sabato 14 marzo 2020
Sono ormai tre settimane che la mia Regione, la Lombardia, è piombata in uno stato che in cui mai avrei immaginato di trovarmi. Le strette di mano sono proibite, come pure gli abbracci e i baci, benché, come è dimostrato, in tempi non sospetti facciano benissimo. Nei luoghi pubblici, se sei costretto ad uscire, è doveroso rispettare una certa lontananza, un metro o più l’uno dall’altro. Ci salutiamo, da lontano, con le mani che sanno di alcol. La vita social che ci fa un po’ di orrore e che da tempo cerchiamo di combattere ha sorpassato la vita sociale e di gran lunga. Ci aiuta a trascorrere un po’ meno soli queste giornate in cui si deve restare in casa. Le lezioni, gli incontri di formazione e aggiornamento, le riunioni di lavoro non sono più dal vivo ma in collegamento. Abbiamo smesso di incontrare le persone, di toccarle, sentire il loro odore di uomo, ma chattiamo; facciamo smartworking e non andiamo in ufficio; videochiamiamo parenti ed amici anche se abitano poco distanti e non andiamo a casa loro. Chi può, prende le ferie…salteranno le vacanze estive? Forse, ma ci penseremo a primavera inoltrata.
E’ ora in stand by la possibilità di ognuno di noi di vivere incontri autentici ed arricchenti. Benché sia, questo, diritto di ogni essere umano. Perché è attraverso gli incontri che sviluppiamo la nostra identità, in quanto la costruiamo attraverso le relazioni di valore. Vivere genuine relazioni interpersonali significa coltivare la propria disponibilità emotiva, l’apertura, la flessibilità e il senso del gruppo, dimensioni attraverso le quali la vita affettiva, sociale e professionale si può svolgere in maniera adeguata.
Il fatto di non avere la possibilità di vedere, sfiorare, toccare altri corpi, ci impedisce di vivere il nostro come dimensione relazionale. Condizione di tale dimensione, infatti, è la disponibilità emotiva, da intendersi come apertura alla presenza dell’altro nella nostra sfera. Tale dimensione, inoltre, è facilitata dalla vita di gruppo.
Ai tempi del coronavirus tutto questo viene meno. Quello che possiamo…anzi…dobbiamo fare è non dimenticarlo. E’ doveroso attenersi alle disposizioni e limitare le occasioni di aggregazione, ma non dimentichiamo la vita sociale che facevamo in tempi non sospetti. Perché, sono certa, torneremo a farla. Torneremo alla nostra normalità. Non so quando accadrà. So solo che accadrà. Teniamoci vivi con i ricordi di ieri. In attesa di vivere di nuovo il nostro presente con gioia e pienezza.
Io sono pedagogista ed educatrice. Svolgo buona parte del mio lavoro con i bambini. E così le mie dodici colleghe. E le tante, tantissime colleghe, che sono impiegate nei servizi per l’infanzia che, da ormai tre settimane, non sono più attraversati dai bambini e dalle loro famiglie. E chissà quando torneranno ad esserlo.
Tante persone mi scrivono o mi chiamano e mi chiedono di aiutarle a passare questo tempo con i loro bambini. Ci troviamo a vivere, da un momento all’altro, una nuova realtà a cui nessuno ci ha preparato. Incrociamo gli altri senza poter entrare in relazione con loro; è come se, perennemente, vivessimo in un non-luogo. Se abbiamo la necessità di uscire di casa, oggi abbiamo bisogno di un’autocertificazione…Fino a qualche giorno fa gli uomini avevano un’anima e un corpo, oggi hanno bisogno anche di qualcosa che dimostri che non era possibile per loro restare in casa come ordinato, altrimenti non vengono trattati da esseri umani. Troviamo faticosamente la nostra identità solo nello spazio delle mura domestiche, ormai.
Dobbiamo re-inventare le relazioni in un momento in cui ci dicono di non averne perché dobbiamo preservare la salute di chi è più debole e non far collassare il nostro sistema sanitario. E’ giusto questo, ma dobbiamo necessariamente inventarci un modo per essere in relazione.
A differenza di quanto accadeva nel passato, oggi i genitori cercano ossessivamente di riempire la vita dei figli con esperienze divertenti e positive, aspirando per loro conto al raggiungimento di un livello di felicità estremo, di evidente rassicurazione per le famiglie così tanto impegnate nella routine quotidiana.
La vita, però, non è mai un crocevia di soddisfazione, gioia e divertimento. Le difficoltà, i dolori, i momenti di tristezza esistono ed assumono un ruolo chiave nello sviluppo evolutivo di un bambino. Un ruolo che non dovrebbe essere paralizzato dai continui tentativi genitoriali di trasformare l’esistenza dei figli in una sorta di luna park infinito.
E, ai tempi del coronavirus questo deve essere molto più chiaro di quanto non lo sia mai stato prima.
Cosa mi sento di dire ai genitori che sono in casa con i loro figli e che cercano, nello stesso tempo, di tenere in piedi la vita professionale?
Spesso, facciamo vivere ai nostri bambini esperienze nel fuori. Gli esperti di Outdoor education ci dicono che ognuno, anche i più piccoli, nei propri modi e tempi, può avviare un lavoro individuale di osservazione, di raccolta e di scoperta con il materiale che la natura offre. La natura offre possibilità di crescita , sviluppo ed esperienza.
Oggi, però, dobbiamo affrettarci ad imparare a fare esperienze con i nostri bambini nel dentro. Dobbiamo cercare di guardare le cose da una prospettiva differente e cercare di offrire ai nostri bambini possibilità di nutrimento in una situazione che per loro è certamente più faticosa che per noi adulti.
Noi educatrici, abituate a leggere con i bambini al nido, possiamo lanciare ai genitori dei consigli per delle letture, oppure, se ce la sentiamo, possiamo farci riprendere mentre leggiamo uno o più libri che sappiamo che i bambini amano e far avere i video alle famiglie. Può essere un modo per aiutare i bambini a trascorrere un po’ di tempo in serenità e perché possano vederci e mantenere un piccolo legame con il nido o la scuola dell’infanzia. E un modo perché le famiglie percepiscano e sentano che educatrici e insegnanti non li lasciano soli in questi tempi difficilissimi. Si può tentare di costruire una comunità educante pronta ad assumersi per tutti i giorni in cui durerà questa inaspettata “quarantena” responsabilità ed iniziative educative. Una comunità che si nutrirà di interrelazioni, di scambi, di reciprocità, in modo diverso da come si è sempre fatto fino ad ora.
E’ il tempo in cui la tecnologia può trarci in salvo, anche se questo ci indurrà a mettere in stand by i progetti educativi a cui stavamo lavorando. Gli esperti ci dicono che le tecnologie, sempre più accessibili ed economiche, permettono di fare cose impensabili, ma, hanno portato problematiche non previste per i più giovani (abuso, adescamento online, sexting, cyberbullismo,…). E dicono che noi adulti dobbiamo svolgere un ruolo di tutori, consentendo ai ragazzi di esplorare, ma nel rispetto delle specificità dell’età.
E noi educatrici e pedagogiste? Possiamo usare i nostri cellulari e i nostri tablet per regalare un pezzetto di noi alle famiglie. E regalare un po’ di intrattenimento. Farli stare un po’ con noi dopo tanto che non ci si vede. Facciamo regali in attesa che venga il tempo in cui potremo abbracciarci, coccolarci, stare insieme. Possiamo, in questo modo, creare un mondo di “ricordi condivisi”. Dai nostri video ne possono nascere altri che fanno le famiglie per mostrarci che fanno i loro bambini in questo tempo tanto insolito anche per loro. Ricordi condivisi per il giorno in cui ci rivedremo.
Noi educatrici del nido “il girotondo” di Bresso (MI) lo abbiamo già fatto…Con l’animo gonfio di emozione abbiamo mandato dei messaggi ai bambini e ai genitori del nostro nido. Abbiamo avuto un po’ di tempo per rinnovare gli spazi e rendere più belli e più accoglienti e desideravamo che lo sapessero. Abbiamo paura anche noi come tutti loro, ma sappiamo che nei bambini funziona molto la sintonizzazione emotiva con ciò che sentono, pertanto abbiamo voluto rassicurare le famiglie, perché se i bambini stanno in un mondo dove c’è solo paura la loro crescita si blocca. Le abbiamo volte rassicurare: ci rivedremo alla fine di questo brutto momento e torneremo a fare tutto quello che facevamo prima. Meglio di prima e con più voglia di fare.
Tutti noi, di fronte a questo virus, abbiamo tante domande: «Perché? Quanto dura? Come si fa a sconfiggerlo? Come posso essere certo di non averlo preso?». Siamo tutti come bambini. Come loro non abbiamo nessuna risposta. Le stanno trovando gli scienziati e i ricercatori che lavorano senza tregua. Possiamo però diventare responsabili. Per un po’ ci sarà una sorta di coprifuoco, non ci potremo incontrare. E dobbiamo, noi adulti, capire che questa è, oggi, l’educazione che dobbiamo dare ai nostri bambini e che serve al mondo. Di cui dobbiamo essere protagonisti.
Grazie alla diffusione delle linee aeree a basso costo, noi genitori abbiamo portato in giro per il mondo i nostri figli fin da piccolissimi. Abbiamo fatto sì che il mondo fosse la loro casa. Lo abbiamo continuato a fare anche quando i terroristi volevano convincerci del contrario. Volevano farci chiudere nelle case e impaurirci in seguito ai loro attacchi omicidi. Non ci siamo piegati e abbiamo continuato a spingere nel fuori i nostri figli, a dire loro di andare, di non fermarsi. Niente avrebbe dovuto piegare il diritto alla libertà.
Oggi diciamo l’esatto contrario. Chiediamo di rimanere in casa. Di essere lenti. Di riappropriarci del noi nel dentro, con ritmi diversi. In attesa che passi la paura.