In questi giorni mi domando senza sosta…quale sarà l’eredità che questo periodo di isolamento, di distanziamento sociale lascerà ai nostri bambini e ai nostri ragazzi? Come ne usciranno?
La chiusura delle scuole è una procedura di sanità pubblica, serve a ridurre il rischio di contagio da coronavirus, ma ha degli effetti psicologici sui nostri bambini, diversi a seconda della loro età. I bambini sono più fragili e indifesi degli adulti e possono soffrire un’angoscia penetrante perché sono più permeabili dell’adulto alle paure. Anche le emozioni “si contagiano”.
I bambini della Lombardia sono a casa dal 24 febbraio, un mese e mezzo. La distanza dai compagni e dagli insegnanti comincia a pesare. Tutti, ormai, hanno spiegato ai figli, soprattutto a quelli più piccoli, le vere ragioni della chiusura delle scuole. D’altra parte, se non lo avessimo fatto, i bambini avrebbero corso il rischio di sostituire le motivazioni reali con fantasie e paure eccessive.
E’ poi partita un po’ dappertutto la didattica a distanza. L’emergenza ha reso inevitabile una sorta di sperimentazione di massa della “scuola a distanza” attraverso l’uso di soluzioni digitali, con risultati più o meno soddisfacenti. Ma questa non è la sede per dare giudizi in merito.
E, contemporaneamente, le chat di classe si sono riattivate.
Nei primi giorni di chiusura, quando si iniziava a comprendere che le scuole non avrebbero riaperto tanto presto, alcuni genitori chiedevano di dare compiti e lezioni ai bambini, altri si lamentavano di non riuscire a seguire, lavorando, i figli nei compiti, altri ancora si barcamenavano come era loro possibile. Pochi, pochissimi, riflettevano su quanto potesse essere complesso per gli istituti e le insegnanti (soprattutto quelle più anziane) mettere in pista dei validi impianti di didattica a distanza, tanto più che, al momento dello scoppio dell’emergenza, la scuola non era attrezzata per farvi fronte.
Non si trattava semplicemente di sostituire le lezioni in presenza in lezioni mediate da un’interfaccia.
Noi, a casa, vediamo soltanto video-lezioni erogate. Ma c’è un grande lavoro dietro, di gruppo e del singolo. Oltre alla lezione, si deve pensare ad attivare esercitazioni che gli alunni possano efficacemente seguire e svolgere, si deve pensare ad un sistema di valutazione che non può essere lo stesso che in presenza. Si deve pensare a come può avvenire, durante le classi digitali, il confronto tra insegnanti e studenti e come questo possa essere efficace. E poi c’è da pensare, e per di più in un tempo non ordinario, a come gli allievi possano lavorare a casa, come si possano organizzare gli approfondimenti. E anche a come orientare o ri-orientare gli allievi che sono in difficoltà, sia a seguire il modello di apprendimento proposto sia nella comprensione dei contenuti.
La didattica a distanza richiede una progettazione accurata e attenta; e per questo sono necessarie solide, solidissime competenze. La circolare ministeriale del 17 marzo 2020 dice: “affinché le attività finora svolte non diventino – nella diversità che caratterizza l’autonomia scolastica e la libertà di insegnamento – esperienze scollegate le une dalle altre, appare opportuno suggerire di riesaminare le progettazioni definite nel corso delle sedute dei consigli di classe e dei dipartimenti di inizio d’anno, al fine di rimodulare gli obiettivi formativi sulla base delle nuove attuali esigenze”. Il rischio grosso è proprio quello di proporre agli allievi esperienze prive di senso e di significato.
Per quanto posso dire da pedagogista, gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado stanno facendo un ottimo lavoro. Gli istituti si sono organizzati, non tutti con le stesse tempistiche e non tutti con gli stessi strumenti a disposizione. Ma si sono organizzati. E, a poco più di un mese dall’inizio dell’emergenza, bambini e ragazzi stanno imparando a seguire in modo scrupoloso le attività a distanza proposte dai docenti nelle varie modalità (piattaforme, registro elettronico,…); stanno procedendo, per quanto è possibile, autonomamente nello studio e nell’approfondimento, leggendo libri, consultando i manuali, sia per ripassare argomenti già svolti sui quali non ci si sente sicuri, sia per approfondire nuove tematiche; stanno imparando a comprendere che ogni studente è protagonista del proprio apprendimento ed è chiamato a viverlo in modo responsabile, curioso, libero. Ora più che mai.
Nonostante tutto, però, c’è chi non è soddisfatto. Genitori che chiedono di aumentare le ore di lezioni. Di dare più compiti. Perchè, in questo modo, i bambini e i ragazzi, almeno sono impegnati.
Oltrechè pedagogista, sono madre di tre ragazzini. Sono preoccupata tanto anche io. In realtà non del fatto che resteranno indietro con l’apprendimento delle discipline. Quello l’ho messo in conto. Non penso che, per quanto ci si impegni su tutti i fronti, sul piano degli apprendimenti si arriverà agli obiettivi che ci si era prefissati a inizio anno.
Ma ho fiducia nei ragazzi…recupereranno alla velocità della luce.
Sono preoccupata perchè sento che stanno facendo moltissima fatica ad abituarsi all’assenza di relazione tra coetanei. A loro mancano la scuola, le maestre e i professori, i giochi spensierati all’aria aperta o nei corridoi. E non recuperando questo tempo che hanno vissuto come sospesi.
Comprendo che padri e madri possano essere preoccupati del “vuoto” di apprendimenti che potrà generare l’emergenza legata al diffondersi del Coronavirus…Sempre ho sentito genitori chiedere alle insegnanti: “Allora…come siamo messi col programma?”, come se l’apprendimento si misurasse a quantità e non a qualità. E adesso, oltre a questo, tanta ansia è creata dal fatto che le famiglie non sono abituate a convivere per giorni e notti, senza sosta, se non nei momenti di vacanza; non è facile gestire i figli senza aiuti, senza “valvole di sfogo”, senza poter condividere le fatiche del crescerli con altri membri della famiglia…Tutti conoscono il proverbio africano che recita: “per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. E nei villaggi si respira senso di vicinanza e di comunità. Oggi tutto questo è venuto a mancare. Mancano affetti, mancano spazi aperti, mancano innumerevoli stimoli. Per tutti. E nessuno ancora è pronto per affrontare la quarantena ben attrezzato. La si affronta perchè non ci sono alternative.
Io credo che la scuola sia fondamentale per le relazioni, per le possibilità che può offrire, per le aperture. Non per i programmi che si stabilisce a tavolino di svolgere. Molte famiglie ora si trovano ad affrontare figli che non conoscono a fondo e vorrebbero scaricarne il peso, per tante ore al giorno, alla scuola, come spesso accade, dimenticando che questi stessi figli si educano in rete, stringendo solide alleanze. E’ spiazzante tutto ciò. Lo capisco. La scuola, però, non può essere pensata come un rifugium peccatorum, come un luogo di intrattenimento. Ognuno deve fare la sua parte, per quanto sia faticoso e per quanto gli strumenti siano poco adeguati. Ci si deve attrezzare, senza più indugi. E’ dovere morale verso i figli che si sono fatti nascere, io credo.
Verrà il tempo in cui ci riprenderemo quello che avevamo prima. Questo, però, può essere un tempo per la riflessione.