Vuoto di apprendimenti e di relazioni in questo “tempo sospeso”

In questi giorni mi domando senza sosta…quale sarà l’eredità che questo periodo di isolamento, di distanziamento sociale lascerà ai nostri bambini e ai nostri ragazzi? Come ne usciranno?

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La chiusura delle scuole è una procedura di sanità pubblica, serve a ridurre il rischio di contagio da coronavirus, ma ha degli effetti psicologici sui nostri bambini, diversi a seconda della loro età. I bambini sono  più fragili e indifesi degli adulti e possono soffrire un’angoscia penetrante perché sono più permeabili dell’adulto alle paure. Anche le emozioni “si contagiano”.

I bambini della Lombardia sono a casa dal 24 febbraio, un mese e mezzo. La distanza dai compagni e dagli insegnanti comincia a pesare. Tutti, ormai, hanno spiegato ai figli, soprattutto a quelli più piccoli, le vere ragioni della chiusura delle scuole. D’altra parte, se non lo avessimo fatto, i bambini avrebbero corso il rischio di sostituire le motivazioni reali con fantasie e paure eccessive.

E’ poi partita un po’ dappertutto la didattica a distanza. L’emergenza ha reso inevitabile una sorta di sperimentazione di massa della “scuola a distanza” attraverso l’uso di soluzioni digitali, con risultati più o meno soddisfacenti. Ma questa non è la sede per dare giudizi in merito.

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E, contemporaneamente, le chat di classe si sono riattivate.

Nei primi giorni di chiusura, quando si iniziava a comprendere che le scuole non avrebbero riaperto tanto presto, alcuni genitori chiedevano di dare compiti e lezioni ai bambini, altri si lamentavano di non riuscire a seguire, lavorando, i figli nei compiti, altri ancora si barcamenavano come era loro possibile. Pochi, pochissimi, riflettevano su quanto potesse essere complesso per gli istituti e le insegnanti (soprattutto quelle più anziane) mettere in pista dei validi impianti di didattica a distanza, tanto più che, al momento dello scoppio dell’emergenza, la scuola non era attrezzata per farvi fronte.
Non si trattava semplicemente di sostituire le lezioni in presenza in lezioni mediate da un’interfaccia.

Noi, a casa, vediamo soltanto video-lezioni erogate. Ma c’è un grande lavoro dietro, di gruppo e del singolo. Oltre alla lezione, si deve pensare ad attivare esercitazioni che gli alunni possano efficacemente seguire e svolgere, si deve pensare ad un sistema di valutazione che non può essere lo stesso che in presenza. Si deve pensare a come può avvenire, durante le classi digitali, il confronto tra insegnanti e studenti e come questo possa essere efficace. E poi c’è da pensare, e per di più in un tempo non ordinario, a come gli allievi possano lavorare a casa, come si possano organizzare gli approfondimenti. E anche a come orientare o ri-orientare gli allievi che sono in difficoltà, sia a seguire il modello di apprendimento proposto sia nella comprensione dei contenuti.

La didattica a distanza richiede una progettazione accurata e attenta; e per questo sono necessarie solide, solidissime competenze. La circolare ministeriale del 17 marzo 2020 dice: “affinché le attività finora svolte non diventino – nella diversità che caratterizza l’autonomia scolastica e la libertà di insegnamento – esperienze scollegate le une dalle altre, appare opportuno suggerire di riesaminare le progettazioni definite nel corso delle sedute dei consigli di classe e dei dipartimenti di inizio d’anno, al fine di rimodulare gli obiettivi formativi sulla base delle nuove attuali esigenze”. Il rischio grosso è proprio quello di proporre agli allievi esperienze prive di senso e di significato.

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Per quanto posso dire da pedagogista, gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado stanno facendo un ottimo lavoro. Gli istituti si sono organizzati, non tutti con le stesse tempistiche e non tutti con gli stessi strumenti a disposizione. Ma si sono organizzati. E, a poco più di un mese dall’inizio dell’emergenza, bambini e ragazzi stanno imparando a seguire in modo scrupoloso le attività a distanza proposte dai docenti nelle varie modalità (piattaforme, registro elettronico,…); stanno procedendo, per quanto è possibile, autonomamente nello studio e nell’approfondimento, leggendo libri, consultando i manuali, sia per ripassare argomenti già svolti sui quali non ci si sente sicuri, sia per approfondire nuove tematiche; stanno imparando a comprendere che ogni studente è protagonista del proprio apprendimento ed è chiamato a viverlo in modo responsabile, curioso, libero. Ora più che mai.

Nonostante tutto, però, c’è chi non è soddisfatto. Genitori che chiedono di aumentare le ore di lezioni. Di dare più compiti. Perchè, in questo modo, i bambini e i ragazzi, almeno sono impegnati.

Oltrechè pedagogista, sono madre di tre ragazzini. Sono preoccupata tanto anche io. In realtà non del fatto che resteranno indietro con l’apprendimento delle discipline. Quello l’ho messo in conto. Non penso che, per quanto ci si impegni su tutti i fronti, sul piano degli apprendimenti si arriverà agli obiettivi che ci si era prefissati a inizio anno.
Ma ho fiducia nei ragazzi…recupereranno alla velocità della luce.
Sono preoccupata perchè sento che stanno facendo moltissima fatica ad abituarsi all’assenza di relazione tra coetanei. A loro mancano la scuola, le maestre e i professori, i giochi spensierati all’aria aperta o nei corridoi. E non recuperando questo tempo che hanno vissuto come sospesi.

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Comprendo che padri e madri possano essere preoccupati del “vuoto” di apprendimenti che potrà generare l’emergenza legata al diffondersi del Coronavirus…Sempre ho sentito genitori chiedere alle insegnanti: “Allora…come siamo messi col programma?”, come se l’apprendimento si misurasse a quantità e non a qualità. E adesso, oltre a questo, tanta ansia è creata dal fatto che le famiglie non sono abituate a convivere per giorni e notti, senza sosta, se non nei momenti di vacanza; non è facile gestire i figli senza aiuti, senza “valvole di sfogo”, senza poter condividere le fatiche del crescerli con altri membri della famiglia…Tutti conoscono il proverbio africano che recita: “per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. E nei villaggi si respira senso di vicinanza e di comunità. Oggi tutto questo è venuto a mancare. Mancano affetti, mancano spazi aperti, mancano innumerevoli stimoli. Per tutti. E nessuno ancora è pronto per affrontare la quarantena ben attrezzato. La si affronta perchè non ci sono alternative.

Io credo che la scuola sia fondamentale per le relazioni, per le possibilità che può offrire, per le aperture. Non per i programmi che si stabilisce a tavolino di svolgere. Molte famiglie ora si trovano ad affrontare figli che non conoscono a fondo e vorrebbero scaricarne il peso, per tante ore al giorno, alla scuola, come spesso accade, dimenticando che questi stessi figli si educano in rete, stringendo solide alleanze. E’ spiazzante tutto ciò. Lo capisco. La scuola, però, non può essere pensata come un rifugium peccatorum, come un luogo di intrattenimento. Ognuno deve fare la sua parte, per quanto sia faticoso e per quanto gli strumenti siano poco adeguati. Ci si deve attrezzare, senza più indugi. E’ dovere morale verso i figli che si sono fatti nascere, io credo.

Verrà il tempo in cui ci riprenderemo quello che avevamo prima. Questo, però, può essere un tempo per la riflessione.

Genitori in “quarantena”…come sopravvivere?

Tanti sono i genitori che conosco e che stanno faticosamente “annaspando” in questa lunga…lunghissima quarantena. E tanti di loro chiedono come superare senza soccombere questo periodo di emergenza.

Molti di coloro che hanno figli in età da nido o da scuola dell’infanzia, in questi giorni stanno lavorando in modalità smartworking. Alcuni lo hanno già fatto in precedenza e, pertanto hanno idea di come gestire il lavoro da casa con dei bambini piccoli di cui, in un modo o nell’altro, ci si deve prendere cura. Per altri, invece, è cosa nuova. E, per questo, forse spiazzante. Ma si può fare. Anzi si deve, visto che, in questi giorni di emergenza, tante alternative non ci sono.

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Come gestire allora il lavoro da casa senza poter uscire ed avere contatti con altre persone? E come far sì che questa situazione sia vissuta in maniera serena dai bambini?

Innanzi tutto è importantissimo separare il tempo che si dedica alla famiglia da quello che si dedica al lavoro, un po’ come se si andasse in ufficio; è frustrante fare le due cose insieme e non si riesce a farne bene nessuna

Se possibile, poi, bisogna separare i luoghi; se si ha una casa grande, è bene individuare una stanza dentro cui si lavora e basta; se questo non è è possibile, allora di deve trovare una postazione su cui mettere il computer, un block notes, dei post-it (un tavolo, un banchetto, una scrivania…) e dichiarare che quello è il posto in cui voi lavorate ed è bene che nessuno tocchi.

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Se entrambi i genitori sono a casa in modalità smartworking,si dovrebbe pensare a fare dei  turni (almeno di 2 ore, 4 meglio); un genitore lavora mentre l’altro si occupa dei figli, e a fine turno si cambia. Entrambi i genitori hanno gli stessi diritti e la qualità del lavoro deve essere quella di sempre.

E’ fondamentale non aspettarsi che i colleghi siano comprensivi mentre si gestiscono i figli. Pertanto, se si deve staccare a causa dei bambini, è bene dirlo chiaramente fin dall’inizio, perché così nessuno fraintenderà eventuali momenti di assenza.

Se si vuole lavorare, bastano poche ore, purchè siano di qualità, e, soprattutto, completamente a nostra disposizione. Pertanto è fondamentale stabilire che cosa fare, prendere coscienza del tempo a disposizione e usarlo bene.

E’ molto importante che la giornata abbia un’organizzazione ben precisa. Non siamo in vacanza, quando i tempi sono dilatati ed è possibile e direi anche terapeutico non guardare mai l’orologio. Ci si deve, quindi, svegliare come se si dovesse andare in ufficio, con la sveglia, puntata alla solita ora o un po’ dopo. Ma non a mezzogiorno.
La cosa migliore sarebbe quella di tenere gli orari di lavoro che si hanno normalmente, pur concedendosi  di essere meno “fiscali” sul tempo in modalità smartworking. Non si deve dimenticare che la quantità di lavoro è sempre la stessa. E bisogna essere puntuali se ci sono appuntamenti telefonici o video-chiamate.

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Se si deve dividere il tempo da dedicare al lavoro con il vostro compagno o la vostra compagna, i turni di cui parlavo prima, si possono ottimizzare i tempi. Uno dei due può iniziare la mattina presto e l’altro finire la sera poco prima di cena, per esempio. Si può diminuite il tempo dedicato alla pausa pranzo: trenta minuti possono essere sufficienti. Se arriva tanta posta, si possono leggere i messaggi più brevi la mattina appena svegli, dal cellulare; per quelli più lunghi si possono usare i ritagli di tempo (ahimè, è il momento mettere da parte YouTube, Netflix, Sky e tutto resto in questo periodo) e per i messaggi importanti si può usare il tempo immediatamente dopo la pausa pranzo.
Non c’è un tempo infinito a disposizione, quindi il “lo faccio dopo, quando ho un po’ di tempo” non deve diventare una regola. Se serve, si può usare qualche mezz’ora dopo aver messo a letto i figli, ma è bene ricordare che c’è bisogno di un po’ di decompressione. Soprattutto in questo periodo.

Ricordate, però, che non siete soltanto dei lavoratori, ma anche una coppia, oltrechè dei genitori.

In questo momento in cui tutti, o quasi, siamo a casa, è difficile condividere spazi, tempi e gestione delle faccende di casa. Non siamo abituati a una situazione come questa, pertanto dobbiamo attrezzarci e adottare modalità nuove di gestione della nostra giornata.

E’ molto faticoso, se siamo abituati a passare buona parte del giorno fuori di casa, a incontrare sempre molte persone, ad avere tante ed appaganti relazioni sociali, essere costretti a vivere in una manciata di metri quadrati. Può aiutarci il pensiero che lo stiamo facendo per un bene comune. Siamo in casa, senza poter uscire, senza poter avere spazi e tempi tutti per noi, perché non vogliamo rischiare di contagiare qualcuno qualora avessimo contratto questo virus. E non vogliamo essere contagiati noi.

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E’ vero che sapere di poter contare, ogni giorno, di uno spazio esclusivo, in cui non facciamo entrare nessuno, è confortante. Il non poterlo più avere, all’improvviso, ci può causare un po’ di ansia e depressione. Proviamo, allora, a condividere con il nostro compagno o con la nostra compagna questo nostro stato d’animo. E’ importante, ora, esplicitare i nostri bisogni e, soprattutto, le nostre emozioni. E’ vero che, generalmente, nelle famiglie la comunicazione è legata all’operatività: butta la spazzatura! Compra questo o quello! Porta i . bambini in piscina o a pallavolo! Adesso, invece, proviamo a comunicare stati d’animo…Chissà che non continuiamo anche a fine emergenza…Attiviamo, all’interno della coppia, uno spazio di ascolto in cui ci si confida reciprocamente ansie e paure, senza vergognarsi di essere fragili.

E’ importante organizzare la giornata anche se si sta lavorando, se non si hanno incombenze o appuntamenti quotidiani che la scandiscono: se non mettiamo a punto un’organizzazione, anche minima, rischiamo di perdere l’orientamento.
Cerchiamo, pertanto, di mantenere il consueto ritmo sonno-veglia: andiamo a dormire all’ora abituale e svegliamoci all’ora a cui siamo abituati a farlo.

Ricordiamoci che i giorni non sono tutti uguali; è fondamentale ricordarci che oggi è martedì piuttosto che domenica: quando le routine sono spezzate è facile avvertire un senso di smarrimento perché non si è più motivati all’azione, pertanto è fondamentale riprogettare la quotidianità per favorire la ristrutturazione di un senso psicologico e cronologico.

Curiamoci costantemente della nostra persona, come se dovessimo uscire e incontrare altre persone. In questo modo non perdiamo il contatto con la parte sana di noi stessi e non torniamo continuamente alla situazione di emergenza rendendola ancora più vivida.

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Manteniamo i contatti sociali; la tecnologia ci può aiutare a farlo. Possiamo usare le videochiamate al posto delle chiamate tradizionali: ci danno un maggiore senso di vicinanza e lo danno ancor di più alle persone anziane o ai bambini. Organizziamo un caffè con le amiche via Skype!

Facciamo attività fisica. E’ vero che non possiamo andare in palestra o uscire per fare una corsa, ma ci sono migliaia di applicazioni che propongono allenamenti on line e corsi di fitness che si possono fare in casa; e se il fitness non ci piace, possiamo accendere la radio e metterci a ballare, fare le scale del condominio, fare stretching.

E poi facciamo qualche progetto per il futuro. Sono tanti i sogni nel cassetto che non abbiamo mai provato a realizzare per il tempo tiranno. Questo è il tempo pe leggere un libro comprato tanto tempo fa e lasciato nella libreria, per fare un corso di pittura tra i tanti che si trovano on line, per fare una visita virtuale ad un museo.

E in questo modo possiamo far sì che vada tutto bene.

Lettera alle famiglie…tentiamo di salvare i servizi

Cara mamma, caro papà,

forse ci conosciamo, forse no…nel dubbio, mi presento…
Mi chiamo Marta, sono una pedagogista e un’educatrice…Lavoro in un nido comunale, Il “Girotondo” di Bresso, vicino a Milano. In questo periodo, come tutte le colleghe educatrici, sono a casa perché il governo ha stabilito la chiusura di tutti i nostri servizi.
Non sono in vacanza, però. Come non lo è nessuna delle mie colleghe. Ognuna di noi, in modo più o meno visibile, sta cercando di portare avanti del lavoro. Si fa progettazione, si seguono corsi di formazione, webinar, si leggono e rileggono libri di pedagogia che ci torneranno utili al rientro, si pensa alla riaccoglienza dei vostri bambini. Personalmente, faccio riunioni di equipe con le colleghe, seguo dei corsi di aggiornamento e formazione e preparo io stessa dei corsi di formazione che poi erogo. Non mi annoio di sicuro. Benché senta terribilmente la mancanza dei bambini, delle loro voci, del “mio” nido, insomma.

Non ti scrivo, però, per parlarti di me. Sono altre le cose che voglio dirti.

Se il tuo bambino sta frequentando un servizio privato, un nido o una scuola dell’infanzia, probabilmente ora ti stai domandando perchè il gestore ti chiede il pagamento della retta benché non abbiate usufruito del servizio.
Sono tanti soldi, in fondo! Come minimo 400 euro.
Lo so bene…Ho tre figli che hanno frequentato il nido e fino allo scorso anno io stessa gestivo un nido privato…So perfettamente a quanto ammontano le rette dei servizi per l’infanzia privati.
Hai il sacrosanto diritto di protestare. Quei soldi, probabilmente, ti fanno comodo. E perché pagare un servizio di cui non si è usufruito? Tanto più che le strutture pubbliche hanno sospeso i pagamenti delle rette. Perchè mai ci deve essere questa disparità?

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Hai ragione, cara mamma. Hai ragione a dire che la retta non va pagata. Lo dice anche il Codacons. Lo dicono gli avvocati. L’hanno detto anche a Striscia la notizia!

Vado indietro nel tempo…a un anno fa. A quando ero io a gestire un nido. Se il Coronavirus fosse arrivato allora ti avrei chiesto anche io, in qualità di gestore, di pagare la retta.
Non tutta. No. Non tutta. Forse avrei calcolato i costi del personale, delle utenze, di quanto non si può lasciare indietro (magari un piccolo mutuo), del canone di affitto. Avrei lasciato perdere il mio stipendio…il rischio di impresa c’è e se ne deve tenere conto…per fortuna mio marito lavora e proprio senza ossigeno non siamo…ma non puoi aspettarti che per tutti sia così. I titolari dei servizi privati lavorano in media 10/12 ore al giorno (tanto…tranquilli…i sindacati non si interessano dei padroni) ed è molto frustrante non avere un corrispettivo economico per tanto lavoro…ma qui si tratta di un’emergenza…se serve a salvare il servizio, del mio stipendio faccio a meno fino a emergenza finita.

Fatti i debiti calcoli, se tutto questo fosse accaduto un anno fa, avrei scritto a tutte le famiglie del nido chiedendo se fossero disposte a dividere la cifra necessaria a tenere il piedi il servizio che avevano scelto. Con cui più che un contratto avevano firmato un patto di alleanza educativa.

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Avrei scritto senza avanzare nessuna pretesa, sia chiaro. Semplicemente, con onestà e crudezza, avrei detto che quella era la cifra necessaria per coprire i costi del mese. Non l’avevo e nessuna banca mai mi avrebbe concesso un prestito. In tanti, però, forse avremmo potuto racimolarla e andare avanti.

Cara mamma, caro papà…
se ci conosciamo è perché tu avevi scelto il mio servizio per il tuo bambino. Hai, pertanto, avuto fiducia in me. Ci siamo abbracciati. Abbiamo pianto insieme guardando lui o lei e i suoi cambiamenti. Probabilmente ci siamo anche trovati in conflitto…so di avere un carattere non troppo morbido…ma ne siamo anche venuti a capo. Abbiamo sempre dialogato. Non smettiamo proprio ora.

So che non ho diritto di chiederti dei soldi. Ed è difficile, difficilissimo farlo. Tante relazioni, del resto, si rompono proprio per questioni di denaro. Non ho, però, altre soluzioni. Io desidero che il nido possa sopravvivere. Certo…ci ho investito tanto in tanti anni…e non mi riferisco solo agli investimenti economici. Ho investito tempo, che ho tolto ai miei bambini perché le giornate sono solo di 24 ore, ho investito cuore, perché io in questo servizio ci credo e voglio che sia un luogo in cui si respira educazione. Mi aggiorno costantemente per garantire qualità a tutti voi.
E adesso potrei…potremmo…perdere il nido. Io non ho un conto in banca milionario a cui attingere in casi di emergenza come questo. E sul conto aziendale sono rimasti pochi spiccioli. A marzo sono riuscita a coprire tutte le spese. Ad aprile non ce la farò. Non pagherò le educatrici, non pagherò le utenze e nemmeno l’affitto…Riceverò lettere da avvocati che nemmeno aprirò…non mi metteranno in mezzo alla strada perché ho tre figli minori. E, alla fine, visto che un po’ di sale in zucca ancora mi è rimasto, chiuderò l’attività. Perché i giochi al massacro fanno per me solo fino a un certo punto. I debiti in qualche modo li salderò…le educatrici potranno ottenere il sussidio di disoccupazione e proveranno a cercarsi un altro lavoro…non sarà semplice…ma in qualche modo faranno.

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Il nido, però, non ci sarà più. Quando l’emergenza sarà finita non accoglierà più il tuo bambino o la tua bambina. E sarà difficile trovarne un altro perché sono in tanti i gestori di servizi educativi che vivono questa stessa situazione.
Questa cosa mi fa male. Tanto male.

E a te? Cosa farete tu e il tuo bambino quando tutto sarà finito? Dove lo lascerai quando tornerai a lavorare? Intendiamoci, cara mamma, io non credo che il nido sia un luogo in cui semplicemente tu lasci il tuo bambino perché non hai altre soluzioni. Porti il tuo bambino al nido perché credi nel suo valore educativo; sei sicura, mentre sei al lavoro, che in quel luogo il tuo bambino o la tua bambina fanno delle esperienze belle e importanti per lo sviluppo e la crescita e stanno insieme a persone competenti e di cui tu hai piena fiducia.

Tra poco, però, sarai costretta ad iniziare a pensare ad un’altra soluzione. Te lo dico con un groppo in gola. Ma sarà necessariamente così.

Se, però, vuoi aiutarmi in un momento di enorme difficoltà io accolgo il tuo aiuto e ti ringrazio. Continuerò a insistere perché il governo intervenga e sia lo Stato a sostenermi e appena questo accadrà, stanne certa, cara mamma, restituirò tutto. Sono brava a tenere i conti…non ti preoccupare…riavrai quanto mi hai anticipato…Tutto fino all’ultimo centesimo.

Non posso aggiungere altro…ho detto tutto…Ho il cuore gonfio di angoscia e mi vergogno un po’ per le richieste che ti ho fatto. Non ho, però, nessun altro modo per salvare il nostro nido. Almeno adesso. Ti prometto, però, che continuerò a pensare a soluzioni alternative.

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Ti abbraccio. Virtualmente per ora. Sono certa che presto torneremo ad abbracciarci. Uniti ce la possiamo fare.
Non sulla pelle dei bambini. Non sulla pelle delle famiglie. Non sulla pelle dei servizi.

Marta, educatrice del nido comunale Il girotondo di Bresso (MI)

 

I servizi educativi non devono chiudere! Non devono essere abbandonati!

Ieri sera ho guardato “Striscia”. Erano anni che non lo facevo. Chissà perché proprio ieri. Passavano le immagini ed ero annoiata, quando, a un certo punto, è stato mandato in onda il servizio di Chiara Squaglia.
Amici di Striscia, oggi parliamo di rette!…Le rette degli asili nido…Ebbene diversi genitori ci hanno segnalato che alcuni asili nido PRETENDONO comunque il pagamento dell’intera retta mensile!
Quanto sdegno nelle parole della Squaglia. Del resto, lei fa il suo mestiere. E l’audience deve essere alta.

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Mi sono irrigidita. Ho ascoltato tutto il servizio con la massima attenzione. Mi sono sentita chiamata in causa.

Come tanti sanno, ho gestito un servizio educativo per dieci anni. Lo scorso luglio, però, ho deciso, per una serie di motivazioni di cui non discuto in questa sede, di cedere l’attività. E’ avvenuto tutto con molta facilità…il nido funzionava bene, con degli utili di tutto rispetto (cosa non tanto scontata di questi tempi)…Ho ceduto solo il nido. Non ho ceduto le emozioni vissute in tanti anni, la ricchezza (non i termini economici) che il lavoro in quel posto mi aveva donato, la professionalità acquisita grazie all’aver attraversato quel servizio…Tutto questo l’ho tenuto gelosamente per me, per condividerlo con le mie nuove colleghe e tutti coloro che avranno piacere ancora di condividerlo.

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Non ho il cuore pesante in questi giorni, non posso dire diversamente…

Lavoro in un nido comunale e credo che difficilmente, alla fine dell’emergenza, non ritroverò il mio posto…Sarà tutto diverso, questo lo so…ma non sarò rimasta senza un lavoro. E di questo, benché non sia donna di fede, forse devo ringraziare il Cielo.
Ho, però, tante care amiche che sono titolari di asili nido o centri per l’infanzia che hanno l’animo gonfio di angoscia. Maria Teresa, Alice, Alessia, Sandra, Letizia, Federica, Ambra, Ilenia, Viviana, Cinzia…e, con loro, tantissime altre.

Intendiamoci, so bene che tante famiglie sono in difficoltà e che la richiesta di sospensione delle rette, visto che non ricevono un servizio, è sacrosanta e se vale per le strutture pubbliche non può non valere per quelle private, per non creare una disparità tra i cittadini.
Ma so anche bene, molto bene, che per le strutture private le rette pagate dalle famiglie sono l’unico strumento per pagare dipendenti, collaboratori, utenze, affitto e tutte le millemila spese che devono continuamente affrontare.

Una famiglia, in media, paga 450 Euro di retta se ha un figlio al nido e 160 Euro se ha un figlio alla scuola dell’infanzia. Mi riferisco ai servizi privati. Sono tanti soldi? Si tratta di cifre eque? Per una famiglia possono essere cifre importanti e non facili da racimolare, per qualcun altro, invece, si tratta di poca roba…Ci sono famiglie di operai, dove lavora magari solo uno dei due genitori, e famiglie di industriali che hanno la seconda casa a Cortina e la barca al Lago. Non si fanno i conti in tasca a nessuno. Non è etico.

Posso, però, pensare al bilancio mensile di un piccolo servizio come quello che gestivo io. I bambini erano 24. Con una media di 450 Euro a famiglia al mese, si fatturavano poco più di 10.000 Euro al mese…Se filava tutto liscio…perchè è successo più di una volta che qualcuno si defilasse senza pagare.
E con questi 10.000 Euro o poco più si pagavano i dipendenti (io ne avevo quattro…fate due conti), i diversi professionisti (supervisore, commercialista, consulente del lavoro…), le utenze, le derrate alimentari, il materiale per le attività, le manutenzioni e l’affitto. E si metteva da parte quanto serviva per il mese di agosto, in cui non erano previste entrate perché il nido era chiuso. E anche quanto serviva per il mese di luglio…quante volte è successo che un bel numero di famiglie il 30 di giugno ritirassero il proprio bambino benché il regolamento prevedesse che non erano concesse disdette oltre il 10 di febbraio.

Dico, pertanto, forse anche con un po’ di cinismo, che un mese, massimo due, di rette non versate determinerà la chiusura di una grandissima parte dei servizi educativi privati. A meno che non intervenga lo Stato.

Riporto stralci di quanto ha scritto la mia amica Maria Teresa Guerrisi, titolare del nido “La monelleria di Carignano” di Genova, forse amareggiata dopo aver ascoltato anche lei il servizio della Squaglia.

“Quello che penso è che sia ingiusto fomentare una guerra tra poveri, dividere servizi dalle famiglie in questo modo….Personalmente penso costantemente alle famiglie perché come dice Patrizia Granata “si è educatori sempre”, penso a quelle famiglie che corrono il rischio di affidarsi ad associazioni che è risaputo che nei momenti di crisi agiscano tirando su polveroni per aumentare i tesserati, oppure ad avvocati “strappa like” che se fossero persone serie saprebbero benissimo che una famiglia firma un contratto, anche se spesso i gestori agiscono attraverso una grande flessibilità questo esiste ed è sottoscritto….Ognuno è libero di agire come crede, anche di fare vertenza a quei luoghi, quelle persone che Ha SCELTO tenendo in considerazione la Qualità del servizio offerto, quelle stesse persone che intendono l’educazione come “cura dell’anima” (L. Mortari); con le quali hanno sottoscritto non un contratto ma un patto di alleanza educativa…”.

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Credo che un certo numero di famiglie, per quanto possibile, non abbandonerà i nidi e le scuole dell’infanzia con cui ha stretto alleanza…qualcuno, invece, lo farà e sarà certamente per motivi buoni e sacrosanti. Mi auguro, allora, che lo Stato in cui ancora credo possa e voglia intervenire. Se il nido di Maria Teresa, quello di Letizia, Alessia, Alice…e di tante altre chiuderanno, la perdita sarà inestimabile. E non perché verranno meno dei preziosi posti-nido…o non solo per quello…Perchè perderemo, perderete, dei servizi di rara qualità, in cui davvero il bambino è al centro e in cui si fa Educazione, scritto con la maiuscola. Si fa realmente Educazione.

Ancora Maria Teresa scrive: “Ricordate anche che i servizi educativi riapriranno, magari in estate quando avendo consumato le ferie sarà necessario lavorare e permettere ai vostri figli di accedere a luoghi sicuri, con personale competente, e quando le porte saranno chiuse, perché l’ossigeno è terminato, forse…i redattori di questi servizi televisivi saranno in grado di trovare una soluzione per voi.”.

Nessuno pensa a questa eventualità? Quali servizi frequenteranno i bambini? I nostri nidi comunali sono pieni e, se sarà il caso, potranno accoglierne una piccola percentuale di bambini rimasti fuori dai servizi privati e non so bene in base a quale criterio. E gli altri?

Questo non è il momento di unirsi contro i servizi educativi, di PRETENDERE (come dice soddisfatta la Squaglia) i rimborsi delle rette versate; è il momento di allearsi con questi stessi servizi, al fine di chiedere a chi di dovere di sostenere tutti con equità.

I risarcimenti, ne sono certa, arriveranno…Provate ora solo a lasciare un po’ di tregua a Maria Teresa, Alice, Letizia e a tutte le persone che, in maniera virtuosa, hanno gestito i servizi educativi frequentati dai vostri bambini. Le avete abbracciate tante volte, avete pianto con loro guardando i cambiamenti dei vostri bambini, avete mostrato riconoscenza.

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Non lasciatele sole ora. Non lasciatele sole in questo momento difficile in cui non possono dire quello che vorreste sentirvi.

Sarebbe terribile. A me è accaduto quando avevo le spalle ben coperte. So quanto può essere terribile.

Verso una deriva educativa?

Scuole e asili sono chiusi. Ormai è un mese. Bambini e ragazzi sono a casa. Inizialmente si incontravano, in casa di qualcuno, nei parchi durante le prime giornate tiepide.
Da parecchi giorni, però, le relazioni hanno preso una piega diversa. I nostri bambini e i nostri ragazzi non vedono i loro amici, li sentono via chat, via Skype, o via qualsiasi altra modalità legata alla tecnologia. I corpi, però stanno a distanza. E trascorrono tutta la giornata con i genitori che, se va bene, si destreggiano con lo smartworking e, se va male, hanno un parente o un amico in ospedale.

Le relazioni hanno preso una piega diversa. Inevitabilmente. Non si tratta di perdere giorni, non fare lezione per chi va a scuola, di non portare a termine i progetti, di non finire il programma, bensì, ahimè, di smarrire progressi frutto di fatiche condivise in anni e anni di impegno di insegnanti, educatori, famiglie e, soprattutto, bambini e ragazzi. È un patrimonio inestimabile.
I servizi educativi, gli asili, le scuole sono per i bambini e per i ragazzi, corpo, sostanza, vita, parte di sé.

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Questi giorni perduti, questa tempi e luoghi non vissuti, questa lontananza educativa pesano come macigni. Stare a casa con mamma e papà, fare attività con loro (magari per meno di mezz’ora perché comunque i genitori lavorano o i bambini e i ragazzi non riescono, in questo periodo, a concentrarsi a lungo), vedere su cellulari e tablet educatori ed insegnanti serve a non perdere il contatto con i servizi educativi o la scuola, ma non è sufficiente. E’ tanta roba senza dubbio. Essenziale e vitale come l’aria che si respira. Ma quando manca l’aria…

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Le prove nella vita (e quella che stiamo affrontando è indubbiamente una delle più grandi che mai abbiamo vissuto o vivremo) ci fanno scoprire chi siamo veramente, fanno “abbassare la cresta” a chi pensa di averla perchè la prova è per tutti e tutti nella prova sono uguali. Certamente non è il caso ora di sfoderare il detto “mal comune mezzo gaudio”, piuttosto ognuno deve metterci del suo e dare il massimo affichè il gruppo superi la prova.

Cosa possiamo fare noi che ci occupiamo di educazione?
Non certo chiedere a gran voce di riaprire le scuole rischiando il contagio e neppure pensare di andare a svolgere il nostro lavoro nelle case..il virus non si ferma certamente sulle soglie.
Non c’è soluzione? Siamo destinati ad assistere ad una delle più grosse derive educative dell’ultimo secolo?

I bambini, del resto, i bambini dei “nostri” servizi, i bambini tutti, non vengono mai menzionati nei decreti…almeno…non ho mai letto nulla che si riferisca a loro, ma se sbaglio sono pronta a fare ammenda. Non sono, però, scomparsi. Sono chiusi nelle loro case…a volte li vediamo sui terrazzi, perché è stata data la possibilità di uscire di casa solo a chi deve andare al lavoro, a chi deve fare la spesa (uno solo alla volta) o a chi ha gravi motivi comprovati. Lasciare che i bambini abbiano, anche solo per pochi minuti al giorno, la possibilità di essere immersi nel mondo, di rimanere in contatto con ciò che prima era tanto per loro, non rientra tra le motivazioni gravi. Devono, pertanto, restare in casa. Isolati. E manca l’aria…

E allora?

Proviamo a porci il problema e a farcene carico cominciando fin da subito a progettare momenti di “recupero”, “banche ore” (quelle perse in queste settimane ad esempio?) da utilizzare in base alle inevitabili esigenze/difficoltà del rientro… e forse, anzi di certo tanto altro. I bambini e i ragazzi non possono essere lasciati soli, non devono essere percepiti come effetti collaterali o ignorati dalle istituzioni. Buttiamo sul tavolo tutte le idee che ci vengono in mente. Discutiamone e discutiamone ancora nei nostri gruppi di lavoro.

Il costo sociale di lasciare a casa, con i genitori che lavorano in smart working, tutti i bambini e i ragazzi del paese potrebbe essere insopportabile. Lo hanno detto anche tanti uomini illustri della cultura, della politica…e credo che abbiano fatto centro.
Come ho già detto prima, i diversi esperimenti digitali sono piuttosto una «vicinanza» dei servizi e della scuola agli studenti. Non si tratta dei servizi e della scuola che entrano nelle case. Sono strategie per non lasciare i bambini e i ragazzi soli e spaesati, ma non sostituiscono la comunità. Il gruppo classe. La sezione.

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E’ difficile comunicare in una chat…lo è per gli adulti…imaginiamo quanto lo può essere per i bambini. E’ difficile sintonizzarsi e la frustrazione sale.

Dobbiamo domandarci quale impatto avrà, una volta finita l’emergenza, la chiusura di scuole e servizi su bambini e ragazzi. Credo che percepiremo chiaramente un aumento del divario educativo tra chi può contare su famiglie solide e in condizioni economiche buone e chi invece vive in famiglie con pochi strumenti educativi e condizioni economiche svantaggiate. Non solo per l’accesso al digitale, ma anche per l’impegno che viene richiesto alle famiglie per seguire i figli in queste settimane. Chi sta svolgendo il ruolo dei servizi educativi e delle scuole? Forse dei genitori virtuosi o “del mestiere”…ma saranno tanti coloro che, speriamo momentaneamente, perderanno importanti punti di riferimento.

I servizi e la scuola in rete ,per definizione, rompono il gruppo e creano tante barriere spaziali, sia tra i bambini e i ragazzi, sia tra gli educatori e gli insegnati, sia tra i bambini/ragazzi e gli educatori/insegnanti.
Non tutte le tecnologie disponibili sono in grado di risolvere i problemi complessi dei processi di apprendimento. Penso al fatto che un uso non attento di alcune tecniche rischia di negare l’accesso alla scuola ad alcune fasce. Oppure a coloro che vivono in situazioni di svantaggio socio–economico, che sono tantissimi/e nelle periferie in cui lavoro, che magari non possiedono dispositivi informatici adeguati o hanno uno scarso accesso alla rete. Come si fa con loro? Come si fa davvero ad assicurargli le relazioni che vivevano prima dell’emergenza? L’uso della tecnologia in servizi educativi e scuole presuppone anche un diverso coinvolgimento delle famiglie. Ma non tutte le famiglie sono in grado di seguire le/i figlie/i allo stesso modo, sia perché molti non hanno l’alfabetizzazione necessaria per usare le tecnologie, sia perché questo sovraccarico di lavoro di cura sulle famiglie mal si coniuga con le misure che il governo sta prendendo per le lavoratrici/lavoratori ( smartworking,  continuità della produzione in alcuni settori,…). Come fare per garantire a tutti i bambini e i ragazzi gli stessi diritti?

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E la paura? I bambini e i ragazzi hanno paura. E’ percepibile sempre di più questa loro paura. Chi si occupa di rispondere alle loro domande? I genitori sono troppo coinvolti dal punto di vista emotiva, benché si stiano tirando fuori risorse che non avremmo mai immaginato di possedere, ma le vite dei nostri bambini e dei nostri ragazzi procedono sospese, tra le grate dei balconi. Sono in attesa di un “ritorno” alla normalità, alla vita di sempre, ma tutto appare sempre tanto lontano.

La storia ci insegna che nelle emergenze si introducono trasformazioni tutt’altro che temporanee. Quello che si è introdotto per tamponare singoli eventi presto diventa lo standard o, almeno, un precedente capace di condizionare la gestione futura. Dovremo fare tante riflessioni in merito. Ma è ancora troppo presto.

Siamo ancora spiazzati, facciamo ancora tanta fatica ad accettare lo stato delle cose, tutto ci pare “surreale”…e “surreale” è forse la parola oggi più usata sul web. Ciò che Ata accedendo, però, è assolutamente reale e dobbiamo pensare a delle soluzioni. Non vogliamo andare alla deriva.

Quello che, però, possiamo fare è cercare ora più che mai l’alleanza servizi/scuola con le famiglie di cui tanto si è parlato e si continua a parlare. E’ importante agganciarle tutte le nostre famiglie…andiamo a cercarle se rimangono nell’ombra e tentiamo di comprendere se e perché sono in difficoltà.

Con i piccoli è più difficile…ma facciamoli parlare, facciamoli raccontare, a modo loro, che cosa stanno vivendo, che cosa sentono. Con i più grandi, possiamo chiedere che scrivano…farà bene loro. Tanto.

Cerchiamo di dare alle famiglie delle strategie per so-stare nell’emergenza e non farsi travolgere dall’immensa fatica. E’ difficilissimo spiegare ai bambini come mai potrebbero infettare qualcuno stando a metri di distanza, forse impossibile…lo sappiamo, ma possiamo trovare insieme le parole…E’ venuto ora il momento di stare. Tutto quello che c’era da fare già lo abbiamo fatto.

E rassicuriamole su fatto che, quando tutto sarà finito, forse non tutto sarà come prima, ma noi educatori, pedagogisti ed insegnanti saremo accanto a loro nella ricostruzione. Di qualsiasi entità essa sia. E, soprattutto, cerchiamo di far comprendere il senso ed il significato di tutto ciò che stiamo facendo nelle nostre case. Più che mai oggi abbiamo il dovere di promuovere partecipazione.

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