La fatica dell’educare…i propri figli

Educare un figlio, è un atto di amore profondo e richiede una gran dose di pazienza, controllo dell’ansia e della frustrazione.
E’ frequente sentir dire che per educare basta amare il proprio figlio, ma non è così. Per educare è necessario conoscere “che cosa succede mentre il proprio figlio apprende” e come favorire, governare e controllare tale processo. Per tale motivo è indispensabile possedere conoscenze ed abilità adeguate (intese anche come tecniche), per attivare occasioni d’apprendimento e controllare gli effetti dell’azione educativa sia sul piano cognitivo, sia su quello delle emozioni e dell’affettività.

Facile, facilissimo a dirsi…soprattutto per chi è “addetto ai lavori”. Ma nella realtà? Cosa significa educare il proprio figlio? Cosa avviene nel processo attraverso il quale egli diventa altro dai genitori?

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Gli studi più recenti evidenziano l’importanza del ruolo svolto da padre e madre nell’indirizzare e favorire lo sviluppo cognitivo e affettivo del bambino. Le relazioni interpersonali genitore-figlio rappresentano la “matrice formativa” che determinerà la gran parte delle caratteristiche cognitive e personologiche più rilevanti per la vita dell’individuo.
Il difficile percorso, però, può essere costellato da una serie di “errori educativi” spesso commessi per “eccesso d’amore” nei confronti del proprio figlio. Gli effetti a breve termine di tali errori sono rappresentati dalla comparsa di comportamenti disadattivi e di contrapposizione nei confronti delle figure parentali (disobbedienza, prepotenza, angherie, ecc.) e ciò a sua volta genera contrapposizione, conflittualità. Se non viene posto rimedio, a lungo termine tutto ciò può essere causa anche di disturbi della personalità e d’adattamento sociale con il rischio di generare quadri sindromici molto gravi.

Del resto gli errori commessi dai genitori sono “errori invisibili” o che non si vedono se non a lungo termine e per questo nessuno pensa immediatamente a porvi rimedio. Non esistono, d’altra parte, né regole né metodi infallibili per evitarli, ma si può cercare sempre di seguire il principio aristotelico del “giusto mezzo”, perché solo evitando gli eccessi (iperprotezione e lassismo) si può favorire il naturale sviluppo del bambino. Durante la crescita, pertanto, sarà importante sostenere il proprio figlio, controllarlo, aiutarlo, ma agendo sempre nel rispetto della sua libertà, dandogli fiducia e lasciando che faccia le sue esperienze.

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E’, comunque, fuor d’ogni dubbio che educare un figlio è un processo molto delicato, non esente da errori, che richiede sensibilità e fermezza. L’essere genitori, infatti,  non è un ruolo scisso dalle persone che sino all’attimo prima della nascita del proprio figlio si era, con i propri limiti, difetti, pregi  e sentimenti. Ed è un ruolo che è spesso sentito come molto difficile:  a volte non ci si sente liberi di essere sé stessi, si avvertono delle responsabilità  eccessive, un fardello troppo grosso da sopportare e di conseguenza si genera la paura del fallimento e di non essere perfetti.

Al giorno d’oggi, frequentemente, i genitori vivono con ansia la relazione con il proprio bambino; spesso il paragone tra il figlio che hanno generato, che piange, che ha mal di pancia, che stenta a camminare e a parlare, che è “capriccioso” e il figlio immaginario, perfetto, genera tanta amarezza. L’incontro con il figlio reale, che si vive giorno dopo giorno, può generare un’irrimediabile crollo delle aspettative della madre e del padre; ciò non accade se si pensa alla nascita del proprio figlio come un cammino, impegnativo ma anche cosparso dal piacere di vederlo crescere.
Se i genitori, però, hanno in mente quello che vorrebbero che accadesse piuttosto che quello che realmente sta accadendo, inevitabilmente la loro angoscia si fa acuta nei momenti critici del processo di crescita del loro figlio. E il bambino desiderato, programmato, atteso arriva a essere un investimento affettivo su cui riversare aspettative e grandi progetti. Quello che, però, i genitori si sono prefigurati non avviene mai nella realtà e ciò provoca frustrazione, delusione, senso di incapacità. Ricorrono, pertanto, spesso a degli specialisti, ascoltano dibattiti televisivi, scrutano i comportamenti degli altri genitori per capire come si possa fare il “giusto” e poi copiarlo, incamminandosi alla ricerca della “ricetta”, perché convinti che una volta trovate le “istruzioni per l’uso” potranno crescere il figlio che si erano prefigurati.

Quando, però, i genitori si aspettano troppo da se stessi, incorrono nella possibilità di non riuscire a godere del rapporto col proprio figlio. e’ quindi importante che una madre e un padre sappiano accettare di essere solo sufficientemente capaci per non spaventarsi di fronte ai momenti difficili e per poter godere pienamente dei progressi del figlio. Perché educare è un’impresa complessa, dove non esistono modelli che garantiscano a priori l’esito delle proprie azioni.

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Da pedagogista che si occupa da anni di famiglie, oltreché da madre decisamente imperfetta, dico sempre alle madri e ai padri che mi chiedono una consulenza che essere genitori non significa essere sempre all’altezza delle situazioni, essere sempre tolleranti senza condizioni, mettere sempre da parte i propri bisogni e sacrificarsi per i propri figli.
Non si deve fare l’errore di dimenticare la propria umanità. Un genitore nella sua perfetta imperfezione è colui che si concede di essere una persona autentica. E proprio perché il genitore continua ad essere una persona, deve essere in grado di trasmettere al figlio i valori e l’educazione, perché egli diventi un adulto responsabile e ben integrato nella società.

Il genitore deve avere ben chiara una cosa. egli ha una grande responsabilità nei confronti dei propri figli,  in quanto deve renderli autonomi e aiutarli nel faticoso percorso di crescita, insegnando loro a gestire le emozioni, a tollerare le frustrazioni e a sopportare il dolore.  E deve avere ben chiaro che deve fare tutto ciò ponendosi  in una posizione gerarchicamente superiore a quella del figlio: il suo, infatti, non è un ruolo amicale. Il genitore-amico, il cui obiettivo principale è quello di farsi amare dai propri figli , non può, infatti, aiutare i figli nel percorso di crescita. Per questo motivo è importante che il genitore nella sua posizione sappia porre delle regole, che hanno una grande funzione educativa, in quanto gli permettono di capire cosa è lecito, cosa non lo è e soprattutto insegnano a gestirsi all’interno dei limiti. I bambini  hanno bisogno di capire cosa è giusto e cosa invece è sbagliato.  Senza punti di riferimento, del resto, è ancora più difficile la transizione dalla fanciullezza all’adolescenza e dall’adolescenza  all’età adulta.

E’ molto importante che i genitori non facciano proprio l’assunto “dicci cosa ti manca e te lo procureremo noi”. Se, infatti, i genitori si sostituiscono continuamente ai figli, rendendo loro la vita più facile, cercando di eliminare tutte le difficoltà, se sono incapaci di mettere dei limiti, cambiando le regole in precedenza stabilite se queste risultano eccessivamente frustranti per il figlio veicolano al figlio un duplice messaggio. Il primo, il più evidente, è “faccio tutto per te perché ti amo”. Il secondo, più sottile e squalificante, è “io faccio tutto per te perché forse da solo non ce la faresti”. Innescano in questo modo, la sensazione o il sospetto nel figlio di essere un incapace; dubbio che può divenire realtà, poiché nella stragrande maggioranza dei casi i figli educati secondo principi simili finiscono per arrendersi senza combattere, affidando il controllo della loro vita ai genitori. E crescono pensando che impegnarsi nella vita è inutile, diventando incapaci di assumersi responsabilità.

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E’ a questo proposito interessante quanto scrive Daniele Novara nel libro “Dalla parte dei genitori” in cui sostiene che i genitori devono essere messi al centro dell’attenzione, perché i tanti punti dolenti nella crescita dei figli ci indicano una grande fragilità di padri e madri. Mettere al centro i figli, infatti, è il modo migliore per non renderli davvero protagonisti. Soprattutto se li si mette al centro non in quanto persone, ma come oggetti di un desiderio realizzato.

Scrive Novara: i genitori non educano ma accudiscono, sostituendosi ai figli, fanno le cose al posto loro pur di prevenire frustrazioni e difficoltà. Non a caso oggi sono sempre più diffuse tra i bambini difficoltà sistematiche nelle autonomie di base come vestirsi da soli, preparare la cartella, andare a letto, quindi addormentarsi da soli nella propria stanza, senza passare dal lettone.

Accudire è meraviglioso se calato nel giusto contesto. Educare è, però, altra cosa, di cui’accudimento è solo una parte. Le nuove generazioni di genitori, pertanto, non devono essere colpevolizzate, ma aiutate a rimettere a fuoco il valore del loro impegno coi figli. Ecco perché oggi è di fondamentale necessità aiutare i genitori ad apprendere la genitorialità, proprio a fronte di tante notizie e appelli che denunciano gravi problemi nei bambini: le difficoltà nell’apprendimento e nella costruzione dei rapporti interpersonali suggeriscono una grande mancanza a monte, una mancata educazione all’autonomia e responsabilità.

Educare è fatica. Educare i propri figli lo è molto di più.

Incontri tra generazioni: il nido e il centro diurno per anziani

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Lo scorso anno educativo (2017-18) abbiamo messo a punto un progetto che ha coinvolto i bambini del nido e gli anziani di un centro diurno del territorio, una proposta nata all’interno delle progettazioni di percorsi intergenerazionali che si rifanno agli aspetti più pregnanti della psicologia del ciclo di vita. Una delle proposte più emozionanti che mi sia trovata a vivere nella mia carriera di educatrice e pedagogista.

L’idea di partenza di questo progetto è che gli anziani e i bambini stanno bene insieme e possono essere una ricchezza gli uni per gli altri. E’ molto importante che gli anziani siano messi nelle condizioni di conciliare l’identità passata con quella presente attraverso il recupero di un senso di continuità con il tempo trascorso e con l’insegnamento e il ricordo da lasciare alle generazioni future e il contatto con i bambini può far “rivivere” e restituire una dimensione progettuale sul domani che renda protagonisti della propria vita.

Allo stesso tempo, per i bambini è fondamentale creare un legame con il passato, conoscere quello che viene prima del qui ed ora e indagare le proprie origini e provenienze. Il tempo trascorso con gli anziani diventa, quindi, un’occasione per sperimentare forme di socialità diversa, di sentirsi parte di una comunità che non è fatta solo di bambini ma anche di persone molto diverse, ma con ritmi e tempi di vita simili.

La gestione del tempo quotidiano nelle nostre città non facilita gli scambi tra generazioni. Si ha la tendenza a pensare i diversi momenti della giornata come spazi e tempi monogenerazionali; i bambini stanno con i bambini, gli anziani con gli anziani. Lo scambio e l’incontro fra età diverse diventa pertanto raro e gli ambienti di vita e quelli educativi perdono la loro dimensione di comunità, di inclusione delle differenze anche anagrafiche, di appartenenza a un contesto vitale ampio.

442a1303-5cbf-4fb0-bbc5-032c3d56db0cE’ nata quindi la proposta di articolare un progetto che vede coinvolte due realtà diverse del territorio del Comune in cui lavoro: l’Asilo Nido  e la Residenza per Anziani. Due realtà che sono vicine nello spazio e perché entrambe hanno come fine la dimensione della cura. Una proposta concreta per il recupero e il consolidamento delle relazioni e della solidità intergenerazionale, che ha creato reali e concrete occasioni di scambio e condivisione tra bambini e anziani , superando gli elementi di separazione e di allontanamento.

Il giorno in cui il progetto, dopo tutto il lavoro di progettazione, pianificazione e organizzazione, è partito ho pensato a quanto fossi fortunata nel fare l’educatrice…Ero colma di felicità e non vedevo l’ora di vivere l’incontro tra i bambini e gli anziani. Ed ero curiosa di vedere come le parole scritte nel progetto si  potessero trasformare in comportamenti, voci, incontri concreti.

Quando, insieme ai bambini, siamo giunti alla residenza per anziani, eravamo tutti emozionati…i bambini erano un po’ sorpresi…i nonni sorridevano…hanno iniziato a studiarsi reciprocamente, tanto diversi eppure tanto simili.  Come programmato, nel corso del primo incontro, abbiamo letto un albo illustrato che al nido amiamo molto, “Un Gioco” di Tullet. I bambini conoscevano nel dettaglio la trama e hanno partecipato con il consueto entusiasmo alla narrazione, intervenendo, anticipando le risposte, ascoltando rapiti.I nonni si sono sforzati al massimo di essere espressivi e di partecipare con i bambini alla lettura. E ci sono riusciti benissimo.

Il lavoro pedagogico si costruisce attraverso la ricerca dei significati e l’ascolto delle emozioni presenti nelle diverse esperienze educative…pertanto, alla fine della lettura, abbiamo chiesto se qualcuno avesse voglia di  raccontare una storia… Si è alzata Vittoria, la bambina più taciturna e introversa del nido…Voleva raccontare lei una storia…E poi si è alzato Sebastiano, uno degli ospiti della residenza, e ha chiesto anche lui di raccontare…Ci ha mostrato una vecchia foto, di quando abitava a Siracusa…ci sono il principe Carlo e Lady Diana in viaggio di nozze…e lui…di spalle…Ci ha emozionate questo intervento…narrar-si aiuta a restituire al proprio essere dignità e senso, in una società del qui e ora che troppo spesso dimentica gli anziani.

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Dopo tre visite in RSA, abbiamo ospitato al nido alcuni dei “nonni” ospiti del centro diurno…Abbiamo dedicato tempo e cura al preparare la visita…ed è stato ancora più  emozionante di come ce l’aspettassimo!
Il contatto con gli anziani ha portato i bambini a ritmi più lenti, rendendoli più tranquilli e portandoli a concentrarsi di più…A loro volta gli anziani nel rapporto con i bambini sembravano tornati, sia pur per brevi momenti, giovani adulti responsabili…sono riaffiorate tracce di esperienze lontane, intime, vissute come genitori; in un momento della vita nel quale tutto sembra “restringersi”, la sfera emotiva dei “nonni”, sia pur per poco, si è allargata ancora grazie all’incontro con questi “nuovi nipotini”…È stata un’emozione pazzesca…Per tutti..

Ora mi propongo di far rivivere questo progetto, facendo incontrare nuovamente anziani e bambini e preparando delle interviste da somministrare agli ospiti della RSA incentrate sulle tematiche di cui ho parlato poco fa…le emozioni che riaffiorano negli incontri, le tracce delle antiche esperienze che sono tornate alla luce…E poi c’è un progetto ancora più grande, per cui, però, ci vorrebbe un finanziatore: costruire un nido all’interno di una residenza per gli anziani…Chissà…forse tra voi che leggete c’è qualcuno che potrebbe fare in modo che questo sogno diventi realtà…