte persone, ad avere tante ed appaganti relazioni sociali, essere costretti a vivere in una manciata di metri quadrati. Può aiutarci il pensiero che lo stiamo facendo per un bene comune. Siamo in casa, senza poter uscire, senza poter avere spazi e tempi tutti per noi, perché non vogliamo rischiare di contagiare qualcuno qualora avessimo contratto questo virus. E non vogliamo essere contagiati noi.

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E’ vero che sapere di poter contare, ogni giorno, di uno spazio esclusivo, in cui non facciamo entrare nessuno, è confortante. Il non poterlo più avere, all’improvviso, ci può causare un po’ di ansia e depressione. Proviamo, allora, a condividere con il nostro compagno o con la nostra compagna questo nostro stato d’animo. E’ importante, ora, esplicitare i nostri bisogni e, soprattutto, le nostre emozioni. E’ vero che, generalmente, nelle famiglie la comunicazione è legata all’operatività: butta la spazzatura! Compra questo o quello! Porta i . bambini in piscina o a pallavolo! Adesso, invece, proviamo a comunicare stati d’animo…Chissà che non continuiamo anche a fine emergenza…Attiviamo, all’interno della coppia, uno spazio di ascolto in cui ci si confida reciprocamente ansie e paure, senza vergognarsi di essere fragili.

E’ importante organizzare la giornata anche se si sta lavorando, se non si hanno incombenze o appuntamenti quotidiani che la scandiscono: se non mettiamo a punto un’organizzazione, anche minima, rischiamo di perdere l’orientamento.
Cerchiamo, pertanto, di mantenere il consueto ritmo sonno-veglia: andiamo a dormire all’ora abituale e svegliamoci all’ora a cui siamo abituati a farlo.

Ricordiamoci che i giorni non sono tutti uguali; è fondamentale ricordarci che oggi è martedì piuttosto che domenica: quando le routine sono spezzate è facile avvertire un senso di smarrimento perché non si è più motivati all’azione, pertanto è fondamentale riprogettare la quotidianità per favorire la ristrutturazione di un senso psicologico e cronologico.

Curiamoci costantemente della nostra persona, come se dovessimo uscire e incontrare altre persone. In questo modo non perdiamo il contatto con la parte sana di noi stessi e non torniamo continuamente alla situazione di emergenza rendendola ancora più vivida.

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Manteniamo i contatti sociali; la tecnologia ci può aiutare a farlo. Possiamo usare le videochiamate al posto delle chiamate tradizionali: ci danno un maggiore senso di vicinanza e lo danno ancor di più alle persone anziane o ai bambini. Organizziamo un caffè con le amiche via Skype!

Facciamo attività fisica. E’ vero che non possiamo andare in palestra o uscire per fare una corsa, ma ci sono migliaia di applicazioni che propongono allenamenti on line e corsi di fitness che si possono fare in casa; e se il fitness non ci piace, possiamo accendere la radio e metterci a ballare, fare le scale del condominio, fare stretching.

E poi facciamo qualche progetto per il futuro. Sono tanti i sogni nel cassetto che non abbiamo mai provato a realizzare per il tempo tiranno. Questo è il tempo pe leggere un libro comprato tanto tempo fa e lasciato nella libreria, per fare un corso di pittura tra i tanti che si trovano on line, per fare una visita virtuale ad un museo.

E in questo modo possiamo far sì che vada tutto bene.

E quando torneremo ad abitare i nostri servizi…

Ad oggi ci hanno detto che le scuole resteranno chiuse fino al 3 di aprile e, per la verità, non abbiamo la certezza che quel giorno potremo tornare nel nostro nido, nella nostra scuola dell’infanzia…Anche se noi quella certezza vogliamo averla, vogliamo credere fortemente che i nostri servizi possano riaprire presto.

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Noi umani viviamo un tempo ordinario in cui sono scandite le nostre azioni abituali della giornata, della settimana, del mese e persino dell’anno. E ora siamo disorientati. Anche i bambini vivono il loro tempo ordinario, fatto di azioni che si susseguono cronologicamente: svegliarsi, fare colazione, andare a scuola, andare in piscina,…In questo momento loro avvertono un sentimento particolare: la perdita del tempo ordinario! Oltretutto il tempo straordinario di questi giorni è diverso da quello delle vacanze, pieno di giochi, di divertimenti, di aggregazioni gioiose anche fra adulti. Quello di oggi è un tempo nuovo e non sempre comprensibile.
Dobbiamo imparare ed insegnare ai bambini a gestire bene questo tempo che rischia di diventare troppo pieno o troppo vuoto, troppo leggero o troppo pesante.
E’ molto importante, in primo luogo, che passiamo ai nostri bambini la convinzione che arriveranno di tempi migliori, li stiamo attendendo, e la fiducia nella nostra capacità di saper affrontare le sventure della vita, la speranza che possiamo tornare alla vita di prima molto presto.

Im questi giorni lenti e lunghi, noi che lavoriamo nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, prepariamo tanti video da mandare ai bambini; li salutiamo, mandiamo baci che schioccano. Diciamo loro che ci mancano, tanto, anche se non possiamo abbracciarli, toccarli, vederli. Qualcuna di noi legge i libri che i bambini amano di più…l’ho fatto anche io…qualcun’altra canta le canzoni che si cantano con i bambini, qualcun’altra suggerisce giochi da fare tutti insieme, nello spazio ristretto della casa. E’ un lavoro prezioso…restituiamo volti e voci familiari ai bambini che dalle aule colorate delle scuole si ritrovano chiusi in casa in questi giorni di emergenza. In questo modo si tenta di non perdere il filo rosso della relazione. E è un modo per accorciare le distanze e rendere questa situazione più gestibile per i bambini e aiutarli ad affrontare questo cambiamento così forte. Dobbiamo impegnarci per dare continuità alla relazione educativa con le famiglie e con i bambini; per farlo, oggi, abbiamo le tecnologie, grazie a cui possiamo mantenere uno spazio minimo, ma fondamentale, di socializzazione. E continuare a sostenere, a distanza, le “nostre” famiglie.
Senza, però, dimenticare che, a distanza, mancano gli sguardi, ed è una mancanza pazzesca, le risate risate, i pianti e anche…le sacrosante incavolature.
Usiamo pure la tecnologia, ma al meglio…Gli inventori delle relazioni siamo sempre noi, la reciprocità è tale che quando manca, non si può fare proprio nulla se non insistere affinché ci sia, senza cedere.

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E che succederà quando potremo tornare a ripopolare i “nostri” servizi? Come potremo accogliere i bambini e le famiglie dopo una chiusura tanto lunga? E che accadrà dopochè tutti avremo vissuto un periodo certamente non facile?
La prima cosa che dobbiamo tenere bene a mente è che il giorno in cui il nido, la scuola dell’infanzia, riapriranno le porte non ci saranno consegnati solo i bambini, ma anche un mondo di emozioni…Riaccoglieremo i bambini che hanno vissuto un tempo di destabilizzazione a causa della mancanza delle solite routines, bambini che hanno visto genitori impauriti e forse qualche parente ammalarsi, bambini che, troppo spesso, hanno sentito parlare di morte. E, insieme a loro, riaccoglieremo madri, padri, nonni, zii che hanno dovuto far fronte, in solitudine per lo più, all’ansia e al panico, che hanno avuto forte bisogno di sostegno che, forse, non è mai arrivato, che hanno passato tanti giorni in casa in una condizione se non di clausura, di relativo isolamento.

E come li accoglieremo? Come sarà il nostro primo abbraccio?
La sospensione delle attività nei servizi educativi e la loro chiusura al pubblico si è rivelata negativa per lo sconvolgimento della vita familiare dei genitori lavoratori e, anche se in alcune realtà si sono avviate modalità per mantenere le relazioni, come dicevo prima, manca la corporeità, il contatto e la dimensione socializzante del gruppo di bambini. La tecnologia ci è utile, ma è pur sempre una soluzione di emergenza, e, per quanto ci sforziamo, restare connessi in questo modo, non è come se potessimo toccarci, parlarci a venti centimetri di distanza. Il contatto diretto è insostituibile. Mai come oggi ci rendiamo conto di quanto i servizi educativi, i nidi, le scuole dell’infanzia, non siano luoghi di custodia, bensì luoghi di educazione.

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E…allora…che accadrà il giorno della riapertura? Forse qualche famiglia ce la saremo persa, questo è da mettere in conto. La relazione con le famiglie è qualcosa di molto complesso, si costruisce nel tempo, un giorno dopo l’altro. E’ possibile che con qualcuno, per tanti motivi, non siamo riuscite a costruire un legame forte e, allora, li avremo persi. Tante altre famiglie, però, torneranno, torneremo a dialogare e a occuparci, insieme, della co-educazione dei bambini.

Qualcuno dei miei conoscenti o amici che ha bambini che frequentano il nido mi ha chiesto se sarà necessario ripetere l’ambientamento. Molti, in verità, sono un po’ spaventati da questa eventualità perché è probabile che quando le aziende riapriranno ci sarà molto da fare e non sarà semplice avere un periodo di ferie per riambientare i bambini al nido o alla scuola dell’infanzia.
Io credo di no. Non dovremo prevedere un ri-ambientamento. Tutto questo è accaduto in un momento dell’anno in cui gli educatori conoscevano già piuttosto bene i bambini, in cui i genitori avevano già acquisito fiducia nel servizio e in cui i bambini erano già padroni di spazi, tempi e routine…Ci sarà, probabilmente, bisogno di qualche giorno per riassestarsi, un po’ come dopo il rientro dalle vacanze estive, ma direi che nessun servizio proporrà lunghi tempi di rientro. Le relazioni già consolidate difficilmente sfumano.

Dovremo, certamente, essere molto flessibili. Molto più di quanto già lo siamo. Se i genitori, i nonni, gli zii,…avranno bisogno di tempi più lunghi nei momenti dell’accoglienza o del ricongiungimento dovremo concederli. Dovremo attrezzarci per farlo. E’ molto probabile che i genitori avranno bisogno di una parola in più…la situazione di oggi lascerà dei segni, anche profondi, e noi educatori dovremo essere pronti ad accogliere tutta la fatica vissuta, anche modificando qualcuna delle nostre modalità.

Prima della riapertura le équipe educative dovranno certamente riunirsi. Intanto per avere la possibilità di godere anch’esse di uno spazio e di un tempo per mettere sul piatto le fatiche attraversate…perchè anche noi che cerchiamo di essere sempre sorridenti, di trasmettere gioia e serenità, viviamo dei momenti di difficoltà. E poi per decidere tutti insieme come riaprire le porte del nostro servizio.
E dovremo pensare anche al personale ausiliario che, in molti casi, è rimasto a presidiare il servizio, a prendersi cura degli spazi disabitati. Dovremo coinvolgere anche le nostre ausiliarie nel momento della riapertura.

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E dovremo preparare le famiglie al rientro. Potremo mandare qualche messaggio, chiamarle una per una…per salutarle dal vivo e dire loro che le aspettiamo con gioia. Dobbiamo far sentire loro che le stiamo aspettando. Stiamo aspettando i bambini, le mamme, i papà, i nonni, tutti. E’ giusto che le famiglie sappiano quello che accadrà, come abbiamo pensato di riaccoglierle. E che sappiano che cosa abbiamo fatto in questo lungo periodo di lontananza.

E quando i bambini varcheranno di nuovo la soglia delle sezioni, dovremo salutarli uno per uno…ad ognuno dovremo dedicare una parola speciale. Dovremo mandare a ciascuno di loro questo messaggio: “Ti aspettavo! Sono felice che tu sia tornato. Ti ho pensato tanto in questi giorni in cui non ci siamo visti.” E’ nostro dovere parlare ai bambini e cercare di spiegare come ci siamo sentite durante la chiusura dei servizi. Perché, come ho spesso sostenuto, i bambini sono competenti. E comprendono bene parole e stati d’animo.

Condizione imprescindibile perché ci sia cura, ci sia educazione è la partecipazione consapevole di chi educa alla relazione. Non sarà una passeggiata il nostro rientro, questo no…Ma abbiamo bisogno di sapere che torneremo e i bambini e le loro famiglie hanno bisogno di sapere che speriamo che #andratuttobene.

#andràtutto bene…

sabato 14 marzo 2020

Sono ormai tre settimane che la mia Regione, la Lombardia, è piombata in uno stato che in cui mai avrei immaginato di trovarmi. Le strette di mano sono proibite, come pure gli abbracci e i baci, benché, come è dimostrato, in tempi non sospetti facciano benissimo. Nei luoghi pubblici, se sei costretto ad uscire, è doveroso rispettare una certa lontananza, un metro o  più l’uno dall’altro. Ci salutiamo, da lontano, con le mani che sanno di alcol. La vita social che ci fa un po’ di orrore e che da tempo cerchiamo di combattere ha sorpassato la vita sociale e di gran lunga. Ci aiuta a trascorrere un po’ meno soli queste giornate in cui si deve restare in casa. Le lezioni, gli incontri di formazione e aggiornamento, le riunioni di lavoro non sono più dal vivo ma in collegamento. Abbiamo smesso di incontrare le persone, di toccarle, sentire il loro odore di uomo, ma chattiamo; facciamo smartworking e non andiamo in ufficio; videochiamiamo parenti ed amici anche se abitano poco distanti e non andiamo a casa loro. Chi può, prende le ferie…salteranno le vacanze estive? Forse, ma ci penseremo a primavera inoltrata.

E’ ora in stand by la possibilità di ognuno di noi di vivere incontri autentici ed arricchenti. Benché sia, questo, diritto di ogni essere umano. Perché è attraverso gli incontri che sviluppiamo la nostra identità, in quanto la costruiamo attraverso le relazioni di valore. Vivere genuine relazioni interpersonali significa coltivare la propria disponibilità emotiva, l’apertura, la flessibilità e il senso del gruppo, dimensioni attraverso le quali la vita affettiva, sociale e professionale si può svolgere in maniera adeguata.

Il fatto di non avere la possibilità  di vedere, sfiorare, toccare altri corpi, ci impedisce di vivere il nostro come dimensione relazionale. Condizione di tale dimensione, infatti, è la disponibilità emotiva, da intendersi come apertura alla presenza dell’altro nella nostra sfera. Tale dimensione, inoltre, è facilitata dalla vita di gruppo.

Ai tempi del coronavirus tutto questo viene meno. Quello che possiamo…anzi…dobbiamo fare è non dimenticarlo. E’ doveroso attenersi alle disposizioni e limitare le occasioni di aggregazione, ma non dimentichiamo la vita sociale che facevamo in tempi non sospetti. Perché, sono certa, torneremo a farla. Torneremo alla nostra normalità. Non so quando accadrà. So solo che accadrà. Teniamoci vivi con i ricordi di ieri. In attesa di vivere di nuovo il nostro presente con gioia e pienezza.

Io sono pedagogista ed educatrice. Svolgo buona parte del mio lavoro con i bambini. E così le mie dodici colleghe. E le tante, tantissime colleghe, che sono impiegate nei servizi per l’infanzia che, da ormai tre settimane, non sono più attraversati dai bambini e dalle loro famiglie. E chissà quando torneranno ad esserlo.

Tante persone mi scrivono o mi chiamano e mi chiedono di aiutarle a passare questo tempo con i loro bambini. Ci troviamo a vivere, da un momento all’altro, una nuova realtà a cui nessuno ci ha preparato. Incrociamo gli altri senza poter entrare in relazione con loro; è come se, perennemente, vivessimo in un non-luogo. Se abbiamo la necessità di uscire di casa, oggi abbiamo bisogno di un’autocertificazione…Fino a qualche giorno fa gli uomini avevano un’anima e un corpo, oggi hanno bisogno anche di qualcosa che dimostri che non era possibile per loro restare in casa come ordinato, altrimenti non vengono trattati da esseri umani. Troviamo faticosamente la nostra identità solo nello spazio delle mura domestiche, ormai.

Dobbiamo re-inventare le relazioni in un momento in cui ci dicono di non averne perché dobbiamo preservare la salute di chi è più debole e non far collassare il nostro sistema sanitario. E’ giusto questo, ma dobbiamo necessariamente inventarci un modo per essere in relazione.

A differenza di quanto accadeva nel passato, oggi i genitori cercano ossessivamente di riempire la vita dei figli con esperienze divertenti e positive, aspirando per loro conto al raggiungimento di un livello di felicità estremo, di evidente rassicurazione per le famiglie così tanto impegnate nella routine quotidiana.
La vita, però, non è mai un crocevia di soddisfazione, gioia e divertimento. Le difficoltà, i dolori, i momenti di tristezza esistono ed assumono un ruolo chiave nello sviluppo evolutivo di un bambino. Un ruolo che non dovrebbe essere paralizzato dai continui tentativi genitoriali di trasformare l’esistenza dei figli in una sorta di luna park infinito.
E, ai tempi del coronavirus questo deve essere molto più chiaro di quanto non lo sia mai stato prima.

Cosa mi sento di dire ai genitori che sono in casa con i loro figli e che cercano, nello stesso tempo, di tenere in piedi la vita professionale?
Spesso, facciamo vivere ai nostri bambini esperienze nel fuori. Gli esperti di Outdoor education ci dicono che ognuno, anche i più piccoli, nei propri modi e tempi, può avviare un lavoro individuale di osservazione, di raccolta e di scoperta con il materiale che la natura offre. La natura offre possibilità di crescita , sviluppo ed esperienza.

Oggi, però, dobbiamo affrettarci ad imparare a fare esperienze con i nostri bambini nel dentro. Dobbiamo cercare di guardare le cose da una prospettiva differente e cercare di offrire ai nostri bambini possibilità di nutrimento in una situazione che per loro è certamente più faticosa che per noi adulti.

Noi educatrici, abituate a leggere con i bambini al nido, possiamo lanciare ai genitori dei consigli per delle letture, oppure, se ce la sentiamo, possiamo farci riprendere mentre leggiamo uno o più libri che sappiamo che i bambini amano e far avere i video alle famiglie. Può essere un modo per aiutare i bambini a trascorrere un po’ di tempo in serenità e perché possano vederci e mantenere un piccolo legame con il nido o la scuola dell’infanzia. E un modo perché le famiglie percepiscano e sentano che educatrici e insegnanti non li lasciano soli in questi tempi difficilissimi. Si può tentare di costruire una comunità educante pronta ad assumersi per tutti i giorni in cui durerà questa inaspettata “quarantena” responsabilità ed iniziative educative. Una comunità che si nutrirà di interrelazioni, di scambi, di reciprocità, in modo diverso da come si è sempre fatto fino ad ora.

E’ il tempo in cui la tecnologia può trarci in salvo, anche se questo ci indurrà a mettere in stand by i progetti educativi a cui stavamo lavorando. Gli esperti ci dicono che le tecnologie, sempre più accessibili ed economiche, permettono di fare cose impensabili, ma, hanno portato problematiche non previste per i più giovani (abuso, adescamento online, sexting, cyberbullismo,…). E dicono che noi adulti dobbiamo  svolgere un ruolo di tutori, consentendo ai ragazzi di esplorare, ma nel rispetto delle specificità dell’età.

E noi educatrici e pedagogiste? Possiamo usare i nostri cellulari e i nostri tablet per regalare un pezzetto di noi alle famiglie. E regalare un po’ di intrattenimento. Farli stare un po’ con noi dopo tanto che non ci si vede. Facciamo regali in attesa che venga il tempo in cui potremo abbracciarci, coccolarci, stare insieme. Possiamo, in questo modo, creare un mondo di “ricordi condivisi”. Dai nostri video ne possono nascere altri che fanno le famiglie per mostrarci che fanno i loro bambini in questo tempo tanto insolito anche per loro. Ricordi condivisi per il giorno in cui ci rivedremo.

Noi educatrici del nido “il girotondo” di Bresso (MI) lo abbiamo già fatto…Con l’animo gonfio di emozione abbiamo mandato dei messaggi ai bambini e ai genitori del nostro nido. Abbiamo avuto un po’ di tempo per rinnovare gli spazi e rendere più belli e più accoglienti e desideravamo che lo sapessero. Abbiamo paura anche noi come tutti loro, ma sappiamo che nei bambini funziona molto la sintonizzazione emotiva con ciò che sentono, pertanto abbiamo voluto rassicurare le famiglie, perché se i bambini stanno in un mondo dove c’è solo paura la loro crescita si blocca. Le abbiamo volte rassicurare: ci rivedremo alla fine di questo brutto momento e torneremo a fare tutto quello che facevamo prima. Meglio di prima e con più voglia di fare.

Tutti noi, di fronte a questo virus, abbiamo tante domande: «Perché? Quanto dura? Come si fa a sconfiggerlo? Come posso essere certo di non averlo preso?». Siamo tutti come bambini. Come loro non abbiamo nessuna risposta.  Le stanno trovando gli scienziati e i ricercatori che lavorano senza tregua. Possiamo però diventare responsabili. Per un po’ ci sarà una sorta di coprifuoco, non ci potremo incontrare. E dobbiamo, noi adulti, capire che questa è, oggi, l’educazione che dobbiamo dare ai nostri bambini e che serve al mondo. Di cui dobbiamo essere protagonisti.

Grazie alla diffusione delle linee aeree a basso costo, noi genitori abbiamo portato in giro per il mondo i nostri figli fin da piccolissimi. Abbiamo fatto sì che il mondo fosse la loro casa. Lo abbiamo continuato a fare anche quando i terroristi volevano convincerci del contrario. Volevano farci chiudere nelle case e impaurirci in seguito ai loro attacchi omicidi. Non ci siamo piegati e abbiamo continuato a spingere nel fuori i nostri figli, a dire loro di andare, di non fermarsi. Niente avrebbe dovuto piegare il diritto alla libertà.

Oggi diciamo l’esatto contrario. Chiediamo di rimanere in casa. Di essere lenti. Di riappropriarci del noi nel dentro, con ritmi diversi. In attesa che passi la paura.