I servizi educativi non devono chiudere! Non devono essere abbandonati!

Ieri sera ho guardato “Striscia”. Erano anni che non lo facevo. Chissà perché proprio ieri. Passavano le immagini ed ero annoiata, quando, a un certo punto, è stato mandato in onda il servizio di Chiara Squaglia.
Amici di Striscia, oggi parliamo di rette!…Le rette degli asili nido…Ebbene diversi genitori ci hanno segnalato che alcuni asili nido PRETENDONO comunque il pagamento dell’intera retta mensile!
Quanto sdegno nelle parole della Squaglia. Del resto, lei fa il suo mestiere. E l’audience deve essere alta.

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Mi sono irrigidita. Ho ascoltato tutto il servizio con la massima attenzione. Mi sono sentita chiamata in causa.

Come tanti sanno, ho gestito un servizio educativo per dieci anni. Lo scorso luglio, però, ho deciso, per una serie di motivazioni di cui non discuto in questa sede, di cedere l’attività. E’ avvenuto tutto con molta facilità…il nido funzionava bene, con degli utili di tutto rispetto (cosa non tanto scontata di questi tempi)…Ho ceduto solo il nido. Non ho ceduto le emozioni vissute in tanti anni, la ricchezza (non i termini economici) che il lavoro in quel posto mi aveva donato, la professionalità acquisita grazie all’aver attraversato quel servizio…Tutto questo l’ho tenuto gelosamente per me, per condividerlo con le mie nuove colleghe e tutti coloro che avranno piacere ancora di condividerlo.

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Non ho il cuore pesante in questi giorni, non posso dire diversamente…

Lavoro in un nido comunale e credo che difficilmente, alla fine dell’emergenza, non ritroverò il mio posto…Sarà tutto diverso, questo lo so…ma non sarò rimasta senza un lavoro. E di questo, benché non sia donna di fede, forse devo ringraziare il Cielo.
Ho, però, tante care amiche che sono titolari di asili nido o centri per l’infanzia che hanno l’animo gonfio di angoscia. Maria Teresa, Alice, Alessia, Sandra, Letizia, Federica, Ambra, Ilenia, Viviana, Cinzia…e, con loro, tantissime altre.

Intendiamoci, so bene che tante famiglie sono in difficoltà e che la richiesta di sospensione delle rette, visto che non ricevono un servizio, è sacrosanta e se vale per le strutture pubbliche non può non valere per quelle private, per non creare una disparità tra i cittadini.
Ma so anche bene, molto bene, che per le strutture private le rette pagate dalle famiglie sono l’unico strumento per pagare dipendenti, collaboratori, utenze, affitto e tutte le millemila spese che devono continuamente affrontare.

Una famiglia, in media, paga 450 Euro di retta se ha un figlio al nido e 160 Euro se ha un figlio alla scuola dell’infanzia. Mi riferisco ai servizi privati. Sono tanti soldi? Si tratta di cifre eque? Per una famiglia possono essere cifre importanti e non facili da racimolare, per qualcun altro, invece, si tratta di poca roba…Ci sono famiglie di operai, dove lavora magari solo uno dei due genitori, e famiglie di industriali che hanno la seconda casa a Cortina e la barca al Lago. Non si fanno i conti in tasca a nessuno. Non è etico.

Posso, però, pensare al bilancio mensile di un piccolo servizio come quello che gestivo io. I bambini erano 24. Con una media di 450 Euro a famiglia al mese, si fatturavano poco più di 10.000 Euro al mese…Se filava tutto liscio…perchè è successo più di una volta che qualcuno si defilasse senza pagare.
E con questi 10.000 Euro o poco più si pagavano i dipendenti (io ne avevo quattro…fate due conti), i diversi professionisti (supervisore, commercialista, consulente del lavoro…), le utenze, le derrate alimentari, il materiale per le attività, le manutenzioni e l’affitto. E si metteva da parte quanto serviva per il mese di agosto, in cui non erano previste entrate perché il nido era chiuso. E anche quanto serviva per il mese di luglio…quante volte è successo che un bel numero di famiglie il 30 di giugno ritirassero il proprio bambino benché il regolamento prevedesse che non erano concesse disdette oltre il 10 di febbraio.

Dico, pertanto, forse anche con un po’ di cinismo, che un mese, massimo due, di rette non versate determinerà la chiusura di una grandissima parte dei servizi educativi privati. A meno che non intervenga lo Stato.

Riporto stralci di quanto ha scritto la mia amica Maria Teresa Guerrisi, titolare del nido “La monelleria di Carignano” di Genova, forse amareggiata dopo aver ascoltato anche lei il servizio della Squaglia.

“Quello che penso è che sia ingiusto fomentare una guerra tra poveri, dividere servizi dalle famiglie in questo modo….Personalmente penso costantemente alle famiglie perché come dice Patrizia Granata “si è educatori sempre”, penso a quelle famiglie che corrono il rischio di affidarsi ad associazioni che è risaputo che nei momenti di crisi agiscano tirando su polveroni per aumentare i tesserati, oppure ad avvocati “strappa like” che se fossero persone serie saprebbero benissimo che una famiglia firma un contratto, anche se spesso i gestori agiscono attraverso una grande flessibilità questo esiste ed è sottoscritto….Ognuno è libero di agire come crede, anche di fare vertenza a quei luoghi, quelle persone che Ha SCELTO tenendo in considerazione la Qualità del servizio offerto, quelle stesse persone che intendono l’educazione come “cura dell’anima” (L. Mortari); con le quali hanno sottoscritto non un contratto ma un patto di alleanza educativa…”.

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Credo che un certo numero di famiglie, per quanto possibile, non abbandonerà i nidi e le scuole dell’infanzia con cui ha stretto alleanza…qualcuno, invece, lo farà e sarà certamente per motivi buoni e sacrosanti. Mi auguro, allora, che lo Stato in cui ancora credo possa e voglia intervenire. Se il nido di Maria Teresa, quello di Letizia, Alessia, Alice…e di tante altre chiuderanno, la perdita sarà inestimabile. E non perché verranno meno dei preziosi posti-nido…o non solo per quello…Perchè perderemo, perderete, dei servizi di rara qualità, in cui davvero il bambino è al centro e in cui si fa Educazione, scritto con la maiuscola. Si fa realmente Educazione.

Ancora Maria Teresa scrive: “Ricordate anche che i servizi educativi riapriranno, magari in estate quando avendo consumato le ferie sarà necessario lavorare e permettere ai vostri figli di accedere a luoghi sicuri, con personale competente, e quando le porte saranno chiuse, perché l’ossigeno è terminato, forse…i redattori di questi servizi televisivi saranno in grado di trovare una soluzione per voi.”.

Nessuno pensa a questa eventualità? Quali servizi frequenteranno i bambini? I nostri nidi comunali sono pieni e, se sarà il caso, potranno accoglierne una piccola percentuale di bambini rimasti fuori dai servizi privati e non so bene in base a quale criterio. E gli altri?

Questo non è il momento di unirsi contro i servizi educativi, di PRETENDERE (come dice soddisfatta la Squaglia) i rimborsi delle rette versate; è il momento di allearsi con questi stessi servizi, al fine di chiedere a chi di dovere di sostenere tutti con equità.

I risarcimenti, ne sono certa, arriveranno…Provate ora solo a lasciare un po’ di tregua a Maria Teresa, Alice, Letizia e a tutte le persone che, in maniera virtuosa, hanno gestito i servizi educativi frequentati dai vostri bambini. Le avete abbracciate tante volte, avete pianto con loro guardando i cambiamenti dei vostri bambini, avete mostrato riconoscenza.

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Non lasciatele sole ora. Non lasciatele sole in questo momento difficile in cui non possono dire quello che vorreste sentirvi.

Sarebbe terribile. A me è accaduto quando avevo le spalle ben coperte. So quanto può essere terribile.

La “gestione creativa” dei conflitti tra i bambini e le bambine

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Tutti i giorni, più volte al giorno, sul lavoro, al nido, mi accade di assistere a un conflitto tra bambini. Un conflitto che nasce per il possesso di un oggetto; per avere più attenzioni dall’adulto; perché, in un gioco, si vuole ricoprire il ruolo che si è preso un compagno; perché qualcuno vuole imporre una condotta che, in quel momento, non si ha voglia di seguire. E potrei aggiungere esempi all’infinito.

Per un adulto, per i valori che ha dentro di se’, non è facile assistere a un conflitto senza pensare di intervenire per separare i litiganti. Se ci occupiamo della crescita dei bambini, però, vale la pena di fare qualche riflessione in merito. Cerchiamo di guardare al conflitto da un punto di vista differente da chi semplicemente pensa di metterne fine.

La vita è un conflitto continuo, in cui si alternano desideri e delusioni, aspirazioni e frustrazioni; il conflitto determina in noi pensieri e pensieri, notti insonni, gastriti e mal di stomaco. Siamo immersi nel conflitto sin da quando veniamo al mondo, quando dobbiamo affrontare l’angoscia del taglio del cordone ombelicale per poi iniziare il nostro lungo percorso di autonomia e della creazione della nostra identità. Tutte le scelte che facciamo comportano un conflitto, perché quando si sceglie una strada, inevitabilmente, se ne scarta un’altra, pur non avendo la certezza che la decisione presa sia quella giusta o la migliore per noi.

Per i bambini il conflitto è occasione di crescita (cognitiva, emotiva e sociale); siamo noi adulti a vivere con grande tensione le contrapposizioni che nascono tra loro (anche perché possono avere conseguenze “dolorose”)  e, quindi, ci poniamo l’obiettivo di interromperli quanto più velocemente possibile. Così facendo, però, priviamo i bambini e le bambine di esperienze utili alla loro vita è al loro sviluppo. Pensiamo allora di non cercare a tutti i costi di interrompere un conflitto tra bambini. Anche se siamo tentati di farlo.

Il conflitto è, inoltre, un’esperienza non tanto diversa da qualsiasi altra; è carico sì di significato ma nel qui ed ora. È una parte inevitabile del giocare insieme. Pertanto la reazione dell’adulto che vuole a tutti i costi metterne fine, disorienta i bambini, attribuisce contenuti presunti (e spesso errati) a episodi che per i bambini sono marginali, modificando così il valore che i bambini danno al conflitto.

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Se interveniamo noi adulti, infatti, il più delle volte, imponiamo una risoluzione del conflitto molto diversa da quella che i bambini avrebbero trovato naturalmente; oppure non permettiamo che i bambini trovino da se’ una mediazione attraverso le loro abilità. Ricordiamo, in proposito, che i bambini sono competenti e, pertanto, sono in grado di risolvere in autonomia anche situazioni complesse.

Riflettiamo, a questo punto, su un nodo importante. Un bambino che risolve un conflitto è un bambino che riesce ad adattare i propri bisogni al contesto in cui si trova ad essere e all’interno del quale è maturato quel conflitto e, inoltre, riesce a comprendere che al mondo ci sono anche gli altri, con i loro bisogni e le loro emozioni. E con i loro punti di vista.

E’ importante, quindi, non tanto concentrarsi sul porre fine al conflitto, ma piuttosto invitare i litiganti a esprimere le emozioni che stanno provando (domandando, per esempio, “perché sei tanto arrabbiato”, “cosa ti dà più fastidio in questa situazione?”,…) e poi cercare di far sì che si mettano uno nei panni dell’altro (“secondo te perché il tuo compagno ce l’ha con te?”,”perché è tanto arrabbiato?”,…). L’adulto deve far capire ai bambini che sono in conflitto che tutti hanno una parte di ragione e che non è necessario che qualcuno soccomba perché, in questo modo, i litiganti sono pronti a un atto di autoregolazione e a giungere alla “gestione creativa del conflitto”. Il bambino che abbandona al compagno l’oggetto della contesa (un giocattolo che gli piace molto, per esempio) assume un atteggiamento conciliativo ma non soccombe, dato che ha ceduto ciò a cui ambiva di sua volontà. Non è vero che chi assume un atteggiamento conciliativo è il più debole; costui, infatti, ha la capacità di fare una rinuncia, agito che richiede molte risorse interne. Pertanto è molto importante che l’adulto metta da parte le proprie idee di giustizia, che sono molto lontane dal pensiero infantile. Riflettiamoci bene su questo punto.

il conflitto tra bambini è, inoltre, un’occasio e per appendere il linguaggio delle relazioni. La pedagogia moralista del passato leggeva il litigio come qualcosa di sconveniente per un “bravo bambino” ed è anche per questo retaggio che ancora oggi molti adulti faticano a gestirlo in maniera “creativa”. Il conflitto, invece, è un’esperienza che può trasformarsi in occasione di apprendimento: insegna a ricercare le proprie risorse interne, necessarie per risolverlo. È relazione, inoltre, perché ciascuno di noi lo sperimenta nella propria esperienza relazionale quotidiana. Grazie al conflitto e alla capacità di affrontarlo come un momento dello “stare con l’altro” facciamo quotidianamente esercizio di apertura e di accettazione reciproca. È, pertanto, fondamentale lasciare ai bambini la possibilita’ di litigare, perché litigare è un diritto. Il bambino che non sperimenta il conflitto facilmente diventerà un adulto che avrà difficoltà a riconoscere la differenza tra la violenza e la necessità legittima di esprimere le proprie opinioni e ad affrontare in maniera costruttiva le difficoltà relazionali.