Riflessione sugli ambientamenti al nido…nel dopo Covid19

Qualche mese fa, quando pensavo che saremmo tornati nei nostri nidi e concluso l’anno educativo in presenza, avevo fatto alcune riflessioni in merito al rientro. Era la fine di marzo.

Pensavo che, poiché i servizi erano stati chiusi in un momento dell’anno in cui le relazioni con le famiglie (o almeno gran parte di esse) erano ormai solide, il rientro non avrebbe richiesto un periodo di ri-ambientamento. Sono passati ormai tre mesi da quelle riflessioni e sono cambiate molte cose. Alcuni servizi stanno per riaprire (anche se come centri estivi), altri, come quello in cui lavoro, non apriranno che a settembre. Quei pensieri vanno rivisti.

Le linee guida del Governo oggi dicono: dovrà essere ridotta al minimo la presenza dei genitori…nei locali del servizio, se non strettamente necessari…limitando l’accesso alle zone dedicate all’accoglienza dei bambini…In questo momento di necessario metissage tra sanitario e pedagogico, pertanto, paiono non realizzabili dei momenti di ri-ambientamento con le figure di riferimento familiari. Non sono necessari? Difficile rispondere. Forse per alcuni bambini potrebbero esserlo, ma, al momento, ci sono state date disposizioni non negoziabili.

Possiamo, però, chiederci cosa accadrà a settembre e fare alcune ipotesi.

Le linee guida valide per oggi, dopo l’estate non lo saranno più. Possiamo aspettarci un rientro come gli anni precedenti. Oppure un rientro in cui sarà permesso di accedere al servizio e sostarvi per tempi più o meno lunghi solo a pochi adulti di riferimento per volta. O ancora un rientro che prevederà, come ora, la presenza dei genitori ridotta al minimo.

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Ma a settembre ci sono gli ambientamenti dei bambini che mai hanno frequentato i nidi. Se ci diranno che i genitori non possono sostare all’interno dei servizi come potremo fare?

Come a tutti, piace anche me restare il più possibile nella comfort zone che mi sono costruita, in quella condizione in cui riesco ad agire in uno stato di assenza di ansietà e senza percepire un senso di rischio, in quella condizione di routine, di familiarità e sicurezza in cui ci si sente bene e non percepisco minacce. Lo “stare al sicuro”, al calduccio insomma: fare quelle cose che conosco, le prassi consolidate, stare nelle situazioni da cui so cosa aspettarmi. Siamo, però, oggi in un’epoca in cui dobbiamo necessariamente spingerci fuori dai nostri abituali confini e sopportare il disagio che ne consegue. Non ci è possibile stare lì nel nostro, a fare le cose che ci riescono meglio. Non più.

Come ho scritto qualche giorno fa, a settembre non ritroveremo i servizi di prima. Dovremo, pertanto, essere creative e usare il pensiero divergente se vorremo che i bambini e le bambine facciano esperienze realmente educative.
Ritroveremo servizi educativi contaminati con le politiche sanitarie. Non riapriremo servizi che seguiranno solo i principi che ispirano la pedagogia, ma potremo far sì, noi che siamo professioniste, che l’educativo e il pedagogico si incontrino con il sanitario  e con tutto ciò che concerne l’organizzazione. Dovremo essere tanto creative da fare in modo che le nostre organizzazioni, in un’epoca certamente mai attraversata, siano ancora impregnate di pedagogia. Perchè, almeno in principio, il sanitario sarà fortemente presente nei nostri servizi per l’infanzia.

E come possiamo pensare, in quest’ottica, agli ambientamenti?

Dopo un fecondo incontro con alcune colleghe pedagogiste ho ripreso in mano un testo a cui tanto mi sono ispirata in passato. “Persone da zero a tre anni” di Elinor Goldschmied e Sonia Jackson.
Ad un certo punto del testo si legge: siamo del parere che sia utile quando si offre un posto al nido che l’educatrice dia la disponibilità di andare a trovare il bambino a casa se i genitori lo vogliono…Fare visita ai bambini è sempre stata una pratica che esulava dai compiti delle educatrici…ma questa pratica si sta diffondendo; il bambino che entrerà in un gruppo di solito riceve la visita all’educatrice che si prenderà cura di lui…

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La Goldschmied sosteneva l’importanza di questa visita, in quanto essa permetteva all’educatrice di presentarsi al bambino e ai suoi genitori in modo che, quando si fossero recati al nido per la prima volta, avrebbero incontrato almeno un viso familiare; in questo modo, inoltre, così agendo, l’educatrice aveva la possibilità di vedere il bambino nel contesto domestico e farsi un’idea del suo ambiente.

Possiamo ripensare in questo momento di emergenza ed in cui andremo a sperimentare situazioni ignote a pratiche come queste?
Credo di sì, anche se mi rendo conto delle difficoltà organizzative che potrebbero derivarne.

Ad un certo momento della storia dei servizi per l’infanzia, negli anni Ottanta del secolo scorso, dopo un periodo in cui la presenza dei genitori al nido era impensabile, si sono ipotizzate modalità di accoglienza dei bambini accompagnati dai loro genitori, i quali, trattenendosi con loro al nido, avrebbero consentito una separazione meno problematica. In questo modo, inoltre, non si sarebbe tenuta separata l’esperienza del bambino da quella del suo famigliare di riferimento e si sarebbe potuto gestire al meglio un momento fondamentale di relazione tra nido e famiglia, tra educatrice, bambino e genitore.
Credo che questo non vada tralasciato, anche nella nuova situazione. E’ fondamentale che le educatrici mettano in atto fin da subito significative occasioni di comunicazione e relazione con la famiglia, abbassando la soglia di ansia che, in genere, accompagna l’esperienza dell’ambientamento.
La comunicazione interpersonale tra educatrice, mamma e bambino è di certo il fil rouge che conferisce qualità a quest’esperienza, consentendo al bambino di adattarsi in modo positivo alla nuova situazione.
Se, quindi, ci chiederanno di far sì che i genitori non sostino nei servizi o che non vi sostino troppo a lungo, il recarci noi nelle loro case potrebbe essere una valida strategia per avere il tempo necessario per osservare le interazioni tra bambino e figure famigliari di riferimento, per cogliere la qualità relazionale senza interferire in essa.

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Non è semplice e, di certo, non vuole essere una pratica in alternativa a quelle buone a già ampiamente sperimentate nei nostri servizi per l’infanzia.
Se, infatti, si decidesse di procedere in questa direzione, bisognerebbe fare accurate riflessioni. In primo luogo sulle modalità per effettuare il distacco una volta che i bambini entreranno nei nidi: sappiamo bene, infatti, che ad un certo punto, si è chiesto alle figure famigliari di fermarsi all’interno dei servizi nei primi giorni di frequenza, perchè in questi momenti il nido ancora non è ancora sicuro di saper offrire un ambiente fecondo, complementare alla famiglia, potenzialmente valido per tutti i bambini. Che strategie potremo mettere in atto se non sarà consentito ai famigliari di restare a lungo nel servizio?
E poi si dovrà riflettere sul come si potrà fare senza la presenza, nei primi giorni, di un famigliare di riferimento, che sappiamo essere molto importante in un momento tanto delicato come l’ambientamento, in cui si si viene a creare un vero e proprio gioco di squadra tra educatrici e famiglia ed in cui si delinea un obiettivo comune, far sì che il bambino si ambienti in un contesto nuovo, in cui starà bene e farà esperienze di apprendimento significative. Come faremo a giocare in squadra se non potremo entrare tutti contemporaneamente in campo?
Se non potranno sostare all’interno del servizio, inoltre, i genitori non potranno vedere con i loro occhi che cosa accade durante una normale giornata di nido e non potranno conoscere fin da subito tutto il personale di sezione.

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Non sarà facile partire con queste premesse, ma le educatrici sono professioniste, sanno utilizzare la creatività ed il pensiero divergente. Il modo lo troveranno. Lo troveremo.

E’ molto complesso intavolare discorsi su quello che potrà avvenire in futuro e sul come, se ci saranno imposte ancora tante restrizioni, potremo fare in modo di abitare servizi ancora realmente educativi e non meramente assistenziali.
Credo che, però, sia necessario provare a guardare in avanti perchè i bambini e le bambini hanno il diritto di avere la possibilità di vivere esperienze educative autentiche anche al di fuori delle loro case e con adulti che non sono i loro genitori era altri bambini.

Riflessioni sull'”ambientamento in tre giorni” al nido

Fino a un anno e mezzo fa per me non ci poteva essere altra metodologia che quella dell’ambientamento graduale dei bambini al nido. Del resto è la metodologia con cui ho lavorato fin dall’inizio della mia carriera di educatrice e la metodologia su cui ho fatto molte riflessioni da pedagogista, osservando i bambini, il personale educativo ed i genitori.

 

Qualche anno fa ho scritto un articolo per i genitori dei bambini che avrebbero iniziato a frequentare il nido in cui lavoravo…Dicevo: il nostro collettivo spesso affronta l’argomento delle modalità di inserimento, ma, fatta eccezione per casi particolari, siamo tutte d’accordo  sui due criteri fondamentali su cui deve basarsi un inserimento: la gradualità rispetto ai tempi di ambientamento del bambino e la continuità tra le risposte della famiglia e quelle del nido nei confronti delle esigenze di ogni singolo bambino.

Credevo fortemente nella validità dell’ambientamento “graduale”. Una metodologia che prevede che, in genere, entro al massimo tre settimane il bambino si abitui al nuovo ambiente e alle nuove persone che lo circondano. Tre settimane in cui passa, però, al nido poco tempo e in cui la presenza del genitore è prevista per cinque o sei giorni e, in totale, per pochissime ore.

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Non pensavo possibile nessun’atra metodologia di ambientamento. Finchè non ho sentito parlare dell’inserimento “svedese” o “inserimento in tre giorni”. Inizialmente ero molto scettica perché tre giorni mi sembravano veramente troppo pochi e troppo poco rispettosi dei bisogni dei bambini che hanno necessità di tempo per adattarsi ed accettare con piacere le novità. D’altra part, il metodo classico di ambientamento è consolidato nelle pratiche educative del nostro paese…perché metterlo in discussione?

Beh…intanto credo che dirsi “abbiamo sempre fatto così, ha sempre funzionato, quindi cambiare non ha senso…” sia sintomo della non-volontà di mettersi in gioco e di forte chiusura e un po’ di grettezza. Il cambiamento e la novità, senza dubbio, spaventano, ma affrontarli è tipico di chi desidera crescere, professionalmente e non solo.

Ho pertanto, iniziato a credere che il cosiddetto “inserimento in tre giorni” dovesse essere una metodologia da considerare e da approfondire.

E ho iniziato a riflettere sulla validità dell’ambientamento graduale. Mi sono chiesta se la gradualità davvero tenesse conto dei bisogni dei bambini e dei loro tempi. Nel corso della prima settimana e di parte della seconda, se si applica questa metodologia, i bambini trascorrono al nido un’ora o poco più al giorno…è sufficiente per esplorare il nuovo ambiente? Per conoscere i nuovi compagni e le educatrici? E per i genitori è sufficiente un’ora al giorno di permanenza al nido per potervi lasciare  il bambino con serenità?

Queste domande mi sono balenate in testa ad ogni ambientamento da almeno due anni a questa parte.

L’équipe con cui ho lavorato fino alla fine di luglio 2019, però, non si è mostrata aperta a questo cambiamento. Con mio grande rammarico, a dire il vero. Un servizio educativo, però, è fatto dal coordinatore e dal gruppo degli educatori, pertanto non mi sono sentita di imporre una metodologia in cui il gruppo, benché non formato, non credeva.

Ci ho però creduto tanto io. Così, dopo che ho cambiato servizio ed équipe di lavoro, ho deciso che era giunto il momento, per lo meno, di formarmi e di iniziare ad approcciarmi con serietà a questa metodologia di lavoro. Ed ho preso parte ad uno dei corsi tenuti da Fabiola Tinessa e Valeria Zoffoli, collaboratici di Silvia Iaccarino e rispettivamente coordinatrice pedagogica e responsabile del nido “L’isola di Peter Pan” di Cesena, il primo nido in Italia in cui si è praticato l’ambientamento in tre giorni.

Il corso di formazione è stato decisamente interessante. Sono, però, tornata a casa con tanto bisogno di riflettere e di ripensare ai contenuti che sono stati trasmessi e alle discussioni che sono venute fuori.

Nei servizi in cui si pratica questa metodologia di ambientamento, dal momento in cui fanno il primo ingresso al nido e per i tre giorni successivi,  il genitore e il bambino stanno sempre insieme. Durante il cambio del pannolino, mentre si gioca, mentre si legge o si mangia. L’educatore intanto osserva la diade, entra in contatto con loro. Il quarto giorno il bimbo rimane al nido, mentre il genitore se ne torna alle sue solite attività. Secondo chi usa questo metodo, i bambini acquisiscono conoscenza con il nido e il personale in tempi rapidi. Chi l’ha sperimentato, sottolinea come i tempi dei bambini siano rispettati insieme ai tempi del lavoro della famiglia.

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Il primo giorno il genitore bada ai bisogni primari del proprio bambino e le educatrici osservano le modalità di relazione della diade, facendo così proprie le strategie del genitore e le abitudini del bambino. Il secondo giorno le educatrici affiancano la diade entrando in relazione sia col genitore sia col bambino e il genitore ed il bambino entrano in relazione con le educatrici e cominciano a padroneggiare gli spazi del nido e le scansioni temporali della giornata. Il terzo giorno il genitore è ancora presente ma lascia maggiore spazio alle educatrici. Il quarto giorno il genitore accompagna il bambino al nido e, dopo essersi preso il tempo di cui ha bisogno, se ne va.

Molti degli educatori che hanno sperimentato questa metodologia di ambientamento testimoniano che già dal quarto giorno i bambini sono in grado di riconoscere gli spazi e intuire i tempi. E che il rapporto che si instaura con i genitori è di fiducia assoluta mentre con l’altra metodologia di ambientamento tale fiducia si consolidava dopo mesi. Non sempre, ma spesso.

Per chi ha sempre adottato l’ambientamento graduale è, però, difficile capire come inserire i bambini in soli tre giorni. Ci si chiede, come è successo a me, se è possibile che ci sia un tempo stabilito a prescindere dal bambino. E si pensa che risolvere la questione dell’ambientamento in tre giorni sia molto comodo per i genitori ma non tenga conto dei reali bisogni dei bambini che hanno tempi differenti da quelli degli adulti.

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Un buon ambientamento è quello in cui il genitore riesce a staccarsi dal suo bambino con serenità; il genitore riesce a fidarsi delle educatrici quando conosce il contesto del nido e perché ciò avvenga ci vuole tempo…il tempo non è lo stesso per tutti, ma se si dà ai genitori la possibilità di vivere il nido sarà più facile per loro allontanare gli spettri che potrebbero far sì che l’ambientamento fallisca. E se il genitore vive il nido per alcuni giorni, le educatrici, che inizialmente sono delle perfette sconosciute, hanno la possibilità di toccare con mano le abitudini delle diadi bambino-genitore, di osservare le modalità con cui entrano in relazione, che cosa li rende sereni, che cosa li inquieta. Questo processo di conoscenza è molto più lento e difficoltoso quando la modalità di ambientamento è quella graduale. Perché le ore in cui è prevista la presenza della diade sono davvero poche (7/8 al massimo in due settimane contro le 18 previste dalla metodologia dell’ambientamento in tre giorni).

Non ci si deve, però, aspettare che dopo i tre giorni i bambini non piangano al distacco e che non sentano la fatica che comporta l’ingresso al nido. Il cambiamento esiste, così come la fatica di affrontarlo. Hanno paura del cambiamento nella quotidianità e, come tutti i bambini, la esprimono col pianto, il nervosismo, qualche piccolo disturbo nel sonno.

L’ambientamento in tre giorni, però, ha un valore aggiunto. Il genitore ed il bambino, lontano dalla loro normale quotidianità, hanno il tempo di dedicarsi attenzioni reciproche e concedersi tanto tempo per nutrire la loro relazione vivendo un’esperienza molto intensa e condivisa.

Per questo mi auguro che presto, nel servizio in cui sto lavorando, si inizi a riflettere su questa metodologia e si pensi ad adottarla.

Ci credo decisamente.