Tutti i giorni, più volte al giorno, sul lavoro, al nido, mi accade di assistere a un conflitto tra bambini. Un conflitto che nasce per il possesso di un oggetto; per avere più attenzioni dall’adulto; perché, in un gioco, si vuole ricoprire il ruolo che si è preso un compagno; perché qualcuno vuole imporre una condotta che, in quel momento, non si ha voglia di seguire. E potrei aggiungere esempi all’infinito.
Per un adulto, per i valori che ha dentro di se’, non è facile assistere a un conflitto senza pensare di intervenire per separare i litiganti. Se ci occupiamo della crescita dei bambini, però, vale la pena di fare qualche riflessione in merito. Cerchiamo di guardare al conflitto da un punto di vista differente da chi semplicemente pensa di metterne fine.
La vita è un conflitto continuo, in cui si alternano desideri e delusioni, aspirazioni e frustrazioni; il conflitto determina in noi pensieri e pensieri, notti insonni, gastriti e mal di stomaco. Siamo immersi nel conflitto sin da quando veniamo al mondo, quando dobbiamo affrontare l’angoscia del taglio del cordone ombelicale per poi iniziare il nostro lungo percorso di autonomia e della creazione della nostra identità. Tutte le scelte che facciamo comportano un conflitto, perché quando si sceglie una strada, inevitabilmente, se ne scarta un’altra, pur non avendo la certezza che la decisione presa sia quella giusta o la migliore per noi.
Per i bambini il conflitto è occasione di crescita (cognitiva, emotiva e sociale); siamo noi adulti a vivere con grande tensione le contrapposizioni che nascono tra loro (anche perché possono avere conseguenze “dolorose”) e, quindi, ci poniamo l’obiettivo di interromperli quanto più velocemente possibile. Così facendo, però, priviamo i bambini e le bambine di esperienze utili alla loro vita è al loro sviluppo. Pensiamo allora di non cercare a tutti i costi di interrompere un conflitto tra bambini. Anche se siamo tentati di farlo.
Il conflitto è, inoltre, un’esperienza non tanto diversa da qualsiasi altra; è carico sì di significato ma nel qui ed ora. È una parte inevitabile del giocare insieme. Pertanto la reazione dell’adulto che vuole a tutti i costi metterne fine, disorienta i bambini, attribuisce contenuti presunti (e spesso errati) a episodi che per i bambini sono marginali, modificando così il valore che i bambini danno al conflitto.
Se interveniamo noi adulti, infatti, il più delle volte, imponiamo una risoluzione del conflitto molto diversa da quella che i bambini avrebbero trovato naturalmente; oppure non permettiamo che i bambini trovino da se’ una mediazione attraverso le loro abilità. Ricordiamo, in proposito, che i bambini sono competenti e, pertanto, sono in grado di risolvere in autonomia anche situazioni complesse.
Riflettiamo, a questo punto, su un nodo importante. Un bambino che risolve un conflitto è un bambino che riesce ad adattare i propri bisogni al contesto in cui si trova ad essere e all’interno del quale è maturato quel conflitto e, inoltre, riesce a comprendere che al mondo ci sono anche gli altri, con i loro bisogni e le loro emozioni. E con i loro punti di vista.
E’ importante, quindi, non tanto concentrarsi sul porre fine al conflitto, ma piuttosto invitare i litiganti a esprimere le emozioni che stanno provando (domandando, per esempio, “perché sei tanto arrabbiato”, “cosa ti dà più fastidio in questa situazione?”,…) e poi cercare di far sì che si mettano uno nei panni dell’altro (“secondo te perché il tuo compagno ce l’ha con te?”,”perché è tanto arrabbiato?”,…). L’adulto deve far capire ai bambini che sono in conflitto che tutti hanno una parte di ragione e che non è necessario che qualcuno soccomba perché, in questo modo, i litiganti sono pronti a un atto di autoregolazione e a giungere alla “gestione creativa del conflitto”. Il bambino che abbandona al compagno l’oggetto della contesa (un giocattolo che gli piace molto, per esempio) assume un atteggiamento conciliativo ma non soccombe, dato che ha ceduto ciò a cui ambiva di sua volontà. Non è vero che chi assume un atteggiamento conciliativo è il più debole; costui, infatti, ha la capacità di fare una rinuncia, agito che richiede molte risorse interne. Pertanto è molto importante che l’adulto metta da parte le proprie idee di giustizia, che sono molto lontane dal pensiero infantile. Riflettiamoci bene su questo punto.
il conflitto tra bambini è, inoltre, un’occasio e per appendere il linguaggio delle relazioni. La pedagogia moralista del passato leggeva il litigio come qualcosa di sconveniente per un “bravo bambino” ed è anche per questo retaggio che ancora oggi molti adulti faticano a gestirlo in maniera “creativa”. Il conflitto, invece, è un’esperienza che può trasformarsi in occasione di apprendimento: insegna a ricercare le proprie risorse interne, necessarie per risolverlo. È relazione, inoltre, perché ciascuno di noi lo sperimenta nella propria esperienza relazionale quotidiana. Grazie al conflitto e alla capacità di affrontarlo come un momento dello “stare con l’altro” facciamo quotidianamente esercizio di apertura e di accettazione reciproca. È, pertanto, fondamentale lasciare ai bambini la possibilita’ di litigare, perché litigare è un diritto. Il bambino che non sperimenta il conflitto facilmente diventerà un adulto che avrà difficoltà a riconoscere la differenza tra la violenza e la necessità legittima di esprimere le proprie opinioni e ad affrontare in maniera costruttiva le difficoltà relazionali.