Affrontiamo (e superiamo) insieme la paura

In questo tempo fatico a mettermi nell’ottica della progettualità. Accade perchè il terreno su cui costruire è ancora sabbia mobile e ho come la sensazione che, dopo un po’, tutto crolla. Non sarà così per sempre. No, ne sono certa. E’ così adesso.

Mi trovo, quindi a scrivere di argomenti che affronto con chi si rivolge a me perchè è in difficoltà in questo lungo momento di emergenza.

Succede che si parli di paura. La paura dei bambini e dei ragazzi. Di perdere qualcuno di caro. Di non vedere per tanto, troppo tempo gli amici, i familiari. Di non tornare più a scuola. Ma anche la paura degli adulti. Di ammalarsi. Di non potersi prendere cura dei figli o dei genitori anziani. Di perdere il lavoro. Del vuoto. E, da qualche giorno, anche la paura di tornare ad uscire rischiando di ammalarsi.

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Che cos’è la paura? E’ un’emozione. E’  una condizione pervasiva ed imprevista. E’ anche uno stato di preoccupazione e di incertezza.
Quando abbiamo paura sentiamo una forte spiacevolezza e un intenso desiderio di evitamento nei confronti di un oggetto o situazione che giudichiamo pericolosa.
La paura fornisce la motivazione necessaria alla mobilitazione delle energie; soltanto quando è eccessiva porta a compiere azioni avventate e controproducenti. Una persona senza paura non potrebbe sopravvivere a lungo. Potrebbe, ad esempio, attraversare, incurante, la strada con il rosso.
Sotto l’effetto della paura i battiti del cuore aumentano, la pressione del sangue accelera, gli occhi sono sbarrati oppure serrati, le pupille dilatate, le orecchie tese a cogliere ogni rumore sospetto oppure tappate con le mani, la pelle d’oca, la sudorazione intensa, le pulsazioni accelerate. In questo stato di allerta, anche gli organi interni, come intestino e reni, lavorano ad un ritmo vorticoso, tanto da produrre diarrea e disturbi di digestione, gli zuccheri si riversano nel sangue, aumentano le secrezioni da parte dell’ipofisi e della midollare del surrene. Aumentano l’attenzione e la velocità delle reazioni. Più estesa è la situazione che provoca paura, più sembrerà minacciosa al soggetto e più violente saranno le emozioni provate.

E i bambini? Che succede nei bambini quando dicono di avere paura?

La forma primaria di paura nei bambini è la perdita del contatto fisico con la mamma. Poi hanno paura dell’estraneo; della separazione. A 3/5 anni arriva la paura del temporale, del buio, dei mostri, delle streghe, di Babbo Natale e della Befana, elementi che affascinano ed al tempo stesso spaventano; poi la paura dei pericoli fisici, di ferirsi, ammalarsi.
Dopo i 6 anni alcune paure degli anni precedenti possono essere padroneggiate perché ora il bambino ha maggiori competenze; può, però, cogliere altre minacce come quella dei ladri, dei danni fisici, della morte e dell’abbandono. Fanno, inoltre, la loro comparsa i timori legati al proprio stato sociale, come scolaro per esempio, e alle interazioni con gli altri: esami, litigi, sopraffazioni, nonché la paura di essere rifiutato dai compagni.

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Può accadere, ad un certo punto dello sviluppo, che alcune paure legate a periodi precedenti si ripresentino come regressioni a stadi precedenti dello sviluppo; ciò si spiega con la condizione di instabilità che contraddistingue tutta l’età evolutiva. Dopo un forte spavento, infatti, o di fronte a situazioni angoscianti che si protraggono nel tempo è normale che i bambini regrediscano temporaneamente a comportamenti tipici di uno stadio precedente del loro sviluppo e se ciò avviene è perché in quello stadio si sentivano più protetti e sicuri.

L’atteggiamento dei genitori, può influire positivamente o negativamente sulle paure nei bambini. Ci sono, infatti, paure dovute alle raccomandazioni insistenti dei genitori: “Non toccare le forbici”, “Attento ai cani grandi”, “Non arrampicarti sugli alberi”…per esempio. Ce ne sono altre che derivano anche dalle continue lamentele circa lo stato di salute, che fanno temere al bambino la malattia del padre o della madre; altre ancora che nascono dalla iperprotezione dei genitori e dalla conseguente perdita di fiducia in sè.
La fiducia in sè va costantemente valorizzata, cosicché il bambino si senta ”capace”. Non si devono pretendere prestazioni inadeguate alle sue reali capacità.

Cosa possiamo fare se i nostri bambini oggi più che mai ci dicono di avere paura? Come possiamo stare accanto a loro?

Facciamoli esprimere. Chiediamo di raccontarci le emozioni e le fantasie che li inquietano, con dolcezza e senza forzarli. Riuscire a parlarne e sentirsi accolti riduce la tensione e aiuta ad affrontare il problema. Accogliamo le paure senza offrire soluzioni, mostriamo empatia, vicinanza emotiva. Così li aiuteremo a scoprire qual è il loro modo di affrontare le paure.

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Ed evitiamo di costringerli a tenere le paure per se stessi; spesso i bambini imparano a reprimere le proprie paure, imparano a viverle in silenzio per compiacere le figure di riferimento, per non preoccuparli o inquietarli.
Non diciamo mai: “Affronta la paura, devi essere forte”; spingere un bambino a viso aperto contro una paura è sbagliato, perché può trasformare la paura in terrore e ingigantire il problema. Non costringiamo il bambino ad affrontare le sue paure in modo troppo diretto e brutale. Per superare una paura spesso ci vuole tempo e pazienza. Bisogna rispettare i tempi e le modalità del bambino. Ricordiamoci che potrà superare i suoi timori solo se sceglie personalmente di farlo: il quando e il come affrontare le paure lo sceglierà lui stesso. E’ fondamentale che non ci sia mai nessuna pressione ansiogena da parte nostra per il superamento delle paure, altrimenti si sentirà costretto più dal nostro desiderio che dal suo, e la costrizione genera molta paura.

I bambini vanno educati a comportamenti positivi: meglio proporre sempre degli eroi positivi attraverso favole e fiabe che sconfiggono i cattivi grazie alle loro doti di bontà e gentilezza.

E vanno evitati i confronti: ogni bambino ha i suoi tempi, che devono essere rispettati.

E, inoltre, si deve comunicare ai propri bambini la consapevolezza che la paura fa parte della vita. E’ fondamentale trasmettere loro la certezza che la paura fa parte della vita di tutti i giorni, “che anche noi quando eravamo bambini abbiamo provato paura e continuiamo ad averla anche da adulti”, ma che può essere affrontata e talvolta anche superata con serenità.

Non facciamo sentire i bambini dei “fifoni”: proveranno un forte senso di colpa e si sentiranno inadeguati. Quindi l’umorismo va evitato.

Va anche evitato di rassicurarli in maniera eccessiva, perché si convincerebbe che c’è veramente qualcosa da temere. L’iperprotezione non favorisce la formazione del coraggio. Evitare di parlare spesso davanti a loro di paure o fobie potrebbero aggravarle. I bambini vivono la realtà attraverso i significati del mondo reale che noi adulti gli trasmettiamo. Alcune paure dei bambini, infatti, sono apprese per imitazione: molte madri, pur senza rendersene conto, trasmettono le loro ansie e proiettano i propri allarmi ai figli. Essi, così, incominceranno a temere i temporali, l’aereo, il dentista, i ladri, le ferite, gli aghi allo stesso modo della madre e a imitazione del suo comportamento.

La nocività delle paure nei bambini non è direttamente proporzionale all’intensità della situazione di pericolo temuta, quanto piuttosto all’intensità del vissuto di solitudine con cui queste paure nei bambini vengono affrontate. I bambini, quando sono assaliti dalla paura sono preoccupati più che delle minacce provenienti dall’oggetto fonte di paura, dalla possibile lontananza dei genitori. Spesso, infatti, si domandano: dov’è mia madre? cosa sta facendo mio padre? posso correre da loro? possono venirmi in aiuto? I bambini possono esprimere la paura attraverso varie modalità comportamentali: con scoppi d’ira, con l’irrigidimento del corpo, con l’aggrapparsi in modo esasperato alla figura di riferimento, con l’evitamento della situazione minacciosa.

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Tre suggerimenti

Può essere molto utile lasciare una piccola luce accesa, lasciare la porta della sua camera aperta, lasciare che dorma con il cane o il gatto di casa oppure con il suo peluche preferito.

È utile inventare giochi di ruolo attorno alla paura del buio, senza mai però prendere in giro i bambini oppure giocare a farlo spaventare. È un modo di prendere sul serio il suo timore, anche se giocando. Incoronate, per esempio, il bambino “esploratore” oppure “cavaliere”, raccontando una storia in cui sia chiaro che questo personaggio non teme i mostri e vince sempre i cattivi nelle battaglie. Regalategli poi un kit di sopravvivenza che contenga una formula magica per allontanare mostri e fantasmi, uno spray anti-mostro (che puoi realizzare riciclando uno spruzzino ben lavato nel quale puoi mettere acqua e qualche goccia di olio essenziale) e una torcia elettrica.

Ed è bene evitare di creare fantasie negative nella mente del bambino tipo lupi cattivi, mostri che rubano i piccoli oppure ipotesi di abbandono (“Se fai il cattivo viene il lupo cattivo/viene il mostro/ti prende l’uomo nero,…). Nella gestione dei capricci quotidiani può essere momentaneamente efficace come strategia incutere il timore di un terzo ma a lungo andare può creare disagi di altro genere come, appunto, la paura del buio.

 

I servizi educativi non devono chiudere! Non devono essere abbandonati!

Ieri sera ho guardato “Striscia”. Erano anni che non lo facevo. Chissà perché proprio ieri. Passavano le immagini ed ero annoiata, quando, a un certo punto, è stato mandato in onda il servizio di Chiara Squaglia.
Amici di Striscia, oggi parliamo di rette!…Le rette degli asili nido…Ebbene diversi genitori ci hanno segnalato che alcuni asili nido PRETENDONO comunque il pagamento dell’intera retta mensile!
Quanto sdegno nelle parole della Squaglia. Del resto, lei fa il suo mestiere. E l’audience deve essere alta.

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Mi sono irrigidita. Ho ascoltato tutto il servizio con la massima attenzione. Mi sono sentita chiamata in causa.

Come tanti sanno, ho gestito un servizio educativo per dieci anni. Lo scorso luglio, però, ho deciso, per una serie di motivazioni di cui non discuto in questa sede, di cedere l’attività. E’ avvenuto tutto con molta facilità…il nido funzionava bene, con degli utili di tutto rispetto (cosa non tanto scontata di questi tempi)…Ho ceduto solo il nido. Non ho ceduto le emozioni vissute in tanti anni, la ricchezza (non i termini economici) che il lavoro in quel posto mi aveva donato, la professionalità acquisita grazie all’aver attraversato quel servizio…Tutto questo l’ho tenuto gelosamente per me, per condividerlo con le mie nuove colleghe e tutti coloro che avranno piacere ancora di condividerlo.

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Non ho il cuore pesante in questi giorni, non posso dire diversamente…

Lavoro in un nido comunale e credo che difficilmente, alla fine dell’emergenza, non ritroverò il mio posto…Sarà tutto diverso, questo lo so…ma non sarò rimasta senza un lavoro. E di questo, benché non sia donna di fede, forse devo ringraziare il Cielo.
Ho, però, tante care amiche che sono titolari di asili nido o centri per l’infanzia che hanno l’animo gonfio di angoscia. Maria Teresa, Alice, Alessia, Sandra, Letizia, Federica, Ambra, Ilenia, Viviana, Cinzia…e, con loro, tantissime altre.

Intendiamoci, so bene che tante famiglie sono in difficoltà e che la richiesta di sospensione delle rette, visto che non ricevono un servizio, è sacrosanta e se vale per le strutture pubbliche non può non valere per quelle private, per non creare una disparità tra i cittadini.
Ma so anche bene, molto bene, che per le strutture private le rette pagate dalle famiglie sono l’unico strumento per pagare dipendenti, collaboratori, utenze, affitto e tutte le millemila spese che devono continuamente affrontare.

Una famiglia, in media, paga 450 Euro di retta se ha un figlio al nido e 160 Euro se ha un figlio alla scuola dell’infanzia. Mi riferisco ai servizi privati. Sono tanti soldi? Si tratta di cifre eque? Per una famiglia possono essere cifre importanti e non facili da racimolare, per qualcun altro, invece, si tratta di poca roba…Ci sono famiglie di operai, dove lavora magari solo uno dei due genitori, e famiglie di industriali che hanno la seconda casa a Cortina e la barca al Lago. Non si fanno i conti in tasca a nessuno. Non è etico.

Posso, però, pensare al bilancio mensile di un piccolo servizio come quello che gestivo io. I bambini erano 24. Con una media di 450 Euro a famiglia al mese, si fatturavano poco più di 10.000 Euro al mese…Se filava tutto liscio…perchè è successo più di una volta che qualcuno si defilasse senza pagare.
E con questi 10.000 Euro o poco più si pagavano i dipendenti (io ne avevo quattro…fate due conti), i diversi professionisti (supervisore, commercialista, consulente del lavoro…), le utenze, le derrate alimentari, il materiale per le attività, le manutenzioni e l’affitto. E si metteva da parte quanto serviva per il mese di agosto, in cui non erano previste entrate perché il nido era chiuso. E anche quanto serviva per il mese di luglio…quante volte è successo che un bel numero di famiglie il 30 di giugno ritirassero il proprio bambino benché il regolamento prevedesse che non erano concesse disdette oltre il 10 di febbraio.

Dico, pertanto, forse anche con un po’ di cinismo, che un mese, massimo due, di rette non versate determinerà la chiusura di una grandissima parte dei servizi educativi privati. A meno che non intervenga lo Stato.

Riporto stralci di quanto ha scritto la mia amica Maria Teresa Guerrisi, titolare del nido “La monelleria di Carignano” di Genova, forse amareggiata dopo aver ascoltato anche lei il servizio della Squaglia.

“Quello che penso è che sia ingiusto fomentare una guerra tra poveri, dividere servizi dalle famiglie in questo modo….Personalmente penso costantemente alle famiglie perché come dice Patrizia Granata “si è educatori sempre”, penso a quelle famiglie che corrono il rischio di affidarsi ad associazioni che è risaputo che nei momenti di crisi agiscano tirando su polveroni per aumentare i tesserati, oppure ad avvocati “strappa like” che se fossero persone serie saprebbero benissimo che una famiglia firma un contratto, anche se spesso i gestori agiscono attraverso una grande flessibilità questo esiste ed è sottoscritto….Ognuno è libero di agire come crede, anche di fare vertenza a quei luoghi, quelle persone che Ha SCELTO tenendo in considerazione la Qualità del servizio offerto, quelle stesse persone che intendono l’educazione come “cura dell’anima” (L. Mortari); con le quali hanno sottoscritto non un contratto ma un patto di alleanza educativa…”.

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Credo che un certo numero di famiglie, per quanto possibile, non abbandonerà i nidi e le scuole dell’infanzia con cui ha stretto alleanza…qualcuno, invece, lo farà e sarà certamente per motivi buoni e sacrosanti. Mi auguro, allora, che lo Stato in cui ancora credo possa e voglia intervenire. Se il nido di Maria Teresa, quello di Letizia, Alessia, Alice…e di tante altre chiuderanno, la perdita sarà inestimabile. E non perché verranno meno dei preziosi posti-nido…o non solo per quello…Perchè perderemo, perderete, dei servizi di rara qualità, in cui davvero il bambino è al centro e in cui si fa Educazione, scritto con la maiuscola. Si fa realmente Educazione.

Ancora Maria Teresa scrive: “Ricordate anche che i servizi educativi riapriranno, magari in estate quando avendo consumato le ferie sarà necessario lavorare e permettere ai vostri figli di accedere a luoghi sicuri, con personale competente, e quando le porte saranno chiuse, perché l’ossigeno è terminato, forse…i redattori di questi servizi televisivi saranno in grado di trovare una soluzione per voi.”.

Nessuno pensa a questa eventualità? Quali servizi frequenteranno i bambini? I nostri nidi comunali sono pieni e, se sarà il caso, potranno accoglierne una piccola percentuale di bambini rimasti fuori dai servizi privati e non so bene in base a quale criterio. E gli altri?

Questo non è il momento di unirsi contro i servizi educativi, di PRETENDERE (come dice soddisfatta la Squaglia) i rimborsi delle rette versate; è il momento di allearsi con questi stessi servizi, al fine di chiedere a chi di dovere di sostenere tutti con equità.

I risarcimenti, ne sono certa, arriveranno…Provate ora solo a lasciare un po’ di tregua a Maria Teresa, Alice, Letizia e a tutte le persone che, in maniera virtuosa, hanno gestito i servizi educativi frequentati dai vostri bambini. Le avete abbracciate tante volte, avete pianto con loro guardando i cambiamenti dei vostri bambini, avete mostrato riconoscenza.

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Non lasciatele sole ora. Non lasciatele sole in questo momento difficile in cui non possono dire quello che vorreste sentirvi.

Sarebbe terribile. A me è accaduto quando avevo le spalle ben coperte. So quanto può essere terribile.

Bambini e rabbia. Che fare?

La rabbia è un’emozione che spaventa. E’ spesso difficile da gestire, soprattutto quando si manifesta in maniera violenta e soprattutto quando a provarla sono i bambini molto piccoli.

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La rabbia, però, esiste. E la dobbiamo nominare per poterla gestire in maniera “creativa”.

Quando un adulto, un genitore ma anche un educatore, si scontra con la rabbia di un bambino, prova fatica e senso di frustrazione. Succede anche a me,  che, per il tipo di lavoro che svolgo, sono abituata ad affrontare bambini arrabbiati. Proprio questi bambini, però, mi hanno insegnato che solo attraverso l’incontro e la capacità di stare con la rabbia in modo curioso e giocoso il più possibile possiamo restituire a questa emozione il significato di cui è portatrice. La rabbia, infatti, è sempre portavoce di un bisogno che vibra prepotentemente nella storia del bambino che la prova e che cerca spazio, parole, immagini; e, inevitabilmente, quando accompagnamo un bambino per un pezzetto della sua vita, camminando al suo fianco esploriamo il suo mondo, i suoi sogni, i suoi incubi e le sue risorse. Possiamo diventare testimoni di sofferenze e liberazioni, di ferite dolorose e incredibili rinascite e con i bambini riviviamo le storie di quando noi stessi eravamo piccoli e torniamo a sentire la voce del bambino che è in noi.

Ma che cos’è la rabbia?
E’ un’emozione primitiva che possiamo osservare presente già nei bambini molto piccoli e in molte specie animali diverse dall’uomo. Numerose ricerche hanno dimostrato che l’ira e i comportamenti che ne derivano sono determinati da ragioni legate alla sopravvivenza dell’individuo o della specie: gli animali attaccano perché qualcosa li spaventa oppure perchè vengono aggrediti, per cacciare un intruso dal proprio territorio o per difendere la prole.
Allo stesso modo, all’origine dell’umanità, l’espressione della collera era la modalità che garantiva all’uomo la conservazione della specie e, quindi, si tratta di una “reazione conservativa” contro una reale minaccia (la parola aggressività deriva dal latino aggredior, andare verso, affrontare la vita…
Nell’uomo moderno, nei momenti in cui la rabbia sopraggiunge, avvengono veri e propri cambiamenti fisici; quando sentiamo nascere in noi la rabbia tutto il sistema nervoso viene attivato e l’intero organismo vive uno stato di massima stimolazione, preparandosi all’attacco.
Quando ci arrabbiamo percepiamo la tensione interna crescere fino a sentire un bisogno quasi fisico di “scaricarci” al più presto per ritrovare uno stato di benessere. La rabbia è una potente energia psicologica che si attiva in ognuno di noi quando ci troviamo nell’impossibilità di soddisfare i nostri bisogni fisici ed emotivi, di indirizzare la nostra vita verso un senso di pieno benessere: in queste situazioni sentiamo crescere un senso di dolorosa impotenza che si accompagna ad un’intensa collera verso chi riteniamo essere la causa della nostra sofferenza o verso noi stessi perché non ci opponiamo a chi ci ostacola. Rappresenta quindi la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica sia psicologica, unita alla consapevolezza di evitare l’evento o la situazione frustrante e che un’altra persona, verso cui siamo arrabbiati, ha la volontà di nuocerci. In sintesi, ci arrabbiamo quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno/desiderio.

E la rabbia dei bambini? Si tratta di “capricci”? O è un’emozione importante che va accolta e compresa? E se un bambino è arrabbiato vuol dire che c’è qualcosa che non va?

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Posso raccontare un’esperienza che mi è stata portata da una coppia di genitori che ho incontrato in un percorso di consulenza pedagogica. Quest’uomo e questa donna hanno un figlio che, a un certo punto, ha iniziato ad arrabbiarsi in maniera molto potente; i genitori, pertanto, hanno provato a parlare con lui dicendo che la rabbia si può e si deve tirare fuori ma non urlando e tirando calci…Ci hanno provato, sì…Ma è finita che tutti e tre urlavano. Sono, quindi, passati alle punizioni, ma le scenate del bambino aumentavano…Così hanno iniziato a dire frasi del tipo: “Se non fai i capricci quando ti veniamo a prendere all’asilo, andiamo a prendere un bel gelato!”. Si sono presto resi conto che questa strategia, però, non sempre ha successo. Che fare allora?
Nel mio lavoro mi capita spesso di incontrare, nei racconti di molti genitori, una cesura tra la celebrazione verbale della rabbia (dei bambini) come emozione “giusta” e la risposta, nei fatti, alle manifestazioni di rabbia dei figli. Come se, a parole, tutti sapessero che la rabbia c’è, fa parte della crescita, non va negata, ma poi, di fronte all’ondata di disordine che porta con sé, gli stessi genitori si trovano disorientati.
Noi adulti, genitori ed educatori, siamo stati educati a pensare che essere arrabbiati significasse essere “cattivi” e spesso siamo stati colpevolizzati per aver espresso questa emozione.
Sarebbe più facile aver a che fare con la rabbia dei nostri bambini se ci sbarazzassimo di queste convinzioni. E’ importante che impariamo ad accettare i sentimenti di rabbia, a canalizzarli e indirizzarli verso un fine costruttivo.
Quindi quei genitori di cui parlavo prima, di fronte alla rabbia del loro figlio dovrebbero semplicemente accoglierla…”Capisco che sei arrabbiato…io sono qui per te, se hai bisogno…”.

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Genitori ed educatori dovrebbero permettere ai bambini di provare le loro emozioni e mostrare a loro modi accettabili di esprimere sentimenti come la rabbia. Le emozioni, soprattutto quando sono forti, non possono e non devono essere negate e gli scoppi di rabbia non dovrebbero essere visti come segni di problemi gravi. Dovrebbero essere riconosciuti e trattati con rispetto.

Per rispondere con efficacia ai comportamenti eccessivamente aggressivi dei bambini dobbiamo farci un’idea precisa di cosa li abbia scatenati. La rabbia può essere un modo per evitare sentimenti negativi e dolorosi come il fallimento, il rifiuto, la sensazione di solitudine o l’ansia in situazioni sulle quali il bambino non ha controllo.
La rabbia può essere anche associata a sentimenti di dipendenza, tristezza e depressione. Nell’infanzia la rabbia e la tristezza sono emozioni facilmente confuse, che provocano sensazioni fisiche simili ed è importante ricordare che molta parte di ciò che gli adulti esprimono con il pianto, i bambini lo manifestano come scoppi di rabbia.
Di fronte alla rabbia del bambini, inoltre, spesso noi adulti dobbiamo gestire e contenere non solo le loro reazioni ma anche le nostre: le loro intemperanze in noi risvegliano insofferenza, nervosismo, impotenza; in poche parole, risvegliano altra rabbia e un senso di smarrimento. L’importante è non lasciarli mai soli in balia di ciò che sentono, perché i bambini, a differenza degli adulti, hanno meno strumenti per controllare o esprimere in forma adeguata le loro emozioni.

Nella gestione della rabbia infantile, le nostre azioni dovrebbero avere come obiettivo “contenere e comprendere”. Dovremmo mostrare ai bambini che comprendiamo i loro sentimenti e desideriamo trasferire loro modalità espressive più sane e funzionali. Un adulto per esempio potrebbe dire ad un bambino arrabbiato: “Ti faccio vedere come farebbero altri bambini in questa situazione”, ma non è sufficiente comunicare ad un bambino che ha un comportamento inadeguato o dirgli cosa dovrebbe fare in alternativa. Dobbiamo fare da modello, fare esercizi e allenamenti tramite role playing e giochi interattivi. Inoltre dovrebbe essere chiaro ai bambini cosa ci si aspetta da loro e avere costanza e coerenza nelle reazioni e nelle richieste: non si può gridare ad un bambino di calmarsi e non urlare, così come non si possono usare la sculacciate per insegnare a non picchiare gli altri.

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Di fronte ad un bambino arrabbiato, innanzi tutto dobbiamo cercare di mantenere la calma. La cosa da fare è contenere il bambino in un luogo sicuro mentre sfoga la rabbia, senza rimproverarlo o urlargli contro, attendendo con pazienza che si calmi da solo. Vedere che non ci irritiamo aiuta a sdrammatizzare la situazione e lo tranquillizza immediatamente.

Dobbiamo poi avvicinarci a lui perché questo lo rassicura. Inutile, però chiedergli il perché della sua rabbia specie se è molto piccolo: non saprà dircelo. Meglio usare una frase del tipo “so che sei arrabbiato, andiamo in cameretta a calmarci un po’?”.

E poi possiamo mostrare ai bambini che ci sono altri modi per esprimersi; può essere utile dire ad un bambino arrabbiato una frase del tipo: “Quando urli così, la mamma fa più fatica a capire cosa dici, la prossima volta proviamo a non gridare?”. E poi rassicurarlo dicendo: “Vieni qui che la mamma ti dà un bacio…”.
A volte questo è un ottimo modo per calmarli.

Una volta sbollita la rabbia, si può chiedere al bambino cos’è che lo ha turbato a quel punto: “Ora dici perché ti sei arrabbiato in quel modo?”.
Questo lo aiuta a riflettere e a conoscersi meglio, anche se è molto piccolo.

Ci sono degli errori da evitare.
Dobbiamo fare in modo di non arrabbiarci più di lui. Questo è umano ma rischia di ritorcersi contro di noi; mettere in atto una reazione di rabbia dinanzi ad un bambino arrabbiato, vuol dire gettare benzina sul fuoco. Ci si mette sul suo stesso piano perdendo di autorevolezza e si rinfocola la sua aggressività senza aiutarlo.
Non dobbiamo nemmeno soffocare l’emozione di rabbia. Più la reprimiamo, infatti, più l’amplifichiamo e le diamo importanza. Meglio lasciare che la rabbia esca fuori: come tutte le cose umane, anche la rabbia dei bambini ha sempre un inizio, uno sviluppo e una fine.
Non dobbiamo neppure cercare di farlo ragionare. Troppe parole rischiano di non far arrivare al bambino l’unico messaggio importante: “ci sono cose che non si fanno, picchiare i compagni è una di queste. Punto e basta”.
E nemmeno è cosa buona punirlo severamente. così facendo, infatti, l’adulto perde di credibilità e non fa altro che rinforzare i comportamenti che si vogliono sradicare.

Linea dura solo se…Ci sono situazioni nelle quali la rabbia del bambino sfocia in vere e proprie crisi nelle quali rischia di perdere il controllo e di farsi del male. In questi casi la cosa più importante è fare sentire al bambino che, se lui non è capace di tenere a bada ciò che lo fa infuriare, noi sappiamo farlo per lui. Occorrerà intervenire in modo deciso, lasciando i discorsi a quando la tempesta sarà passata. Lo stesso tipo di intervento risulterà efficace anche se abbiamo a che fare con un bambino dalla personalità molto forte, tendenzialmente impulsivo e focoso. In questo caso mantenere una linea coerente e tenergli testa è molto importante.
Quando un bambino è travolto da un impeto d’ira, sente di non riuscire a controllarsi. Il fatto di essere bloccato con fermezza viene da lui interpretato come un segno che ci si preoccupa di lui.E ciò gli offre confini protettivi soprattutto quando diventa fisicamente aggressivo (dà pugni, calci, non riesce a stare fermo).
Se urla o è aggressivo, l’unica cosa che funziona è dargli uno stop fermo con il tono della voce pacato ma inflessibile. Il messaggio è: “Non ci sono spazi di trattativa. Questo non si fa, punto”. Questo lo rassicura, lo aiuta a confrontarsi con la frustrazione e ad accettare l’autorità.

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C’è un albo illustrato che spesso educatori e genitori utilizzano per parlare di rabbia ai bambini piccoli; si tratta dell’amato e odiato “Che rabbia!”, uno dei testi più venduti nelle librerie italiane grazie al tam tam infinito di educatrici, insegnanti e genitori che lo consigliano come strumento di rielaborazione delle emozioni negative dei più piccoli.
In questo albo, alla fine, Roberto, il piccolo protagonista, rinchiude la rabbia in una scatola. Questa azione, a volte riprodotta metaforicamente a scuola dagli stessi insegnanti o a casa dalle famiglie, viene, però, grandemente criticata dai pedagogisti, che non credono nella repressione degli stati d’animo. A questo libro, però si riconoscono altri pregi, primo fra tutti la fiducia riconosciuta ai bambini nel gestire autonomamente, senza l’intervento di un adulto, la paura della propria rabbia.
E’molto importante, anche in queste circostanze, dimostrare fiducia ai bambini…Questo aiuta loro nella crescita e nella gestione delle emozioni, anche quelle più scomode e negative.

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C’è poi un libro molto delicato di Alba Marcoli, la cui lettura consiglio ai genitori che sono spesso alle prese con la rabbia dei loro figli. Attraverso delle favole, la Marcoli ci aiuta a capire che la rabbia infantile cela il più delle volte una situazione di conflitto e di sofferenza psicologica. Quando un genitore si trova di fronte a tali manifestazioni spesso si sente in un tunnel: vede che il piccolo sta male ma non riesce a individuare i reali motivi che si nascondono dietro al disagio e all’angoscia del proprio figlio. La rabbia del bambino e spesso uno strumento per esprimere e comunicare altro, dolore, impotenza, paura dell’abbandono. Emozioni e sensazioni che, se fossero trasmesse con altri canali, potrebbero gettare un ponte tra bambini e adulti. Le favole raccontate nel volume, scaturite da storie reali, offrono importanti spunti per aiutare a comprendere meglio “il bambino arrabbiato”, favorendo lo scioglimento di quei nodi che gli impediscono di crescere in armonia con se stesso e con il mondo che lo circonda.

Concludo con uno spunto di riflessione importante.
Ci sono dei casi in cui la rabbia e l’aggressività sono segno di un disagio ben più profondo, che fatica a emergere in altri modi. Casi in cui le strategie prima elencate non funzionano. Può essere utile allora rivolgersi a professionisti esperti, come lo psicoterapeuta o, nel caso di bambini piccoli, lo psicomotricista.