Spesso, soprattutto quando i miei figli erano piccoli, mi sono trovata a confrontarmi con chi era del parere che i bambini piccoli non sono in grado di portare a termine certi compiti perché, per farlo, si devono utilizzare oggetti che, per il senso comune, non sono adatti a loro o perché comportano una certa dose di rischio.
Anche al nido, a volte, quando le educatrici discutono in merito a determinate esperienze da proporre ai bambini del gruppo dei più grandi, si sente una certa resistenza nel proporre certi tipi di materiale o nel lasciare che i bambini si mettano alla prova con determinati oggetti…”Non usiamo, a tavola, stoviglie di materiale frangibile perché se i bambini le fanno cadere poi si rompono e non mangiano”; “non lasciamo che si servano da soli perché potrebbero non farcela e sprecare cibo e acqua”; “non lasciamo che provino a tagliare da soli la frutta a pezzetti perché a due anni e mezzo sono troppo piccoli per usare il coltello”…Ma ne siamo proprio sicuri? Siamo davvero sicuri che i bambini non riescano ad avere cura delle stoviglie che si possono rompere? O che non sappiano servirsi da soli se messi nelle condizioni di farlo? O che non siano in grado di tenere in mano un paio di forbicine senza gravi conseguenze?
I testi di psicologia dello sviluppo ci dicono che fin dalla nascita i bambini sono persone complete, vale a dire che sono sociali, collaborativi e pronti a comunicare; e queste qualità non sono frutto di apprendimenti, ma sono innate. D’altra parte, perché queste qualità si sviluppino, i bambini hanno bisogno di vivere con adulti che si comportino in maniera da rispettarne e modellarne il comportamento.
Proprio perché persone complete, intorno ai due anni, i bambini iniziano, per gradi, a volersi liberare dalla totale dipendenza dai genitori e vogliono sentirsi liberi di pensare, sentire ed agire per conto loro. Al nido, spesso, ad esempio, al momento del ricongiungimento, accade che i bambini, mentre vengono vestiti, dicano con fermezza “faccio io!”. E la maggior parte dei genitori, dopo i primi tentativi, se questi non hanno successo, reagisce dicendo “Non puoi farlo tu! Non ci riesci e non possiamo stare ancora qui!”. Sembra proprio che, allora, quando i bambini iniziano a mostrare di voler essere indipendenti, gli adulti reagiscano con un atteggiamento di sfida.
Se un genitore o un educatore, però, non lascia che un bambino di due anni o poco più muova i primi passi verso l’indipendenza (o fatica a farlo), a poco a poco accade che o il bambino assume, come l’adulto, un atteggiamento di sfida o che abbandona l’iniziativa perdendo ogni velleità d’indipendenza. E questo non è certo educativo, se per educazione intendiamo “il tirar fuori le potenzialità e le risorse”; è, infatti, importante fare in modo che i bambini acquistino sempre più indipendenza confidando in sé stessi e nelle proprie forze, perché questo fa parte del loro naturale sviluppo. I bambini sono competenti.
La competenza si può considerare come la capacità che ogni individuo possiede di far fronte a un compito o a un insieme di compiti, riuscendo a tirare fuori le proprie risorse interne e a utilizzare le risorse esterne nel modo più coerente e fecondo possibile. Per far sì che questo accada è molto importante lasciare che i bambini facciano esperienze, in modo da elaborare strategie utili per poterle affrontare al meglio. E’ solo facendo esperienze, mettendosi alla prova, infatti, che i bambini possono rielaborare ciò che hanno vissuto e immagazzinarlo per il futuro. In questo modo, quando vivranno esperienze simili o nuove esperienze, sapranno mettere in atto con facilità tutte le risorse utilizzate nelle azioni già compiute e vissute.
I bambini, inoltre, sono osservatori molto attenti e sono naturalmente dotati della capacità di comprendere e poi di apprendere; la costruzione di competenze, infatti, si avvale dapprima di una sperimentale osservazione dell’ambiente circostante e di chi è già in grado di compiere una determinata azione (i bambini più grandi, per esempio). Gli adulti, allora, non devono fare altro che aiutarli a capire come allenarsi ad utilizzare le proprie e risorse e quanto trovano a disposizione, fidandosi. La fiducia è elemento essenziale perché il bambino possa acquisire competenze.
Il genitore e l’educatore devono dare al bambino la possibilità di crescere a proprio agio e di avere una vita soddisfacente; per questo motivo è importante aiutare il bambino a sviluppare l’autostima, un ‘attitudine interiore che svolgerà un ruolo essenziale nella sua personalità di adulto, influenzando le sue scelte (amicizie, lavoro, relazioni sentimentali…) e i suoi successi, scolastici e poi professionali, i comportamenti, la capacità di superare le difficoltà della vita. Un bambino, infatti, non può crescere in modo equilibrato senza una buona autostima, così come una società non può svilupparsi armoniosamente se gli individui che ne fanno parte non amano sé stessi, non hanno rispetto di sé, non attribuiscono valore alla propria personalità, non nutrono fiducia nelle proprie capacità. Il bambino alla nascita è dotato di una fiducia in sé infinita, totale, assoluta; la sua autostima, però, è tutta da costruire, dal momento che il neonato non ha consapevolezza degli elementi chiave della propria personalità né delle proprie capacità di interagire con il mondo esterno. E’ allora molto importante che coloro che si occupano dell’educazione del bambino, gli diano la possibilità di conservare e alimentare quella fiducia in sé che ha ricevuto alla nascita, per permettergli di prendere coscienza delle proprie capacità a interagire nel modo migliore per sé con il mondo. Se, infatti la fiducia in sé del bambino piccolo viene imbrigliata, soffocata, sviata, egli avrà difficoltà a formarsi come individuo autonomo e gli risulterà molto difficile sviluppare una sana autostima.
Cosa possiamo fare, allora, nel concreto? Cosa facciamo noi che ci occupiamo dell’educazione dei bambini molto piccoli? Al nido, di frequente, non si propongono stoviglie in materiale frangibile (vetro, ceramica…), ma si preferisce il molto più impersonale e “freddo” materiale infrangibile (come la plastica, il PVC…) perché i bambini (e qui mi riferisco in particolare a quelli di due anni o più grandi) potrebbero rompere ciò che è fragile e farsi male e nessuno desidera avere problemi con le famiglie; per lo stesso motivo si fatica molto a proporre forbici e coltelli o a proporre ai bambini che si servano da soli il cibo caldo portato in tavola.
In questo modo, però, in contesti che spesso, nel loro progetto educativo, parlano di “autonomia”, di “affinamento delle competenze del bambino”, non si lavora affatto sull’aiutare il bambino a fare da sé, per parafrasare un’autrice che molti che si occupano di infanzia amano, Maria Montessori.
Proviamo a riflettere su quanto segue. I bambini imitano gli adulti di riferimento, perché tramite l’imitazione (e i giochi di imitazione) conquistano il proprio posto nel mondo che li circonda. Che accade quando gli adulti maneggiano del materiale frangibile? Ne hanno una cura particolare. E un bambino questo può comprenderlo molto bene…pertanto, quando si troverà lui stesso a maneggiare del materiale fragile, per imitazione,ne avrà molta cura e farà di tutto perché non si rompa. E lo stesso accadrà quando si troverà a maneggiare forbicine o piccoli coltelli per tagliare la frutta. Avrà cura di essere accorto nel non tagliarsi, proprio come lo sono gli adulti.
D’altra parte, l’impiego di materiali fragili, proprio per la cura che ci si mette nel maneggiarli, rafforza l’attenzione e il senso di responsabilità e sviluppa il controllo del movimento e la motricità fine, sempre per citare Maria Montessori. Perché, allora, non darli in mano ai bambini della cui crescita ci occupiamo?
Se ci fidiamo dei bambini, perché li conosciamo e sappiamo quali sono le loro risorse, allora possiamo tranquillamente proporre esperienze con materiali come il vetro, la ceramica, la porcellana…
Una cosa che noteremo immediatamente è il piacere che essi provano nel maneggiare questo materiale; ricordo un bambino, durante una proposta (ai bambini del gruppo dei più grandi) di fare i travasi utilizzando piccoli contenitori in vetro, prendere il vasetto e passarselo sulle guance con grande piacere, probabilmente per la sensazione di fresco che provava nel compiere questa azione.
Noteremo anche come i bambini fanno molta attenzione a non far cadere il materiale fragile, a non urtarlo tra loro, a non lanciarlo.
Certo, lasciandoli fare, noi educatori consapevolmente rischiamo che si possano fare male o che vetro e porcellana si rompano. Il rischio, però, è una dimensione importantissima dell’educazione. Quando si lascia sperimentare i bambini, senza intervenire direttamente, ma mettendosi in disparte a osservare, si agisce in rapporto con i “rischi” (in questo specifico caso il rischio che si facciano male, si taglino, rompano oggetti…), ma in questo modo (e solo in questo modo) li lasciamo liberi di fare e di mettersi alla prova, di tirar fuori le proprie risorse e, qualora qualcosa dovesse andare storto, li aiutiamo nel far crescere la loro capacità di gestire positivamente emozioni anche stressanti, senza il rischio (quello sì, vero) di soccombere alla prima reale difficoltà che la vita vera proporrà loro.
(per scrivere questo articolo mi sono ispirata alla vita quotidiana del nido in cui lavoro, La tana dei cuccioli di Meda (MB) e a due testi in particolare, “Dai che ce la fai!” di B. Hourst e “Il bambino è competente” di J. Juul)