I servizi educativi non devono chiudere! Non devono essere abbandonati!

Ieri sera ho guardato “Striscia”. Erano anni che non lo facevo. Chissà perché proprio ieri. Passavano le immagini ed ero annoiata, quando, a un certo punto, è stato mandato in onda il servizio di Chiara Squaglia.
Amici di Striscia, oggi parliamo di rette!…Le rette degli asili nido…Ebbene diversi genitori ci hanno segnalato che alcuni asili nido PRETENDONO comunque il pagamento dell’intera retta mensile!
Quanto sdegno nelle parole della Squaglia. Del resto, lei fa il suo mestiere. E l’audience deve essere alta.

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Mi sono irrigidita. Ho ascoltato tutto il servizio con la massima attenzione. Mi sono sentita chiamata in causa.

Come tanti sanno, ho gestito un servizio educativo per dieci anni. Lo scorso luglio, però, ho deciso, per una serie di motivazioni di cui non discuto in questa sede, di cedere l’attività. E’ avvenuto tutto con molta facilità…il nido funzionava bene, con degli utili di tutto rispetto (cosa non tanto scontata di questi tempi)…Ho ceduto solo il nido. Non ho ceduto le emozioni vissute in tanti anni, la ricchezza (non i termini economici) che il lavoro in quel posto mi aveva donato, la professionalità acquisita grazie all’aver attraversato quel servizio…Tutto questo l’ho tenuto gelosamente per me, per condividerlo con le mie nuove colleghe e tutti coloro che avranno piacere ancora di condividerlo.

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Non ho il cuore pesante in questi giorni, non posso dire diversamente…

Lavoro in un nido comunale e credo che difficilmente, alla fine dell’emergenza, non ritroverò il mio posto…Sarà tutto diverso, questo lo so…ma non sarò rimasta senza un lavoro. E di questo, benché non sia donna di fede, forse devo ringraziare il Cielo.
Ho, però, tante care amiche che sono titolari di asili nido o centri per l’infanzia che hanno l’animo gonfio di angoscia. Maria Teresa, Alice, Alessia, Sandra, Letizia, Federica, Ambra, Ilenia, Viviana, Cinzia…e, con loro, tantissime altre.

Intendiamoci, so bene che tante famiglie sono in difficoltà e che la richiesta di sospensione delle rette, visto che non ricevono un servizio, è sacrosanta e se vale per le strutture pubbliche non può non valere per quelle private, per non creare una disparità tra i cittadini.
Ma so anche bene, molto bene, che per le strutture private le rette pagate dalle famiglie sono l’unico strumento per pagare dipendenti, collaboratori, utenze, affitto e tutte le millemila spese che devono continuamente affrontare.

Una famiglia, in media, paga 450 Euro di retta se ha un figlio al nido e 160 Euro se ha un figlio alla scuola dell’infanzia. Mi riferisco ai servizi privati. Sono tanti soldi? Si tratta di cifre eque? Per una famiglia possono essere cifre importanti e non facili da racimolare, per qualcun altro, invece, si tratta di poca roba…Ci sono famiglie di operai, dove lavora magari solo uno dei due genitori, e famiglie di industriali che hanno la seconda casa a Cortina e la barca al Lago. Non si fanno i conti in tasca a nessuno. Non è etico.

Posso, però, pensare al bilancio mensile di un piccolo servizio come quello che gestivo io. I bambini erano 24. Con una media di 450 Euro a famiglia al mese, si fatturavano poco più di 10.000 Euro al mese…Se filava tutto liscio…perchè è successo più di una volta che qualcuno si defilasse senza pagare.
E con questi 10.000 Euro o poco più si pagavano i dipendenti (io ne avevo quattro…fate due conti), i diversi professionisti (supervisore, commercialista, consulente del lavoro…), le utenze, le derrate alimentari, il materiale per le attività, le manutenzioni e l’affitto. E si metteva da parte quanto serviva per il mese di agosto, in cui non erano previste entrate perché il nido era chiuso. E anche quanto serviva per il mese di luglio…quante volte è successo che un bel numero di famiglie il 30 di giugno ritirassero il proprio bambino benché il regolamento prevedesse che non erano concesse disdette oltre il 10 di febbraio.

Dico, pertanto, forse anche con un po’ di cinismo, che un mese, massimo due, di rette non versate determinerà la chiusura di una grandissima parte dei servizi educativi privati. A meno che non intervenga lo Stato.

Riporto stralci di quanto ha scritto la mia amica Maria Teresa Guerrisi, titolare del nido “La monelleria di Carignano” di Genova, forse amareggiata dopo aver ascoltato anche lei il servizio della Squaglia.

“Quello che penso è che sia ingiusto fomentare una guerra tra poveri, dividere servizi dalle famiglie in questo modo….Personalmente penso costantemente alle famiglie perché come dice Patrizia Granata “si è educatori sempre”, penso a quelle famiglie che corrono il rischio di affidarsi ad associazioni che è risaputo che nei momenti di crisi agiscano tirando su polveroni per aumentare i tesserati, oppure ad avvocati “strappa like” che se fossero persone serie saprebbero benissimo che una famiglia firma un contratto, anche se spesso i gestori agiscono attraverso una grande flessibilità questo esiste ed è sottoscritto….Ognuno è libero di agire come crede, anche di fare vertenza a quei luoghi, quelle persone che Ha SCELTO tenendo in considerazione la Qualità del servizio offerto, quelle stesse persone che intendono l’educazione come “cura dell’anima” (L. Mortari); con le quali hanno sottoscritto non un contratto ma un patto di alleanza educativa…”.

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Credo che un certo numero di famiglie, per quanto possibile, non abbandonerà i nidi e le scuole dell’infanzia con cui ha stretto alleanza…qualcuno, invece, lo farà e sarà certamente per motivi buoni e sacrosanti. Mi auguro, allora, che lo Stato in cui ancora credo possa e voglia intervenire. Se il nido di Maria Teresa, quello di Letizia, Alessia, Alice…e di tante altre chiuderanno, la perdita sarà inestimabile. E non perché verranno meno dei preziosi posti-nido…o non solo per quello…Perchè perderemo, perderete, dei servizi di rara qualità, in cui davvero il bambino è al centro e in cui si fa Educazione, scritto con la maiuscola. Si fa realmente Educazione.

Ancora Maria Teresa scrive: “Ricordate anche che i servizi educativi riapriranno, magari in estate quando avendo consumato le ferie sarà necessario lavorare e permettere ai vostri figli di accedere a luoghi sicuri, con personale competente, e quando le porte saranno chiuse, perché l’ossigeno è terminato, forse…i redattori di questi servizi televisivi saranno in grado di trovare una soluzione per voi.”.

Nessuno pensa a questa eventualità? Quali servizi frequenteranno i bambini? I nostri nidi comunali sono pieni e, se sarà il caso, potranno accoglierne una piccola percentuale di bambini rimasti fuori dai servizi privati e non so bene in base a quale criterio. E gli altri?

Questo non è il momento di unirsi contro i servizi educativi, di PRETENDERE (come dice soddisfatta la Squaglia) i rimborsi delle rette versate; è il momento di allearsi con questi stessi servizi, al fine di chiedere a chi di dovere di sostenere tutti con equità.

I risarcimenti, ne sono certa, arriveranno…Provate ora solo a lasciare un po’ di tregua a Maria Teresa, Alice, Letizia e a tutte le persone che, in maniera virtuosa, hanno gestito i servizi educativi frequentati dai vostri bambini. Le avete abbracciate tante volte, avete pianto con loro guardando i cambiamenti dei vostri bambini, avete mostrato riconoscenza.

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Non lasciatele sole ora. Non lasciatele sole in questo momento difficile in cui non possono dire quello che vorreste sentirvi.

Sarebbe terribile. A me è accaduto quando avevo le spalle ben coperte. So quanto può essere terribile.

Verso una deriva educativa?

Scuole e asili sono chiusi. Ormai è un mese. Bambini e ragazzi sono a casa. Inizialmente si incontravano, in casa di qualcuno, nei parchi durante le prime giornate tiepide.
Da parecchi giorni, però, le relazioni hanno preso una piega diversa. I nostri bambini e i nostri ragazzi non vedono i loro amici, li sentono via chat, via Skype, o via qualsiasi altra modalità legata alla tecnologia. I corpi, però stanno a distanza. E trascorrono tutta la giornata con i genitori che, se va bene, si destreggiano con lo smartworking e, se va male, hanno un parente o un amico in ospedale.

Le relazioni hanno preso una piega diversa. Inevitabilmente. Non si tratta di perdere giorni, non fare lezione per chi va a scuola, di non portare a termine i progetti, di non finire il programma, bensì, ahimè, di smarrire progressi frutto di fatiche condivise in anni e anni di impegno di insegnanti, educatori, famiglie e, soprattutto, bambini e ragazzi. È un patrimonio inestimabile.
I servizi educativi, gli asili, le scuole sono per i bambini e per i ragazzi, corpo, sostanza, vita, parte di sé.

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Questi giorni perduti, questa tempi e luoghi non vissuti, questa lontananza educativa pesano come macigni. Stare a casa con mamma e papà, fare attività con loro (magari per meno di mezz’ora perché comunque i genitori lavorano o i bambini e i ragazzi non riescono, in questo periodo, a concentrarsi a lungo), vedere su cellulari e tablet educatori ed insegnanti serve a non perdere il contatto con i servizi educativi o la scuola, ma non è sufficiente. E’ tanta roba senza dubbio. Essenziale e vitale come l’aria che si respira. Ma quando manca l’aria…

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Le prove nella vita (e quella che stiamo affrontando è indubbiamente una delle più grandi che mai abbiamo vissuto o vivremo) ci fanno scoprire chi siamo veramente, fanno “abbassare la cresta” a chi pensa di averla perchè la prova è per tutti e tutti nella prova sono uguali. Certamente non è il caso ora di sfoderare il detto “mal comune mezzo gaudio”, piuttosto ognuno deve metterci del suo e dare il massimo affichè il gruppo superi la prova.

Cosa possiamo fare noi che ci occupiamo di educazione?
Non certo chiedere a gran voce di riaprire le scuole rischiando il contagio e neppure pensare di andare a svolgere il nostro lavoro nelle case..il virus non si ferma certamente sulle soglie.
Non c’è soluzione? Siamo destinati ad assistere ad una delle più grosse derive educative dell’ultimo secolo?

I bambini, del resto, i bambini dei “nostri” servizi, i bambini tutti, non vengono mai menzionati nei decreti…almeno…non ho mai letto nulla che si riferisca a loro, ma se sbaglio sono pronta a fare ammenda. Non sono, però, scomparsi. Sono chiusi nelle loro case…a volte li vediamo sui terrazzi, perché è stata data la possibilità di uscire di casa solo a chi deve andare al lavoro, a chi deve fare la spesa (uno solo alla volta) o a chi ha gravi motivi comprovati. Lasciare che i bambini abbiano, anche solo per pochi minuti al giorno, la possibilità di essere immersi nel mondo, di rimanere in contatto con ciò che prima era tanto per loro, non rientra tra le motivazioni gravi. Devono, pertanto, restare in casa. Isolati. E manca l’aria…

E allora?

Proviamo a porci il problema e a farcene carico cominciando fin da subito a progettare momenti di “recupero”, “banche ore” (quelle perse in queste settimane ad esempio?) da utilizzare in base alle inevitabili esigenze/difficoltà del rientro… e forse, anzi di certo tanto altro. I bambini e i ragazzi non possono essere lasciati soli, non devono essere percepiti come effetti collaterali o ignorati dalle istituzioni. Buttiamo sul tavolo tutte le idee che ci vengono in mente. Discutiamone e discutiamone ancora nei nostri gruppi di lavoro.

Il costo sociale di lasciare a casa, con i genitori che lavorano in smart working, tutti i bambini e i ragazzi del paese potrebbe essere insopportabile. Lo hanno detto anche tanti uomini illustri della cultura, della politica…e credo che abbiano fatto centro.
Come ho già detto prima, i diversi esperimenti digitali sono piuttosto una «vicinanza» dei servizi e della scuola agli studenti. Non si tratta dei servizi e della scuola che entrano nelle case. Sono strategie per non lasciare i bambini e i ragazzi soli e spaesati, ma non sostituiscono la comunità. Il gruppo classe. La sezione.

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E’ difficile comunicare in una chat…lo è per gli adulti…imaginiamo quanto lo può essere per i bambini. E’ difficile sintonizzarsi e la frustrazione sale.

Dobbiamo domandarci quale impatto avrà, una volta finita l’emergenza, la chiusura di scuole e servizi su bambini e ragazzi. Credo che percepiremo chiaramente un aumento del divario educativo tra chi può contare su famiglie solide e in condizioni economiche buone e chi invece vive in famiglie con pochi strumenti educativi e condizioni economiche svantaggiate. Non solo per l’accesso al digitale, ma anche per l’impegno che viene richiesto alle famiglie per seguire i figli in queste settimane. Chi sta svolgendo il ruolo dei servizi educativi e delle scuole? Forse dei genitori virtuosi o “del mestiere”…ma saranno tanti coloro che, speriamo momentaneamente, perderanno importanti punti di riferimento.

I servizi e la scuola in rete ,per definizione, rompono il gruppo e creano tante barriere spaziali, sia tra i bambini e i ragazzi, sia tra gli educatori e gli insegnati, sia tra i bambini/ragazzi e gli educatori/insegnanti.
Non tutte le tecnologie disponibili sono in grado di risolvere i problemi complessi dei processi di apprendimento. Penso al fatto che un uso non attento di alcune tecniche rischia di negare l’accesso alla scuola ad alcune fasce. Oppure a coloro che vivono in situazioni di svantaggio socio–economico, che sono tantissimi/e nelle periferie in cui lavoro, che magari non possiedono dispositivi informatici adeguati o hanno uno scarso accesso alla rete. Come si fa con loro? Come si fa davvero ad assicurargli le relazioni che vivevano prima dell’emergenza? L’uso della tecnologia in servizi educativi e scuole presuppone anche un diverso coinvolgimento delle famiglie. Ma non tutte le famiglie sono in grado di seguire le/i figlie/i allo stesso modo, sia perché molti non hanno l’alfabetizzazione necessaria per usare le tecnologie, sia perché questo sovraccarico di lavoro di cura sulle famiglie mal si coniuga con le misure che il governo sta prendendo per le lavoratrici/lavoratori ( smartworking,  continuità della produzione in alcuni settori,…). Come fare per garantire a tutti i bambini e i ragazzi gli stessi diritti?

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E la paura? I bambini e i ragazzi hanno paura. E’ percepibile sempre di più questa loro paura. Chi si occupa di rispondere alle loro domande? I genitori sono troppo coinvolti dal punto di vista emotiva, benché si stiano tirando fuori risorse che non avremmo mai immaginato di possedere, ma le vite dei nostri bambini e dei nostri ragazzi procedono sospese, tra le grate dei balconi. Sono in attesa di un “ritorno” alla normalità, alla vita di sempre, ma tutto appare sempre tanto lontano.

La storia ci insegna che nelle emergenze si introducono trasformazioni tutt’altro che temporanee. Quello che si è introdotto per tamponare singoli eventi presto diventa lo standard o, almeno, un precedente capace di condizionare la gestione futura. Dovremo fare tante riflessioni in merito. Ma è ancora troppo presto.

Siamo ancora spiazzati, facciamo ancora tanta fatica ad accettare lo stato delle cose, tutto ci pare “surreale”…e “surreale” è forse la parola oggi più usata sul web. Ciò che Ata accedendo, però, è assolutamente reale e dobbiamo pensare a delle soluzioni. Non vogliamo andare alla deriva.

Quello che, però, possiamo fare è cercare ora più che mai l’alleanza servizi/scuola con le famiglie di cui tanto si è parlato e si continua a parlare. E’ importante agganciarle tutte le nostre famiglie…andiamo a cercarle se rimangono nell’ombra e tentiamo di comprendere se e perché sono in difficoltà.

Con i piccoli è più difficile…ma facciamoli parlare, facciamoli raccontare, a modo loro, che cosa stanno vivendo, che cosa sentono. Con i più grandi, possiamo chiedere che scrivano…farà bene loro. Tanto.

Cerchiamo di dare alle famiglie delle strategie per so-stare nell’emergenza e non farsi travolgere dall’immensa fatica. E’ difficilissimo spiegare ai bambini come mai potrebbero infettare qualcuno stando a metri di distanza, forse impossibile…lo sappiamo, ma possiamo trovare insieme le parole…E’ venuto ora il momento di stare. Tutto quello che c’era da fare già lo abbiamo fatto.

E rassicuriamole su fatto che, quando tutto sarà finito, forse non tutto sarà come prima, ma noi educatori, pedagogisti ed insegnanti saremo accanto a loro nella ricostruzione. Di qualsiasi entità essa sia. E, soprattutto, cerchiamo di far comprendere il senso ed il significato di tutto ciò che stiamo facendo nelle nostre case. Più che mai oggi abbiamo il dovere di promuovere partecipazione.

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E quando torneremo ad abitare i nostri servizi…

Ad oggi ci hanno detto che le scuole resteranno chiuse fino al 3 di aprile e, per la verità, non abbiamo la certezza che quel giorno potremo tornare nel nostro nido, nella nostra scuola dell’infanzia…Anche se noi quella certezza vogliamo averla, vogliamo credere fortemente che i nostri servizi possano riaprire presto.

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Noi umani viviamo un tempo ordinario in cui sono scandite le nostre azioni abituali della giornata, della settimana, del mese e persino dell’anno. E ora siamo disorientati. Anche i bambini vivono il loro tempo ordinario, fatto di azioni che si susseguono cronologicamente: svegliarsi, fare colazione, andare a scuola, andare in piscina,…In questo momento loro avvertono un sentimento particolare: la perdita del tempo ordinario! Oltretutto il tempo straordinario di questi giorni è diverso da quello delle vacanze, pieno di giochi, di divertimenti, di aggregazioni gioiose anche fra adulti. Quello di oggi è un tempo nuovo e non sempre comprensibile.
Dobbiamo imparare ed insegnare ai bambini a gestire bene questo tempo che rischia di diventare troppo pieno o troppo vuoto, troppo leggero o troppo pesante.
E’ molto importante, in primo luogo, che passiamo ai nostri bambini la convinzione che arriveranno di tempi migliori, li stiamo attendendo, e la fiducia nella nostra capacità di saper affrontare le sventure della vita, la speranza che possiamo tornare alla vita di prima molto presto.

Im questi giorni lenti e lunghi, noi che lavoriamo nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, prepariamo tanti video da mandare ai bambini; li salutiamo, mandiamo baci che schioccano. Diciamo loro che ci mancano, tanto, anche se non possiamo abbracciarli, toccarli, vederli. Qualcuna di noi legge i libri che i bambini amano di più…l’ho fatto anche io…qualcun’altra canta le canzoni che si cantano con i bambini, qualcun’altra suggerisce giochi da fare tutti insieme, nello spazio ristretto della casa. E’ un lavoro prezioso…restituiamo volti e voci familiari ai bambini che dalle aule colorate delle scuole si ritrovano chiusi in casa in questi giorni di emergenza. In questo modo si tenta di non perdere il filo rosso della relazione. E è un modo per accorciare le distanze e rendere questa situazione più gestibile per i bambini e aiutarli ad affrontare questo cambiamento così forte. Dobbiamo impegnarci per dare continuità alla relazione educativa con le famiglie e con i bambini; per farlo, oggi, abbiamo le tecnologie, grazie a cui possiamo mantenere uno spazio minimo, ma fondamentale, di socializzazione. E continuare a sostenere, a distanza, le “nostre” famiglie.
Senza, però, dimenticare che, a distanza, mancano gli sguardi, ed è una mancanza pazzesca, le risate risate, i pianti e anche…le sacrosante incavolature.
Usiamo pure la tecnologia, ma al meglio…Gli inventori delle relazioni siamo sempre noi, la reciprocità è tale che quando manca, non si può fare proprio nulla se non insistere affinché ci sia, senza cedere.

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E che succederà quando potremo tornare a ripopolare i “nostri” servizi? Come potremo accogliere i bambini e le famiglie dopo una chiusura tanto lunga? E che accadrà dopochè tutti avremo vissuto un periodo certamente non facile?
La prima cosa che dobbiamo tenere bene a mente è che il giorno in cui il nido, la scuola dell’infanzia, riapriranno le porte non ci saranno consegnati solo i bambini, ma anche un mondo di emozioni…Riaccoglieremo i bambini che hanno vissuto un tempo di destabilizzazione a causa della mancanza delle solite routines, bambini che hanno visto genitori impauriti e forse qualche parente ammalarsi, bambini che, troppo spesso, hanno sentito parlare di morte. E, insieme a loro, riaccoglieremo madri, padri, nonni, zii che hanno dovuto far fronte, in solitudine per lo più, all’ansia e al panico, che hanno avuto forte bisogno di sostegno che, forse, non è mai arrivato, che hanno passato tanti giorni in casa in una condizione se non di clausura, di relativo isolamento.

E come li accoglieremo? Come sarà il nostro primo abbraccio?
La sospensione delle attività nei servizi educativi e la loro chiusura al pubblico si è rivelata negativa per lo sconvolgimento della vita familiare dei genitori lavoratori e, anche se in alcune realtà si sono avviate modalità per mantenere le relazioni, come dicevo prima, manca la corporeità, il contatto e la dimensione socializzante del gruppo di bambini. La tecnologia ci è utile, ma è pur sempre una soluzione di emergenza, e, per quanto ci sforziamo, restare connessi in questo modo, non è come se potessimo toccarci, parlarci a venti centimetri di distanza. Il contatto diretto è insostituibile. Mai come oggi ci rendiamo conto di quanto i servizi educativi, i nidi, le scuole dell’infanzia, non siano luoghi di custodia, bensì luoghi di educazione.

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E…allora…che accadrà il giorno della riapertura? Forse qualche famiglia ce la saremo persa, questo è da mettere in conto. La relazione con le famiglie è qualcosa di molto complesso, si costruisce nel tempo, un giorno dopo l’altro. E’ possibile che con qualcuno, per tanti motivi, non siamo riuscite a costruire un legame forte e, allora, li avremo persi. Tante altre famiglie, però, torneranno, torneremo a dialogare e a occuparci, insieme, della co-educazione dei bambini.

Qualcuno dei miei conoscenti o amici che ha bambini che frequentano il nido mi ha chiesto se sarà necessario ripetere l’ambientamento. Molti, in verità, sono un po’ spaventati da questa eventualità perché è probabile che quando le aziende riapriranno ci sarà molto da fare e non sarà semplice avere un periodo di ferie per riambientare i bambini al nido o alla scuola dell’infanzia.
Io credo di no. Non dovremo prevedere un ri-ambientamento. Tutto questo è accaduto in un momento dell’anno in cui gli educatori conoscevano già piuttosto bene i bambini, in cui i genitori avevano già acquisito fiducia nel servizio e in cui i bambini erano già padroni di spazi, tempi e routine…Ci sarà, probabilmente, bisogno di qualche giorno per riassestarsi, un po’ come dopo il rientro dalle vacanze estive, ma direi che nessun servizio proporrà lunghi tempi di rientro. Le relazioni già consolidate difficilmente sfumano.

Dovremo, certamente, essere molto flessibili. Molto più di quanto già lo siamo. Se i genitori, i nonni, gli zii,…avranno bisogno di tempi più lunghi nei momenti dell’accoglienza o del ricongiungimento dovremo concederli. Dovremo attrezzarci per farlo. E’ molto probabile che i genitori avranno bisogno di una parola in più…la situazione di oggi lascerà dei segni, anche profondi, e noi educatori dovremo essere pronti ad accogliere tutta la fatica vissuta, anche modificando qualcuna delle nostre modalità.

Prima della riapertura le équipe educative dovranno certamente riunirsi. Intanto per avere la possibilità di godere anch’esse di uno spazio e di un tempo per mettere sul piatto le fatiche attraversate…perchè anche noi che cerchiamo di essere sempre sorridenti, di trasmettere gioia e serenità, viviamo dei momenti di difficoltà. E poi per decidere tutti insieme come riaprire le porte del nostro servizio.
E dovremo pensare anche al personale ausiliario che, in molti casi, è rimasto a presidiare il servizio, a prendersi cura degli spazi disabitati. Dovremo coinvolgere anche le nostre ausiliarie nel momento della riapertura.

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E dovremo preparare le famiglie al rientro. Potremo mandare qualche messaggio, chiamarle una per una…per salutarle dal vivo e dire loro che le aspettiamo con gioia. Dobbiamo far sentire loro che le stiamo aspettando. Stiamo aspettando i bambini, le mamme, i papà, i nonni, tutti. E’ giusto che le famiglie sappiano quello che accadrà, come abbiamo pensato di riaccoglierle. E che sappiano che cosa abbiamo fatto in questo lungo periodo di lontananza.

E quando i bambini varcheranno di nuovo la soglia delle sezioni, dovremo salutarli uno per uno…ad ognuno dovremo dedicare una parola speciale. Dovremo mandare a ciascuno di loro questo messaggio: “Ti aspettavo! Sono felice che tu sia tornato. Ti ho pensato tanto in questi giorni in cui non ci siamo visti.” E’ nostro dovere parlare ai bambini e cercare di spiegare come ci siamo sentite durante la chiusura dei servizi. Perché, come ho spesso sostenuto, i bambini sono competenti. E comprendono bene parole e stati d’animo.

Condizione imprescindibile perché ci sia cura, ci sia educazione è la partecipazione consapevole di chi educa alla relazione. Non sarà una passeggiata il nostro rientro, questo no…Ma abbiamo bisogno di sapere che torneremo e i bambini e le loro famiglie hanno bisogno di sapere che speriamo che #andratuttobene.

Giocare con la sabbia al nido

L’idea di scrivere questo articolo mi è venuta in seguito ad avere seguito un webinar (una formazione on line che tanto ci aiuta in tempi di coronavirus, quando non è possibile incontrare altre persone) tenuto da Antonio di Pietro, noto pedagogista ludico.
L’idea nasce, inoltre, da una formazione che ho fatto un anno fa, con Paola, un’amica che si è occupata per tanto tempo di materiale destrutturato, molto prima che diventasse tanto di moda.

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Il gioco con la sabbia, oltre ad essere decisamente piacevole e rilassante, soprattutto se la si lascia intiepidire al sole, è fondamentale per lo sviluppo sensoriale dei più piccoli; i benefici che arreca sono davvero tantissimi. La consistenza particolare della sabbia e la manualità che il bambino sviluppa quando ci gioca, ne stimola l’immaginazione, grazie al processo decisionale che li spingerà a decidere cosa creare e come farlo. Questa attività promuove, inoltre, la calma e la concentrazione.
Il toccare, sviluppare il senso del tatto, ha implicazioni positive nella crescita e nello sviluppo delle capacità motorie dei bambini; giocando con la sabbia, i bambini sviluppano la motricità, ad esempio, con il tocco e i tentativi di raccogliere i piccoli granelli. Questa capacità migliora anche attraverso il movimento libero e attività come correre o saltare.
Un altro apprendimento molto interessante che si sviluppa grazie al gioco con la sabbia è l’acquisizione di concetti opposti come “pieno” e “vuoto”, “leggero” e “pesante”, “asciutto” e “bagnato”, “caldo” e “freddo”, specialmente quando proponiamo attività con forme, contenitori e palette.
Giocare con questo elemento naturale, inoltre, è benefico per i bambini molto attivi, in quanto ha un effetto calmante su di loro e li aiuta a concentrarsi, a tranquillizzarsi e a condividere.
Oltre a stimolare la memoria e la creatività dei bambini, poi, questo gioco sviluppa anche la nozione di pianificazione e progettazione di strategie appropriate, perché sono loro che decidono cosa verrà creato e come creeranno.

La sabbia, inoltre, ha anche proprietà terapeutiche, come ci ricorda la SandPlay Therapy, una tecnica della psicologia analitica che si basa sulla libera espressione della fantasia e creatività individuale e che può essere utilizzata con bambini, ma anche adolescenti e adulti. Il paziente, scegliendo tra una moltitudine di piccoli oggetti che ha a disposizione, può creare all’interno di una cassetta contenente della sabbia, una sorta di quadro.

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Noi che lavoriamo nei servizi dell’infanzia, possiamo proporre i giochi con la sabbia rifacendoci alla proposta ludico-educativa di Ute Strub, fisoterapista tedesca, che in seguito alla sua collaborazione con la pedagogista Emmi PIkler ha aperto a Berlino negli anni ’60 del secolo scorso lo Strandgut, spazio gioco dotato di due stanze: quella della sabbia e quella della paglia. Strandgut fu pensato per consentire alle persone di giocare in libertà ed è stato ed è tuttora frequentato prevalentemente da bambini e bambine, ma nacque con l’idea di offrire un buon ambiente per giocare a persone adulte e anziane. E’ un ambiente che promuove significative esperienza di crescita e riequilibiro dei vissuti, attraverso condizioni ambientali e opportunità che agiscono valorizzando i saperi, quelli in atto e quelli potenziali.
Lo spazio e i materiali selezionati pongono in essere le condizioni affinchè lo sviluppo motorio, emozionale, cognitivo procedano insieme secondo natura, facendo fare a bambini e adulti esperienze che procurano loro piacere e soddisfazione.

Come possiamo ricreare Strandgut in uno dei nostri servizi? Se abbiamo, nel nido, uno spazio poco utilizzato (anche una piccola stanza), uno spazio che non ci convince, non ci soddisfa perché ci sembra che non risponda alle esigenze dei bambini, possiamo pensare di ri-costruirlo come “stanza della sabbia”

Occorre, in primo luogo, che lo svuotiamo del tutto. E, una volta che lo spazio è libero, va lasciato respirare.
Nel frattempo, possiamo cercare quello che ci servirà per allestirlo.
Un regola può essere quella di non portare in questo spazio nessun elemento di plastica e nessun ornamento alle pareti, se non qualche piccolo rimando alla sabbia.
Come materiale per i giochi, si possono utilizzare grandi ceste, vecchi cassetti, vassoi di legno, vecchie pentole, scolapasta in acciaio, mestoli e schiumarole, scatole di latta e cucchiai di legno ma anche ciotole di ceramica, conchiglie, grossi sassi. Occorrono, inoltre delle coperte di un solo colore, meglio se tenue (azzurro, giallo chiaro, avorio…).
Completano l’arredamento della sala un piccolo scaffale appoggiato alla parete, che contenga pochi e selezionati oggetti e una poltroncina di vimini per l’adulto. Si può anche aggiungere un tavolo basso e posizionarvi sopra una cesta con la sabbia.

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Quando decideremo di giocare con i bambini, dovremo pulire accuratamente il pavimento e poi entrarvi senza le scarpe; una volta entrati, stenderemo a terra delle coperte per creare delle postazioni di gioco. Sistemeremo i teli nelle ceste e le riempiremo di sabbia, poi posizioneremo gli oggetti selezionati nelle diverse postazioni, cercando di metterli insieme in modo che siano armoniosi alla vista.
Se dopo aver sistemato gli oggetti sulle coperte non ci piace come abbiamo sistemato, se non ci soddisfa, proviamo altre soluzioni. Dobbiamo creare un ambiente bello e soddisfacente. Una volta creato l’ambiente che ci piace, possiamo fotografarlo, perché in questo modo potremo riproporlo facilmente.

E se non abbiamo una stanza inutilizzata? Posiamo organizzare uno spazio protetto all’aperto…

Ci accorgeremo di quanto questo spazio è piacevole e rilassante; ci accorgeremo, inoltre, che questi giochi hanno un “finale aperto”, non c’è un modo giusto o sbagliato di giocare, non importa l’abilità o il livello cognitivo del bambino, non c’è un traguardo specifico da raggiungere o un prodotto da creare. E’ il bambino che determina la direzione ed il percorso del proprio gioco, in base al suo interesse.
E ci servirà per promuove lo sviluppo motorio, percettivo e cognitivo: i bimbi sollevano, scavano, seppelliscono, versano, camminano sulla sabbia, ne percepiscono le varie caratteristiche sensoriali e, grazie agli strumenti che sono a loro disposizione, possono scoprire nessi di causa-effetto e il comportamento dei materiali sotto l’azione trasformativa delle proprie mani. Se poi la sabbia viene bagnata, essi hanno la possibilità di sperimentare il proprio corpo in modi ancora diversi e di ampliare ulteriormente il loro orizzonte conoscitivo.

Termino ricordando un’esperienza che ho avuto la fortuna di vivere io stessa, nel corso di una formazione.
Lo spazio era stato allestito per poter giocare con la sabbia e lo abbiamo fatto per un tempo abbastanza lungo, proprio per godercela tra le nostre mani.
In seguito abbiamo fatto un cerchio ed abbiamo raccontato l’esperienza appena conclusa. Io ricordo di aver usato le parole “rilassamento” e “ricordo d’infanzia”. e di aver provato molto piacere nel toccare la sabbia e ripetere i gesti.

Lo scopo dell’incontro di formazione era proporre esercizi di sguardo per raccogliere informazioni su postura, gesti, tempi, interazioni e utilizzo dei materiali, durante l’immersione in una piacevole esperienza di gioco. Ho raccontato alle colleghe di aver affondato le mani, sollevato in alto, travasato, lasciato tracce, respirato, ruotato tra le mani.

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E come avevo utilizzato gli oggetti? Per setacciare, far scorrere, raccogliere, svuotare\riempire, lasciare tracce.

E’ stato un momento di grande rilassatezza, in cui mi sono lasciata andare a pensieri piacevoli e condivisioni. Un momento che ho voluto tenere ben impresso nella memoria per potere, un giorno, in qualche modo riproporre ai bambini dei servizi in cui lavoro.

 

#andràtutto bene…

sabato 14 marzo 2020

Sono ormai tre settimane che la mia Regione, la Lombardia, è piombata in uno stato che in cui mai avrei immaginato di trovarmi. Le strette di mano sono proibite, come pure gli abbracci e i baci, benché, come è dimostrato, in tempi non sospetti facciano benissimo. Nei luoghi pubblici, se sei costretto ad uscire, è doveroso rispettare una certa lontananza, un metro o  più l’uno dall’altro. Ci salutiamo, da lontano, con le mani che sanno di alcol. La vita social che ci fa un po’ di orrore e che da tempo cerchiamo di combattere ha sorpassato la vita sociale e di gran lunga. Ci aiuta a trascorrere un po’ meno soli queste giornate in cui si deve restare in casa. Le lezioni, gli incontri di formazione e aggiornamento, le riunioni di lavoro non sono più dal vivo ma in collegamento. Abbiamo smesso di incontrare le persone, di toccarle, sentire il loro odore di uomo, ma chattiamo; facciamo smartworking e non andiamo in ufficio; videochiamiamo parenti ed amici anche se abitano poco distanti e non andiamo a casa loro. Chi può, prende le ferie…salteranno le vacanze estive? Forse, ma ci penseremo a primavera inoltrata.

E’ ora in stand by la possibilità di ognuno di noi di vivere incontri autentici ed arricchenti. Benché sia, questo, diritto di ogni essere umano. Perché è attraverso gli incontri che sviluppiamo la nostra identità, in quanto la costruiamo attraverso le relazioni di valore. Vivere genuine relazioni interpersonali significa coltivare la propria disponibilità emotiva, l’apertura, la flessibilità e il senso del gruppo, dimensioni attraverso le quali la vita affettiva, sociale e professionale si può svolgere in maniera adeguata.

Il fatto di non avere la possibilità  di vedere, sfiorare, toccare altri corpi, ci impedisce di vivere il nostro come dimensione relazionale. Condizione di tale dimensione, infatti, è la disponibilità emotiva, da intendersi come apertura alla presenza dell’altro nella nostra sfera. Tale dimensione, inoltre, è facilitata dalla vita di gruppo.

Ai tempi del coronavirus tutto questo viene meno. Quello che possiamo…anzi…dobbiamo fare è non dimenticarlo. E’ doveroso attenersi alle disposizioni e limitare le occasioni di aggregazione, ma non dimentichiamo la vita sociale che facevamo in tempi non sospetti. Perché, sono certa, torneremo a farla. Torneremo alla nostra normalità. Non so quando accadrà. So solo che accadrà. Teniamoci vivi con i ricordi di ieri. In attesa di vivere di nuovo il nostro presente con gioia e pienezza.

Io sono pedagogista ed educatrice. Svolgo buona parte del mio lavoro con i bambini. E così le mie dodici colleghe. E le tante, tantissime colleghe, che sono impiegate nei servizi per l’infanzia che, da ormai tre settimane, non sono più attraversati dai bambini e dalle loro famiglie. E chissà quando torneranno ad esserlo.

Tante persone mi scrivono o mi chiamano e mi chiedono di aiutarle a passare questo tempo con i loro bambini. Ci troviamo a vivere, da un momento all’altro, una nuova realtà a cui nessuno ci ha preparato. Incrociamo gli altri senza poter entrare in relazione con loro; è come se, perennemente, vivessimo in un non-luogo. Se abbiamo la necessità di uscire di casa, oggi abbiamo bisogno di un’autocertificazione…Fino a qualche giorno fa gli uomini avevano un’anima e un corpo, oggi hanno bisogno anche di qualcosa che dimostri che non era possibile per loro restare in casa come ordinato, altrimenti non vengono trattati da esseri umani. Troviamo faticosamente la nostra identità solo nello spazio delle mura domestiche, ormai.

Dobbiamo re-inventare le relazioni in un momento in cui ci dicono di non averne perché dobbiamo preservare la salute di chi è più debole e non far collassare il nostro sistema sanitario. E’ giusto questo, ma dobbiamo necessariamente inventarci un modo per essere in relazione.

A differenza di quanto accadeva nel passato, oggi i genitori cercano ossessivamente di riempire la vita dei figli con esperienze divertenti e positive, aspirando per loro conto al raggiungimento di un livello di felicità estremo, di evidente rassicurazione per le famiglie così tanto impegnate nella routine quotidiana.
La vita, però, non è mai un crocevia di soddisfazione, gioia e divertimento. Le difficoltà, i dolori, i momenti di tristezza esistono ed assumono un ruolo chiave nello sviluppo evolutivo di un bambino. Un ruolo che non dovrebbe essere paralizzato dai continui tentativi genitoriali di trasformare l’esistenza dei figli in una sorta di luna park infinito.
E, ai tempi del coronavirus questo deve essere molto più chiaro di quanto non lo sia mai stato prima.

Cosa mi sento di dire ai genitori che sono in casa con i loro figli e che cercano, nello stesso tempo, di tenere in piedi la vita professionale?
Spesso, facciamo vivere ai nostri bambini esperienze nel fuori. Gli esperti di Outdoor education ci dicono che ognuno, anche i più piccoli, nei propri modi e tempi, può avviare un lavoro individuale di osservazione, di raccolta e di scoperta con il materiale che la natura offre. La natura offre possibilità di crescita , sviluppo ed esperienza.

Oggi, però, dobbiamo affrettarci ad imparare a fare esperienze con i nostri bambini nel dentro. Dobbiamo cercare di guardare le cose da una prospettiva differente e cercare di offrire ai nostri bambini possibilità di nutrimento in una situazione che per loro è certamente più faticosa che per noi adulti.

Noi educatrici, abituate a leggere con i bambini al nido, possiamo lanciare ai genitori dei consigli per delle letture, oppure, se ce la sentiamo, possiamo farci riprendere mentre leggiamo uno o più libri che sappiamo che i bambini amano e far avere i video alle famiglie. Può essere un modo per aiutare i bambini a trascorrere un po’ di tempo in serenità e perché possano vederci e mantenere un piccolo legame con il nido o la scuola dell’infanzia. E un modo perché le famiglie percepiscano e sentano che educatrici e insegnanti non li lasciano soli in questi tempi difficilissimi. Si può tentare di costruire una comunità educante pronta ad assumersi per tutti i giorni in cui durerà questa inaspettata “quarantena” responsabilità ed iniziative educative. Una comunità che si nutrirà di interrelazioni, di scambi, di reciprocità, in modo diverso da come si è sempre fatto fino ad ora.

E’ il tempo in cui la tecnologia può trarci in salvo, anche se questo ci indurrà a mettere in stand by i progetti educativi a cui stavamo lavorando. Gli esperti ci dicono che le tecnologie, sempre più accessibili ed economiche, permettono di fare cose impensabili, ma, hanno portato problematiche non previste per i più giovani (abuso, adescamento online, sexting, cyberbullismo,…). E dicono che noi adulti dobbiamo  svolgere un ruolo di tutori, consentendo ai ragazzi di esplorare, ma nel rispetto delle specificità dell’età.

E noi educatrici e pedagogiste? Possiamo usare i nostri cellulari e i nostri tablet per regalare un pezzetto di noi alle famiglie. E regalare un po’ di intrattenimento. Farli stare un po’ con noi dopo tanto che non ci si vede. Facciamo regali in attesa che venga il tempo in cui potremo abbracciarci, coccolarci, stare insieme. Possiamo, in questo modo, creare un mondo di “ricordi condivisi”. Dai nostri video ne possono nascere altri che fanno le famiglie per mostrarci che fanno i loro bambini in questo tempo tanto insolito anche per loro. Ricordi condivisi per il giorno in cui ci rivedremo.

Noi educatrici del nido “il girotondo” di Bresso (MI) lo abbiamo già fatto…Con l’animo gonfio di emozione abbiamo mandato dei messaggi ai bambini e ai genitori del nostro nido. Abbiamo avuto un po’ di tempo per rinnovare gli spazi e rendere più belli e più accoglienti e desideravamo che lo sapessero. Abbiamo paura anche noi come tutti loro, ma sappiamo che nei bambini funziona molto la sintonizzazione emotiva con ciò che sentono, pertanto abbiamo voluto rassicurare le famiglie, perché se i bambini stanno in un mondo dove c’è solo paura la loro crescita si blocca. Le abbiamo volte rassicurare: ci rivedremo alla fine di questo brutto momento e torneremo a fare tutto quello che facevamo prima. Meglio di prima e con più voglia di fare.

Tutti noi, di fronte a questo virus, abbiamo tante domande: «Perché? Quanto dura? Come si fa a sconfiggerlo? Come posso essere certo di non averlo preso?». Siamo tutti come bambini. Come loro non abbiamo nessuna risposta.  Le stanno trovando gli scienziati e i ricercatori che lavorano senza tregua. Possiamo però diventare responsabili. Per un po’ ci sarà una sorta di coprifuoco, non ci potremo incontrare. E dobbiamo, noi adulti, capire che questa è, oggi, l’educazione che dobbiamo dare ai nostri bambini e che serve al mondo. Di cui dobbiamo essere protagonisti.

Grazie alla diffusione delle linee aeree a basso costo, noi genitori abbiamo portato in giro per il mondo i nostri figli fin da piccolissimi. Abbiamo fatto sì che il mondo fosse la loro casa. Lo abbiamo continuato a fare anche quando i terroristi volevano convincerci del contrario. Volevano farci chiudere nelle case e impaurirci in seguito ai loro attacchi omicidi. Non ci siamo piegati e abbiamo continuato a spingere nel fuori i nostri figli, a dire loro di andare, di non fermarsi. Niente avrebbe dovuto piegare il diritto alla libertà.

Oggi diciamo l’esatto contrario. Chiediamo di rimanere in casa. Di essere lenti. Di riappropriarci del noi nel dentro, con ritmi diversi. In attesa che passi la paura.