Albi illustrati: il piacere di leggere

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Mi piacciono gli albi illustrati. Molto. Quando entro in libreria, la grande libreria che si trova a due passi da casa mia, non riesco a non fermarmi, anche solo per qualche minuto, nell’angolo dedicato ai bambini e ai ragazzi…è magico quell’angolo…ci ho scovato tesori preziosi!

Un albo illustrato è qualcosa di davvero prezioso. E’ un insieme complesso di forme, parole e figure; sulle sue pagine si incontrano un testo e delle illustrazioni: le une completano, ampliano, approfondiscono, stravolgono il senso delle altre, dando vita a un linguaggio nuovo, originale. L’albo illustrato è fatto per condividere un momento giocoso con i bambini: il piacere dell’ascolto della storia si mescola alla bellezza di poter toccare le immagini.
E’ anche un prodotto che i bambini possono scoprire da soli, seguendo con gli occhi e le mani le illustrazioni, anche senza saper leggere la parte testuale.

Il libro è un oggetto prezioso e i bambini devono poterlo vivere, sia in autonomia, sia in compagnia di un adulto, sia insieme agli altri bambini quando si tratta di una lettura collettiva.
Man mano che si cresce e si impara a leggere ci si allena a comprendere una storia facendo dialogare immagini e testo, perché bisogna ricordarlo bene: le immagini non servono al testo, né è vero il contrario.

Mi accade spesso che, soprattutto in occasione di eventi di non facile gestione, i genitori dei bambini del nido o amici che hanno bambini molto piccoli mi chiedano se c’è un albo da leggere insieme al loro bambino per poter fare fronte a tali eventi…Vedo un po’ di delusione sui loro volti quando rispondo che difficilmente, leggendo un albo illustrato, riusciranno a superare la difficoltà che stanno vivendo. Perché non è facile “usare” un libro…è richiesta molta esperienza e non solo nella lettura.

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Intendiamoci…se conduco una formazione sulla letteratura per bambini, avrò con me dei libri che userò per esporvi ciò che penso in merito a quell’argomento. Oppure se sto conducendo una ricerca, probabilmente userò dei libri per condurre indagini su uno specifico argomento. Non è inappropriato parlare del libro come “strumento”, perché di fatto il libro è anche un oggetto utile, sia ai fini di comprendere e apprendere sia per interiorizzare, tramandare, e perfino leggere storie.

E non è neppure del tutto vero che il verbo leggere sia sempre legato al piacere: se sono alla scuola primaria e mi danno dei libri da leggere, ecco forse che quel piacere, per altro tanto promosso da genitori ed insegnanti, sarà secondario alla fatica. Oppure se devo leggere per lavoro testi poco interessanti o noiosi, di certo non si potrà parlare di godimento.
Quando però prendiamo tra le mani un libro per bambini, generalmente lo scegliamo per piacere…per il piacere di sfogliarlo, di guardare le illustrazioni, di leggere le parole che accompagnano queste illustrazioni.

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Scegliere un albo illustrato con l’intento semplicemente di leggerlo, arreca grande sollievo. Se noi diciamo: “Cerco dei libri sulle emozioni perché quest’anno la programmazione verte su quelle”; o “Cerco delle storie da leggere sulle emozioni”; o ancora “Desidero leggere ai bambini del nido delle storie sulle emozioni” le cose cambiano in modo sostanziale.
Il potere e la potenza delle parole che pronunciamo sono grandi. La nostra lingua è incredibilmente malleabile e possiamo utilizzarla per comunicare pensieri molto diversi tra loro.
Nelle tre frasi che riporto sopra, si può notare come l’ultima suoni molto più accogliente, aperta, e ci mostri un’educatrice che in primo luogo desidera leggere un libro ai suoi bambini; mentre nel primo caso è sottinteso (ed in maniera molto potente) il verbo “usare”. In tutti e tre gli esempi è presente la richiesta di libri a tema e la finalità di chi legge è probabilmente quella di trasmettere qualcosa che abbia a che fare con le emozioni. Quindi si potrebbe pensare che non cambi assolutamente nulla nell’intenzione che conduce delle maestre di a recarsi in libreria per cercare libri su cui poter lavorare.

In tutti e tre gli esempi è presente la richiesta di libri a tema e sembra che la finalità ultima dell’educatrice sia quella di trasmettere qualcosa che abbia a che fare con le emozioni. Si potrebbe, quindi, pensare che non cambi assolutamente nulla nell’intenzione che conduce delle educatrici a recarsi in libreria per cercare libri su cui poter lavorare. Invece, l’intenzione iniziale cambia, così come probabilmente cambierà la sensazione che i bambini avranno quando l’educatrice leggerà loro i libri scelti. I libri scelti per essere usati e non per essere letti diventano meri strumenti, impoverendo la progettazione educativa che, al contrario, potrebbe trarre enormi benefici se l’intento fosse solo quello di “leggere” un libro.

E’ molto importante che educatrici, mamme, nonne…leggano ai bambini quando anche loro hanno voglia, e soprattutto scegliendo albi illustrati che piacciano sia al piccolo sia al grande. La rilettura, si sa, è molto amata, e con i bambini di 2-3 anni si rischia di leggere anche dieci volte lo stesso racconto… meglio sia un racconto che diverta, non solo chi lo ascolta, ma anche chi lo legge! I bambini sono attenti osservatori e percepiscono la noia, la pigrizia, l’insoddisfazione dell’adulto… quale piacere di leggere possiamo trasmettere in questo modo? La lettura deve essere fatta di momenti spontanei, divertenti e spensierati, lenti… Deve allontanare i bambini, per quello che si può, dalla vita frenetica di tutti i giorni, che investe anche il loro gioco e il loro pensiero. E deve essere una lettura disinteressata, senza l’obiettivo di insegnare, trasmettere valori o le buone maniere: cos’ facendo si tradirebbe la lettura, perché il libro verrebbe usato come supporto ad un’educazione che spetterebbe solo all’adulto.
Per comodità, spesso si propongono storie a tema, in relazione ad alcuni bisogni familiari, ad esempio libri su come mangiar bene a tavola od usare il vasino correttamente abbandonando in questo modo il pannolino, come non dire le bugie diventando più obbedienti e rispettosi verso il prossimo…e così via. Qui, però, non c’è piacere di leggere…Riflettiamoci…

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E come si leggono gli albi illustrati ai bambini?
Leggere coinvolge la relazione adulto-bambino, una relazione che si costruisce giorno dopo giorno. E’, quindi, fondamentale leggere ai bambini in modo spontaneo, senza costruire scenari “finti” e poco genuini, perché è nella semplicità che tutto diventa intimo, privato…Sono momenti di pace estremamente importanti per alimentare la relazione. E’ chiaro, poi, che ogni persona ha il suo modo di leggere: più veloce, più lento, con le vocine per ogni personaggio oppure no…letture dolci o letture simpatiche piene di risate… Ogni lettura, in qualsiasi maniera sia fatta, regala al al bambino un piacere diverso, che assaporerà con estrema calma ma con la voglia di averne ancora un altro assaggio…

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E con quali criteri scegliere gli albi da proporre ai bambini?
Occorre cercare senza accontentarsi, scegliere secondo le capacità di attenzione e interpretazione del proprio bambino, senza farsi influenzare dalle età scritte in copertina e senza aver fretta di proporre albi per bambini più grandi.
Per i piccoli del nido è meglio scegliere immagini stilizzate? Oppure vanno meglio quelle ben delineate? Sfondo neutro o con tanti dettagli dell’ambiente in secondo piano?
Molte mamme, quando si parla di albi, mi dicono che preferiscono acquistare quelli con illustrazioni cariche di colori accesi, che giocano con la realtà modificando forme e proporzioni, e, soprattutto, che mostrano animali. Questa scelta deriva da quel pensiero (non so bene di chi) che i libri per bambini debbano essere tanto colorati…il resto non conta, perché tanto sono bambini.
Le neomamme, inoltre, fanno largo uso di albi illustrati “tattili” che non sono più narrazioni ma si riducono a piccoli esercizi sensoriali. Si tratta di quei cartonati che prevedono in ogni pagina una piccola zona in cui si può toccare
un materiale diverso, dal ruvido al peloso, dallo zigrinato al liscio brillante. Oltre a non prevedere una storia sensata ed interessante per il bambino, questi albi hanno protagonisti molto lontani dalla vita del bambino, come pinguini o dinosauri.
Un altro dettaglio su cui si soffermano le mamme sono i colori: più i colori sonoaccesi e più il libro sembra adatto. Poco importa se l’immagine è piatta e senza alcuna prospettiva, poco importa se parte dell’illustrazione non si capisca cosa rappresenti…l’importante è che abbia colori vivaci, molti e tutti insieme.
Ma un albo illustrato non è costituito solo da illustrazioni. Come dicevo prima ci sono anche i testi…testi scritti da chi non vuole insegnare nulla, che non parla attraverso diminutivi inutili che storpiano la lingua italiana, ma che invece racconta storie, seppur brevi, per bambini veri, interessati a sfogliare le pagine esplorando i minimi dettagli che sono inseriti nell’albo.
Si comincia con le prime parole, si continua poi con frasi un po’ più lunghe,
attraverso vocaboli nuovi che danno “musica” alla storia.

Storia di un progetto a sostegno della maternità nel territorio del Rhodense

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Qualche tempo fa ho scritto un articolo in merito alle ombre della maternità e a quanto sia ancora difficile oggi dire e dir-si che la maternità non è solo un momento di estrema gioia e felicità ma che può portare alla donna labilità emotiva, irritabilità, pianti, depressione.

Per alcune donne le aspettative rispetto alla vita familiare e sociale del dopo parto, spesso, idealizzate, si scontrano inevitabilmente con l’impegno concreto legato alle continue richieste di cura provenienti dal neonato, con i necessari cambiamenti delle abitudini coniugali e con la significativa riduzione dei rapporti sociali. Inoltre, la pressione sociale che tende prevalentemente a dipingere il dopo parto come momento esclusivo di gioie e soddisfazioni ostacola le donne sofferenti nella richiesta di aiuto o di sostegno: ciò è spesso dovuto alla vergogna e al timore di essere etichettate…come “ingrate alla vita che ha donato un bambino”…come “inadeguate a prendersi cura di un neonato”…e potrei continuare.
Le madri, inoltre, hanno il timore che, se rivelano pensieri negativi, qualcuno potrà portar via il loro bambino, che non saranno più autonome ma saranno totalmente a carico della loro famiglia oppure che saranno considerate come persone deboli e fragili.

E’ molto importante, pertanto, iniziare a pensare di creare spazi e tempi in cui le neo madri affaticate, stanche, che hanno bisogno di confrontarsi con donne che sono nella loro stessa situazione, possano sentirsi libere di raccontare quello che stanno vivendo.

Si legge sulla “Rivista italiana di Educazione familiare” (n. 1, 2011), un’interessante testimonianza di una neomadre: Quando è nato il mio bambino…tutte le paure trattenute in gravidanza sono scappate fuori, sono entrata in una depressione profonda, ho sentito un’enorme solitudine e un grande desiderio di avere anche io una mamma che mi accudisse e si prendesse cura di me, che mi prendevo cura del mio bambino. Ho pensato di non essere affatto una brava madre e tutte le informazioni che avevo acquisito sull’essere genitori o sui bambini, le mie aspettative sulla madre che avrei voluto essere, sono diventate un’arma che mi si è ritorta contro perché avvertivo la grande distanza tra il genitore ideale…e ciò che ero veramente (fragile, impaurita, con una gran voglia di scappare via da questa responsabilità. Il parlare con altre madri aprendomi e rivelandomi mi ha fatto scoprire un universo di donne con sentimenti simili ai miei (dei quali spesso mi vergognavo) e mi ha aiutata ad uscire dalla crisi.
Sono significative queste ultime parole. Questa madre ricorda di essere riuscita a superare un momento difficile grazie ad altre madri e grazie al confronto con la loro esperienza. Una madre nasce insicura, impaurita, stanca…tutte le madri nascono così…Dirselo è sano. Può essere doloroso, ma è sano.

E’ importante che le neomadri diano sfogo al loro pianto…le lacrime non sono un difetto, un punto di debolezza…Le lacrime si possono tradurre in parole…ci vuole, però, tanto sostegno perché ciò accada.
Possiamo allora pensare di promuovere dei progetti territoriali che abbiano la finalità di creare, mantenere e solidificare una rete tra le famiglie con bambini molto piccoli.

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Sul mio territorio, prima nel comune di Rho e poi anche in quello di Arese, è nato ed è portato avanti un progetto che nasce a sostegno della maternità e della fatica delle neo madri, con l’obiettivo di accrescere le reti sociali delle donne che hanno un bambino molto piccolo e si sentono sole in questo momento molto delicato della loro vita.
Questo progetto è nato grazie ad alcune donne, che sono anche madri, che ad un certo momento hanno deciso di fare rete tra loro per superare la solitudine e la difficoltà dell’avere un neonato di cui prendersi cura. Barbara, Gloria, Federica, Daniela, Veronica erano madri che ad un certo momento si sono sentite slegate da un contesto di comunità e di relazione…hanno sentito il bisogno di uscire da un difficile momento di isolamento e, lentamente ma con tenacia, hanno saputo creare un tempo in cui le donne che da poco vivono l’esperienza della maternità potessero condividere esperienze ed emozioni, stando insieme e tirando fuori vissuti simili.

Queste madri, queste donne, hanno dato vita, prima da sole e poi aiutate da una collega educatrice, Marta, al progetto che oggi è conosciuto come “La colazione delle mamme” e che è frequentato da un gran numero di donne.
Hanno iniziato a vedersi in un caffè di Rho per fare colazione e condividere i vissuti…poi da tre o quattro che erano sono diventate molte di più e grazie a Marta, operatrice di #oltreiperimetri (un progetto lanciato in nove comuni del rhodense e pensato per le famiglie e le persone che si trovano in un momento difficile in ragione di eventi naturali della vita, proprio come la maternità) hanno trovato uno spazio in cui incontrarsi che fosse più tranquillo di un bar e che è
per loro per due ore a settimana.
Grazie a queste donne, tante altre si sono sentite sollevate dall’isolamento, hanno imparato ad essere una risorsa l’una per l’atra, hanno creato occasioni di condivisioni emotive oltrechè di aiuto pratico…si sono confrontate, sono indubbiamente cresciute, si sono scambiate esperienze e hanno promosso dialoghi sul tema della maternità e del femminile.

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Grazie ad un’amica, Sara, la scorsa estate, sono venuta a conoscenza del progetto e del fatto che lo si voleva estendere su altri comuni del Rhodense.
Per me l’esperienza della maternità è stata molto dura, soprattutto la prima volta. Mi sono sentita sola…vivevo in una città che non era la mia…ero senza rete familiare e con una rete amicale debole. Avevo bisogno di sostegno che non c’era, di sostegno alla relazione con mia figlia e all’elaborazione delle emozioni ad essa connesse…Non c’era nulla e la mia fatica è stata immensa. Tante volte piangevo disperata perché avrei voluto tornare alla vita di quando non ero madre. E mia figlia era stata cercata, desiderata, voluta con tutta la nostra anima.

Quando ho saputo dell’esistenza del progetto “Colazione delle mamme” e del fatto che lo si voleva portare in altri comuni del territorio ho provato una gioia grandissima e subito ho accettato di prestare collaborazione per far sì che potesse arrivare ad Arese, il comune in cui vivo. Arese è un comune molto piccolo…i cittadini sono molto attivi sul territorio, è forte lo spirito di appartenenza delle persone al luogo in cui vivono; mancava, però, un’iniziativa del genere e se ne sentiva forte il bisogno.

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Insieme a Sara e a Valentina, oltrechè a Marta e alle donne che hanno ideato “La colazione delle mamme” a Rho, abbiamo lavorato perché il progetto potesse concretizzarsi anche ad Arese. E da febbraio 2019, grazie anche all’Amministrazione Comunale che ha creduto in questa idea, abbiamo uno spazio, per due ore a settimana, come a Rho, in cui accogliamo le neo madri con i loro bambini.
Non accade più, nemmeno in un territorio come il nostro, piccolo e dove si dà molta rilevanza agli aspetti del sociale, che l’esperienza della genitorialità sia considerata una normale fase della vita, supportata da un sapere tramandato di generazione in generazione e maggiormente fruibile grazie a una intensa rete di scambi sociali. La maggiore consapevolezza della scelta di diventare genitori comporta indubbiamente dei vantaggi, ma anche un notevole aumento di ansie e paure, che spesso non trovano un adeguato contenimento in ambito sociale.
Per questo è bene favorire che le donne, nel primo periodo di vita del figlio, cerchino il contatto con altre donne che abbiano vissuto l’esperienza della maternità, con cui scambiare informazioni, condividere timori, avere incoraggiamenti. Il confronto rispetto alle conoscenze e alle esperienze, fondamentali per contenere le fisiologiche ansie genitoriali, deve in qualche modo essere ricostituito.
I nuovi genitori sentono il bisogno di saper decodificare i segnali comportamentali del proprio bambino: senza questa capacità, soprattutto le madri, si sentono incompetenti e provano una sensazione di privazione che procura una forte ansia e rischia di influenzare negativamente la relazione con il neonato. E’ importante, e questo costituisce il fattore principale di qualsiasi prevenzione, sostenere i genitori nello svolgimento del loro compito e fornire loro strumenti per essere “genitori efficaci”. Se si riesce a promuovere le risorse delle famiglie, questo avrà come conseguenza il facilitare lo sviluppo affettivo, cognitivo e sociale dei bambini.
E’ quindi necessario colmare quel “vuoto assistenziale”, nel quale si trovano le neo mamme, creando un luogo e un tempo dove genitori e neonati possano ricevere attenzione, sostegno collettivo ed individuale.
Il nostro progetto nasce con queste premesse.

E’ possibile un’alleanza educativa genuina tra servizi e famiglie?

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E’ possibile oggi un’alleanza efficace tra scuola/servizio educativo e famiglia? Come è possibile attuare quest’alleanza?

Sempre di più assistiamo, nei nostri servizi a una contrapposizione (se non a un’aperta polemica) tra i genitori e chi si occupa di educazione o gli insegnanti. Ne è testimone un filone mass-mediatico che, con uno sguardo che sempre più spesso è giudicante, dà voce a denunce, minacce, passaggi ad atti violenti di cui, è evidente, fanno le spese soprattutto i bambini e i ragazzi.

E’ molto importante, però, che gli adulti di riferimento attivino un dialogo proficuo tra loro al fine di creare una solida alleanza in grado di realizzare un progetto educativo condiviso.

Al giorno d’oggi la famiglia, in cui sempre più spesso entrambi i genitori lavorano e in cui i nonni non sono disponibili, o non lo sono sempre, coinvolge sin dalla primissima infanzia dei figli altre agenzie educative nel presidio della crescita quotidiana. Sempre di più si delegano a istituzioni parafamiliari funzioni di accudimento primario, istituendo, così, molto più precocemente che in passato, il bisogno di un’alleanza relazionale ed educativa tra la famiglia e l’agenzia educativa.
Questa precocità della delega, al servizio educativo prima e alla scuola in un secondo momento, di funzioni tipiche dei genitori può far sì che nella famiglia si sviluppi un senso di colpa a volte anche forte. Di conseguenza, anziché procedere nella medesima direzione e trovare strategie comuni, ci si trova, sempre più di frequente, davanti a genitori arroccati su posizioni aggressive per far fronte alla frustrazione che può generarsi in seguito alla delega di molte delle loro funzioni educative.

E’ difficile, quindi, realizzare l’alleanza tra la famiglia e l’agenzia educativa a cui questa affida il proprio bambino, anche se da molti genitori è ritenuta necessaria e molto utile. Le famiglie spesso lamentano di sentirsi escluse dalla vita dei servizi e, d’altra parte, chi in questi servizi ci lavora lamenta l’assenteismo delle famiglie.

Quali strategie allora possiamo adottare noi pedagogisti ed educatori?

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Credo che la prima cosa su cui lavorare sia l’avere una percezione chiara della famiglia, perché questo condiziona il nostro modo di essere in relazione con essa. In un testo che amo spesso citare (“in Relazione”, O. Cavalluzzi-C. Degli Esposti) si legge che quando un educatore incontra un bambino che piange con insistenza per avere un giocattolo, è facile che pensi che questo sia un bambino “viziato” dalla sua famiglia e che questa sia in difficoltà nel saper dire di no al proprio figlio attraverso regole e confini. Assumendo questa postura, però, l’educatore esprime un giudizio di valore piuttosto negativo e non riesce a porre i presupposti per stringere alleanza con la famiglia. Non si intravede un procedere verso l’altro e le sue possibili fatiche.
Se, però, lo stesso educatore prova a pensare alla famiglia di questo bambino come un “sistema”, guardando oltre i singoli, cercando di cogliere le relazioni che ci sono all’interno di essa e di guardare più in profondità sarà più facile, per lui, iniziare un dialogo sincero e metterà i genitori in condizione di aprirsi. Se non penserà che quel bambino è soltanto un “bambino viziato” ma lo considererà come un bambino che tutti i giorni vive all’interno di una famiglia in cui si mettono in atto delle dinamiche di un certo tipo per i più svariati motivi non si porrà in posizione giudicante ma potrà entrare in una relazione autentica con la famiglia in questione e andare con essa nella medesima direzione a favore di tutti.

Il primo passo deve essere fatto da noi operatori dei servizi, educatori ed insegnanti. Per portare la famiglia dalla nostra parte, per poter stringere quell’alleanza che tanto desideriamo e che, spesso, ci sembra un traguardo impossibile da raggiungere è importante, in primo luogo, mettere da parte i pre-giudizi e poi allargare gli orizzonti, tenendo presente che i nostri utenti (bambini, ragazzini, adolescenti, adulti…) vivono all’interno di un contesto familiare, a cui sono inevitabilmente legati.

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Le famiglie che si affacciano ai nostri servizi, oggi hanno un carico di vita piuttosto complesso, soprattutto dal punto di vista emotivo; noi pedagogisti ed educatori, pertanto, dobbiamo interrogarci sul come poter accoglierle al meglio. Se tentiamo di indirizzare le famiglie verso un comportamento educativo che noi riteniamo “corretto”, la relazione è sbilanciata dal momento che c’è chi parla e dà suggerimenti perché sa e chi ascolta perché non sa; così facendo intendiamo la famiglia come un contenitore da riempire, ma siamo davvero certi che sia così? La famiglia oggi è una realtà molto complessa e ogni famiglia è unica, pertanto non possiamo pensare di proporre strategie educative che siano universalmente valide se vogliamo stringere solide alleanze. E’, invece, fondamentale conoscere e riflettere sulle regole e sui principi che definiscono il sistema familiare e conoscere i confini del proprio ruolo di pedagogista o educatore o insegnante.

Faccio un esempio.
In un nido c’è un bambino che mette in atto speso comportamenti aggressivi nei confronti degli altri bambini; pertanto si decide di chiedere un incontro ai genitori. Così facendo, ancor prima di iniziare il colloquio, si comunica alla famiglia che qualcosa non va ed è facile che l’educatrice che lo propone pensi a problematiche comportamentali del bambino o a un momento di disagio in famiglia e pensi che il genitore che affronterà il colloquio potrebbe non voler prendere in considerazione il problema o minimizzarlo. Ipotizziamo che il genitore che affronta il colloquio si metta sul chi va là e rifletta su quanto è stato detto dall’educatrice. La sua reazione successiva sarà differente a seconda della situazione che la famiglia sta attraversando. Se la coppia genitoriale sta vivendo, per esempio, una crisi, è facile che il genitore che ha preso parte al colloquio manipoli le parole dell’educatrice per colpire l’altro, enfatizzando la sua responsabilità in quanto sta accadendo al bambino e, pertanto, è possibile, che l’intervento dell’educatrice non porti ad un’alleanza con la famiglia ma peggiori le cose rendendo il bambino ancora più aggressivo. Se, invece, la coppia genitoriale è fragile, può accadere che i genitori si alleino contro l’educatrice pensando che essa stia attaccando il loro sistema valoriale.
E’ pertanto molto importante che, quando si cerca il dialogo con le famiglie, si tenga presente che si sta entrando nella loro sfera privata e che non è detto che desiderino condividere con noi pensieri ed emozioni; l’educatore deve fare in modo che un colloquio con una famiglia non diventi il pretesto per scaricare su di essa le possibili difficoltà che sta vivendo con il bambino/ragazzino/adolescente ma deve cercare di incontrare le famiglie astenendosi da qualsiasi forma di giudizio, assumendo una postura accogliente e rispettando ciò che desiderano o non desiderano condividere.

Questo atteggiamento rappresenta il primo passo per creare un’alleanza solida e duratura. E genuina.

Se noi pedagogisti ed educatori comprendiamo che il nostro ruolo non è quello di dispensatori di consigli pedagogici (anche se spesso ci viene richiesto di farlo) ma che siamo persone competenti dal punto di vista della relazione (siamo i “professionisti della relazione di aiuto”) e che dobbiamo accompagnare le famiglie nel percorso educativo con i loro figli senza sostituirci a loro ma aiutandole a trovare da sé le soluzioni educative migliori per le loro fatiche, allora riusciremo ad allearci con esse e i primi a trarne giovamento saranno proprio i bambini/ragazzi.

Faccio un altro esempio.
La riunione di inizio anno in un servizio educativo per l’infanzia è generalmente un momento in cui si presenta l’équipe e si illustrano i progetti futuri. E’, spesso, anche questo un momento in cui c’è chi parla perché sa e c’è chi ascolta perché non sa. E quando chi sa ha finito di parlare si torna tutti a casa con una lista un po’ arida di informazioni che in pochi giorni si inizierà a dimenticare. Perché, come ho detto, prima le famiglie non sono contenitori da riempire ma sono costituite da individui che, proprio come noi operatori, hanno una storia, che magari vogliono anche raccontare. Individui che provano emozioni e, se noi operatori desideriamo stringere alleanza con loro, non possiamo non tenere conto di questo. Dobbiamo, pertanto, sintonizzarci su ciò che questi genitori provano e aiutarli ad esprimerlo per poi condividere con loro un genuino ed autentico percorso educativo. Possiamo, allora, lasciare da parte i racconti sui nostri bei progetti…per questo possiamo rinviarli alla lettura delle nostre “carte dei servizi”…Restituiamo valore alle emozioni…Lasciamo che le famiglie ci raccontino di sé, dei loro bambini, di come vivono l’ingresso al nido…Questo è un modo per promuovere realmente partecipazione e alleanza. L’educazione emozionale rende l’apprendimento più profondo e più consapevole…Noi pedagogisti ed educatori dobbiamo non solo mostrare le nostre conoscenze e competenze ma anche, e soprattutto, essere in grado di costruire relazioni, esprimere e far esprimere emozioni, saper entrare in sintonia con gli altri.

I servizi educativi hanno bisogno delle famiglie e le famiglie hanno bisogno dei servizi educativi.

Concludo con una frase di Bettelheim, letta nel libro I figli del sogno:

[…] ogni società, educando la futura generazione, pone al bambino, in ogni stadio dello sviluppo, particolari esigenze che derivano dallo specifico modo di vita di quella società. Tali esigenze raggiungono il bambino mediante gli atteggiamenti che egli incontra nelle persone che si prendono cura di lui; atteggiamenti che insieme lo mettono in grado e lo costringono a risolvere i problemi posti dal suo sviluppo.

E questi problemi non sono altro che i conflitti che la società permette o esige. È proprio il modo in cui si risolve questo conflitto che lo porta sempre più vicino a diventare un membro vitale ed efficiente di quella società […]

e […] nessun sistema educativo può essere compreso separatamente dalla società in cui serve.

E’ davvero importante, allora, lavorare tutti insieme e percorrere a stretto contatto il percorso educativo che vogliamo che i nostri bambini seguano.