L’importanza della supervisione

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La supervisione è una pratica che predispone uno spazio teorico ma anche esperienziale al cui interno è possibile far convergere e potenziare le competenze professionali di osservazione, analisi e valutazione delle prassi lavorative consolidate. Si rivolge a persone singole o a gruppi  di lavoro che decidono di affrontare questioni tratte dalla quotidianità professionale, ponendosi come obiettivo il superamento di situazioni d’impasse e il miglioramento dell’organizzazione e dell’efficacia del loro lavoro; tende, infatti, a favorire l’individuazione di strategie operative efficaci e di soluzioni creative.

Nel nido in cui sono coordinatrice, la supervisione si fa da molti anni…l’ho fortemente voluta e credo che proprio perché c’è supervisione l’équipe non si è mai sfaldata, nonostante le fatiche che ci troviamo a dover affrontare. Credo che sia molto importante, per le famiglie che si avvicinano a un servizio educativo, chiedere se in quel servizio si fa supervisione, perché è indice di qualità ed è forse l’unica pratica che mette al riparo i bambini da eventuali maltrattamenti.

Le professioni socio-educative, infatti, hanno l’esigenza di avvalersi di uno spazio di pensiero condiviso e di confronto in cui analizzare e comprendere la complessità dei contesti in cui operano e dei bisogni emergenti di cui si devono far carico. I professionisti delle relazioni di aiuto operano, infatti, in contesti in cui spesso è labile il confine tra “normalità” e disagio e, pertanto, è facile che sentano il bisogno di analizzare e mettere costantemente in discussione le proprie prassi operative e di interrogarsi in modo coerente e competente sul proprio mandato sociale; nella supervisione ritrovano un setting in cui si può sospendere l’azione e intrecciare connessioni tra teorie, motivazioni, obiettivi, scelte, dubbi, vissuti, richiedendo al supervisore di porsi come facilitatore di occasioni di scambio e confronto sull’identità professionale, sugli strumenti e sulle metodologie, sul senso delle scelte.

Nel nostro servizio si fa  supervisione pedagogica, che stimola e sostiene la ricerca del senso delle azioni educative, portandoci a ricollocare gli eventi in una cornice progettuale. E’ una supervisione finalizzata a individuare e sciogliere alcune situazioni che, a una prima analisi, non consentono l’auspicato procedere del lavoro, a evidenziare il senso dell’azione educativa (vale a dire a scoprire educazione pensata anche laddove non sembra esservi pratica educativa), a favorire il confronto tra le dichiarazioni di intenti educativi e gli effetti educativi quando tra i due momenti sembra esservi uno iato.

La supervisione  vuole, inoltre, essere un aiuto per incidere sulla riduzione di nodi problematici, sia a livello organizzativo, sia relazionale, mediante il potenziamento delle competenze del gruppo di lavoro e per questo è importante che avvenga con continuità; solo attraverso un impegno costante, infatti, si può tentare di attivare negli operatori la disponibilità al confronto, la condivisione dei riferimenti pedagogici e degli stili educativi, ridurre la resistenza al cambiamento, migliorare la qualità relazionale, individuare strategie di gestione di eventuali disagi.

La supervisione si fonda su uno spazio e un tempo di sospensione, nel quale cercare e ritrovare una distanza equilibrata dall’azione: un luogo di riflessione e analisi caratterizzato da spirito critico e di ricerca in cui ampliare lo sguardo, valicando i confini del qui ed ora, per intraprendere un cammino personale e sociale di scoperta e condivisione. E’ il terreno delle storie, delle narrazioni, dei giochi in cui si abbozzano biografie e in cui si tentano autobiografie. E’ un terreno che va preparato con molta cura e molta sapienza pedagogica: è un contesto particolare, con una sua atmosfera, con le sue regole, con un clima accettante e avalutativo che favorisce la comunicazione perché si scopre che c’è qualcuno che ascolta, accoglie, partecipa.

Essa, utilizzando direttamente l’esperienza, la rende strumento, fonte e scopo allo stesso tempo, dell’intervento formativo. Il suo nucleo metodologico si basa sull’imparare facendo, cioè sul saper lavorare su un “oggetto” da conoscere profondamente, osservare analizzare e col quale l’operatore s’identifica e si differenzia, in un gioco dinamico di distanziamento e appartenenza. L’operatore cioè non impara dal supervisore, ma dalla propria esperienza di cui fa parte a quel punto anche chi fa la supervisione, ponendosi come filtro tra teoria e prassi, rappresentazione e interpretazione, bisogni e strategie.

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